M. – Il mostro di Düsseldorf: l’analisi del film di Fritz Lang

M. – Il mostro di Düsseldorf è un film del 1931 diretto dal regista tedesco Fritz Lang. La pellicola è ancora oggi considerata tra le più significative del periodo e della storia del cinema tout court. M. – Il mostro di Düsseldorf è stato apprezzato non soltanto per le sue tematiche, ma anche per lo stile visuale e l’uso particolare del sonoro. Ecco un’analisi del film, per lungo tempo classificato tra i migliori del regista.

Fritz Lang: un regista a cavallo tra muto e sonoro

Nato a Vienna nel 1890, Fritz Lang intraprende inizialmente gli studi in architettura e pittura. Comincia poi ad interessarsi al cinema, lavorando nel campo come sceneggiatore e attore di secondo piano. La transizione alla regia avviene nel dopoguerra a Berlino, quando nel 1919 inizia a realizzare film per il pubblico popolare. Il suo primo lavoro è Halbblut, ormai perduto.

Lang comincia ad affermarsi in Germania a partire dal 1921 con: Destino, le due parti de Il dottor Mabuse e I Nibelunghi. Si tratta di film che riflettono un’importante evoluzione nella filmografia del regista, soprattutto per quanto riguarda il lavoro sulla messa in scena. Tutti questi elementi confluiranno poi nella realizzazione del monumentale Metropolis, il film più ad alto budget della cinematografia tedesca. Metropolis è il risultato di un intreccio tra ispirazione personale, grande impegno produttivo e linguaggio espressionista. La pellicola unisce la parabola fantastica a quella ideologica e sociale, venendo a rappresentare un autentico capolavoro del cinema degli anni Venti.Metropolis. M.- Il mostro di Düsseldorf

C’è da precisare che Lang non prese mai davvero parte al movimento espressionista tedesco inaugurato nel 1919 da Il gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene. Si tratta, più che altro, di una fortunata coincidenza. L’uscita di Metropolis avviene nel 1927 quando il filone in Germania è in pieno fermento e vi confluisce quasi per puro caso.

Nel 1931 affronta il passaggio al sonoro con M. – Il mostro di Düsseldorf, che ebbe un grande riscontro sia tra la critica che tra il pubblico. L’ascesa al potere del partito nazista portò Lang, e tanti altri artisti, a lasciare il paese. Il regista infatti si rifiutò di lavorare per la propaganda di Hitler che, ironia della sorte, aveva ammirato il lavoro di Metropolis. Lang si trasferì quindi negli Stati Uniti nel 1933, dove continuò la sua carriera cinematografica, appena dopo l’uscita de Il testamento del dottor Mabuse.

Il regista ebbe un grande successo in America con Furia del 1936 e Il grande caldo del 1953, per cui vinse anche l’Oscar come miglior regista. Il suo ultimo film è Il diabolico dottor Mabuse, datato 1960. Fritz Lang muore a Beverly Hills l’8 agosto del 1976 ed è oggi retrospettivamente ricordato come uno dei grandi maestri del cinema.

M. – Il mostro di Düsseldorf : l’analisi del film

M. – Il mostro di Düsseldorf è il primo film parlato diretto da Lang. Il passaggio dal muto al sonoro avvenuto nei primi anni trenta inizialmente fu più un impedimento che un vantaggio. Qui il regista riesce invece a condensare la nuova tecnologia con una grande cura stilistica e a farne componente narrativa a pieno titolo. Vediamo nel dettaglio le caratteristiche del film.

Trama

Un serial killer di bambini terrorizza gli abitanti di Berlino. La polizia e i media sono costantemente in allerta ma la giustizia ordinaria non ha i mezzi per catturare il mostro. Entrano in gioco quindi i criminali locali che decidono di allearsi e di dare il via ad una spietata caccia all’uomo. L’assassino viene catturato da uno di questi prima di compiere l’ennesimo omicidio. La seconda parte del film si svolge in un’aula di tribunale, dove i criminali interrogano il mostro e lo processano. Questo è però interrotto dall’arrivo della polizia, che arresta i criminali e consegna l’omicida alla giustizia.

Il mostro siamo noi: la mediocrità del male in M. – Il mostro di Düsseldorf

Per M. – Il mostro di Düsseldorf, Lang si ispirò ad alcuni fatti di cronaca nera risalentiM. - Il mostro di Düsseldorf agli anni Venti, tra cui il famoso caso del Vampiro di Düsseldorf. È ironico che il titolo iniziale fosse “L’assassino è tra noi”, che fu appunto letto come un riferimento all’ombra minacciosa del nazionalsocialismo. Con quest’opera magistrale, Lang riesce a creare un efficace connubio tra universo noir e affresco sociale. In effetti, la metafora antinazista è ben visibile.

Il film rinuncia al registro thriller per descrivere senza pietà il contesto in cui si muove. L’assassino di bambini, interpretato da un bravissimo Peter Lorre, è un criminale mediocre, fragile e umano, che si trasforma inaspettatamente in vittima nell’ultima parte del film. L’ambiguità del personaggio, un uomo qualunque preda dei propri istinti, ci rende impossibile giudicarlo. Lang sposta il focus sulla follia ordinaria di una società ormai corrotta, in cui i criminali sono più affidabili della giustizia. Ironicamente, sarà la malavita infatti a catturare il mostro e processarlo, secondo le proprie leggi personali.

Lo sguardo di Lang traccia un profilo impietoso dell’animo umano e della violenza desolante della massa per scovare il mostro che si nasconde in ognuno di noi.

L’uso del fuoricampo in M. – Il mostro di Düsseldorf: l’opening del film

M. – Il mostro di Düsseldorf rimane un’opera magistrale non soltanto per il modo di affrontare una tematica tanto controversa, ma anche per il suo stile unico. Fritz Lang ha un’idea molto rigorosa di messa in scena, basata su un’articolazione geometrica dell’inquadratura. La narrazione ellittica del film rispecchia l’universo rappresentato dal regista, in cui la violenza del mondo è confinata allo spazio del non visibile. Questo particolare gioco di omissioni è iscritto all’interno dell’immagine stessa, che si configura in un particolare rapporto tra campo e fuoricampo. Da questo punto di vista, risulta utile analizzare l’opening del film e il modo in cui Lang lo costruisce lavorando proprio su questa dialettica.

Prima va precisato però cosa si intende esattamente per fuoricampo. L’inquadratura è interpretabile in base a due criteri spaziali: lo spazio in campo e quello fuori campo. Da qui, possiamo definire in campo ciò che è effettivamente mostrato, e fuori campo ciò che invece rimane fuori dall’inquadratura. La narrazione filmica si basa sulla possibilità di mettere in relazione questi due spazi, ed è proprio questo che fa Lang in M. – Il mostro di Düsseldorf.

L’opening del film è tutto giocato su un uso espressivo e metonimico del fuoricampo, in cui ogni evento ci è mostrato attraverso qualcos’altro. Lang apre la narrazione sull’immagine di un gruppo di bambini che giocano in cerchio mentre canticchiano una filastrocca. La bambina che fa la conta recita il motivetto dell’uomo nero, una chiara allusione all’assassino: “Scappa, scappa monellaccio, sennò viene l’uomo nero, col suo lungo coltellaccio, per tagliare a pezzettini… proprio te!”. Un movimento di macchina, che avviene significativamente quando la bambina dice “Tu vai fuori”, porta lo sguardo ad un balcone nel cortile. Ecco che opera il reverse tra campo e fuoricampo. Entra in gioco il personaggio di una donna, che assumerà particolare rilievo in questo episodio.

Stacco di montaggio: la scena si sposta all’uscita di una scuola. Lang costruisce quindi un legame di contemporaneità rispetto all’episodio precedente. Una bimba saluta i compagni e si avvia verso casa, ma viene quasi investita da un’auto. Il film poi ritorna alla donna in casa che aspetta. È a questo punto chiaro che si tratta di madre e figlia. Ecco che avviene l’incontro tanto temuto tra il mostro e la bambina. Lei cammina lungo il marciapiede e si ferma davanti ad un manifesto colpendolo ripetutamente con una palla. Lentamente, sul cartello si affaccia l’ombra di un uomo che parla alla bambina. Tutta la scena è confinata nel fuoricampo ed è un esempio chiaro di una precisa strategia narrativa che coinvolge emotivamente lo spettatore.

Quando Lang ritorna all’immagine della madre che aspetta a casa, i risvolti della vicenda sono ormai chiari. La semplice attesa per il ritorno della figlia si è trasformata in tensione. Il regista ricorre al montaggio alternato, mostrandoci subito dopo la piccola al fianco del mostro. Ora l’assassino non è più nel fuoricampo ma è come se lo fosse. Lang ce lo mostra soltanto di spalle, celandoci ancora il suo volto.

La dialettica su cui è costruito ad arte tutto l’episodio assume un carattere ancora più marcato nella drammatica chiusa. Qui il fuoricampo ha una funzione chiaramente metonimica. Il tragico evento della morte della bimba non è visibile ma ci è mostrato attraverso un suo effetto: la palla e il palloncino abbandonati. L’epilogo è calibrato e preparato con cura da Lang, che struttura l’opening attraverso la scansione precisa dei momenti drammatici. È evidente quindi la narrazione ellittica a cui ci si riferiva in precedenza. Ci troviamo di fronte ad un caso esemplare di utilizzo del fuoricampo, in cui il suggerito è più importante del mostrato.

Il sonoro in M.- Il mostro di Düsseldorf

M. – Il mostro di Düsseldorf non è soltanto il primo film parlato di Lang, ma è anche un film in cui il sonoro ha una precisa funzione narrativa. Se Il cantante di Jazz del 1927 è considerata la prima pellicola sonora nella storia, in quel momento il cinema era ancora ignaro delle potenzialità del suono. A questo proposito, è importante ricordare il contributo teorico di Michel Chion. Il discorso sul sonoro si articola ovviamente in rapporto all’immagine, per cui questa assume un diverso significato nel momento in cui è associata ad un suono. Il valore aggiunto di questa componente va interpretato come un valore espressivo e informativo, e non come semplice accompagnamento. È proprio su questa linea che lavora Lang in M. – Il mostro di Düsseldorf.

Il sonoro è qui intrecciato alle potenzialità del fuoricampo di cui si è già detto. In particolare, il brano In the hall of the mountain king dell’aria Peer Gynt di Edvard Grieg intonata dall’assassino risulta un leitmotiv musicale. L’inquietante motivetto è proposto già nell’opening con la comparsa del mostro sulla scena e ritorna puntuale all’interno del film. Allo stesso modo dell’immagine, anche il suono è collocato nel fuoricampo. Si parla infatti di suono off, che ha in questo caso la funzione di estendere lo spazio del visibile. Sarà proprio questa canzoncina a portare al disvelamento dell’identità del mostro e a trasferire il mistero all’interno del campo.

Con M.- Il mostro di Düsseldorf, Lang mostra per la prima volta le potenzialità intrinseche del sonoro. La perfezione strutturale del film sancisce l’entrata della nascente tecnologia all’interno degli elementi stilistici e narrativi del cinema.

Martina Pedata

Bibliografia