Il lungo addio: l’analisi del film di Robert Altman

Il lungo addio è un film del 1973 diretto dal regista e sceneggiatore americano Robert Altman. La pellicola apre una parentesi interessante all’interno del panorama della New Hollywood e rivisita uno dei generi più amati del cinema classico:il noir. Ecco l’analisi del film attraverso la personalità particolarissima del suo autore, un regista unico nel contesto del nuovo cinema americano.

Robert Altman: regista atipico nel contesto della New Hollywood 

Cos’è la New Hollywood?

Con il termine New Hollywood si intende un processo di generale rinnovamento del cinema americano che riflette su sé stesso da una prospettiva radicalmente nuova. Se gli anni Settanta rappresentano, per l’America, una definitiva presa di coscienza della propria storia politica, lo stesso si può dire del suo cinema. La crisi dello studio system alimenta un naturale processo di rivisitazione dei generi cinematografici tradizionali. Si tratta di un’esigenza storica fortemente radicata: se l’american way of life è ormai distrutto deve anche distruggere il cinema che l’ha prodotto. Da questo punto di vista, il nuovo cinema americano può essere letto come una mediazione tra il cinema d’autore europeo e le strutture industriali hollywoodiane.

Robert Altman: una breve biografia dell’autore

Uno tra gli autori che, più di tutti, basa la sua ricerca cinematografica su questa complessa dialettica con il genere è il regista e sceneggiatore Robert Altman. La sua è una storia un po’ atipica, in perenne lotta con l’industria. Si tratta di un autore non proprio giovane nel panorama della New Hollywood e dallo stile profondamente europeo.

Robert Altman nasce il 20 febbraio 1925 a Kansas City, Missouri, e inizia la suaIl lungo addio carriera sul finire degli anni Quaranta come sceneggiatore di B movies. L’esordio alla regia avviene soltanto nel 1957 con The Deliquents, ed è seguito dal documentario The James Dean Story. Durante gli anni Cinquanta, Altman si cimenta anche con il medium televisivo, dirigendo alcuni episodi delle famose serie Bonanza e Alfred Hitchcock presents.

Il regista ritorna al cinema dopo quasi un decennio. Ottiene il suo primo grande successo nel 1970 con M.A.S.H, una commedia satirica sulla guerra in Corea, che guadagna cinque nomination agli Oscar. Negli anni successivi, Altman consolida il suo stile utilizzando tutti i generi tradizionali di Hollywood per demolirne le strutture e rinnovarli dall’interno. Da M.A.S.H in poi, la sua filmografia si arricchisce notevolmente. Seguono I compari e Il lungo addio, datati 1971 e 1973, che rivisitano due tra i generi più abusati nel cinema classico: il western e il noir. Altman firma il suo film di maggior successo con Nashville del 1975, una satira sul mondo della country e western music. Questo prolifico decennio si chiude con Un matrimonio, datato 1978, che si focalizza appunto su un matrimonio in declino tra perbenismo e proibizione.

Tra gli anni Novanta e Duemila, Robert Altman ritorna dietro la macchina da presa firmando alcune pellicole di successo, tra cui I protagonisti, America Oggi, Gosford Park e La fortuna di Cookie. Il suo ultimo film sarà Radio America, datato 2006, che riprende alcune tra le tematiche già trattate in Nashville. Nello stesso anno, riceve l’Oscar alla carriera. Morirà di leucemia il 20 novembre del 2006.

Il lungo addio: l’analisi del film

There’s a long goodbye

And it happens everyday

When some passerby

Invites your eye

To come her way. [1]

È proprio dalla storia che parte Altman, una storia americana, scritta nel 1953. La storia di Philip Marlowe è anche e soprattutto la storia di un genere, il noir. La reinterpretazione in chiave critica del passato americano passa stavolta attraverso la sua letteratura. Il lungo addio porta sullo schermo a distanza di vent’anni l’omonimo romanzo dello scrittore statunitense Raymond Chandler. Altman si avvale, per la sceneggiatura, della collaborazione di Leigh Brackett, che aveva già in precedenza lavorato a Il grande sonno di Howard Hawks. La rilettura di Altman non ha niente a che vedere con quella del suo predecessore e Brackett adatta lo script alla personalissima idea di regia dell’autore.

Trama

La storia ruota intorno ad uno tra i personaggi più famosi e ricordati di Chandler, il detective privato Philip Marlowe. Il protagonista è chiamato ad indagare sull’omicidio della moglie dell’amico Terry Lennox, dopo essere stato erroneamente accusato di complicità con quest’ultimo. Quando Terry scompare improvvisamente per poi essere ritrovato morto in Messico, il protagonista inizia ad indagare sulla morte dell’amico. Viene assunto quindi da una coppia di coniugi: Eileen e lo scrittore Roger Wade, convinto che siano coinvolti nell’omicidio di Terry. Nel frattempo, Marlowe si imbatte in vari personaggi, tra cui il gangster Marty Augustine che aveva prestato dei soldi ai Lennox. Si scopre che Terry era coinvolto in un oscuro giro di affari e ha soltanto inscenato la propria morte per coprire l’omicidio della moglie Sylvia.

C’era una volta il noir: Il lungo addio e la rivisitazione di un genere

Il tradimento implicito dell’opera fonte diventa il senso stesso della trasposizione e la porta ora nella Los Angeles nevrotica degli anni Settanta. L’incipit favorisce l’interpretazione verso un discorso dichiaratamente metacinematografico. La pellicola si apre sulle note della canzone Hooray for Hollywood. Un quadro ne raffigura i simboli con tanto di scritta, lo sguardo si sposta su Marlowe che si sveglia disorientato, quasi come se fosse appena uscito dalla pagina di Chandler e si fosse ritrovato lì decenni più tardi. Il brano The Long Goodbye di John Williams, che ne ricalca il titolo, risuona invece in montaggio alternato nei titoli di testa. Si tratta di un vero e proprio leitmotiv musicale e ricorre ossessivo per tutta la durata del film.

D’altra parte, la comparsa sulla scena di Marlowe, in cui lo vediamo tentare invano di ingannare il suo gatto, rifugge da ogni rappresentazione tipo e segna già di per sé un efficace attacco al genere. La caratterizzazione del detective di Elliott Gould è malinconica e quasi crepuscolare. Altman segue con sincera simpatia il suo protagonista mentre si aggira con fare impacciato in un mondo caotico pieno di criminali e figlie dei fiori poco vestite. Il regista non abbandona mai Marlowe, usando la macchina da presa in uno stato di continuo avvicinamento. Il suo humor eversivo e la presenza costante della sigaretta che pende dal labbro inferiore sono di godardiana memoria e ricalcano i modi dell’iconico Jean-Paul Belmondo, protagonista di Fino all’ultimo respiro e Pierrot le fou.

Ma non è solo Marlowe ad aver perso la sua aura mitica. L’universo descritto da Altman si popola di queste figure demistificate, calate nel contesto di una Los Angeles delirante. L’invenzione del gangster Marty Augustine, personaggio assente nel romanzo, risponde ad un’esigenza di rappresentazione di un presente tutto americano. I tempi sono cambiati: è l’America di Nixon. Lo stesso Augustine sottolinea con una certa soddisfazione che vive proprio di fronte al Presidente americano da poco coinvolto nello scandalo Watergate [2]. Lo stesso si può dire di Roger Wade, interpretato da Sterling Hayden. Il suo personaggio è il classico scrittore di successo e con il vizio dell’alcool e sembra una specie di Hemingway demitizzato e trapiantato in una villa di lusso a Malibu Beach.

Regia e Fotografia ne Il lungo addio 

La rilettura di Altman riduce all’osso la suspense in senso tradizionale, facendo prevalere una regia elegiaca e all’insegna della disarticolazione narrativa. La particolare tecnica dell’autore, nota come Almanesque, si caratterizza proprio per un’impostazione lontana dalla linearità classica e per la sovrapposizione di diverse trame parallele. Nel seguire le indagini sconclusionate di Marlowe, Altman devia l’attenzione dello spettatore dal nucleo dell’azione. La macchina da presa gira in maniera apparentemente sbadata, si avvicina e si allontana continuamente dai soggetti, come a spiare un mondo di cui non conosce bene le coordinate.

C’è poco di noir anche nella fotografia filtrata di Vilmos Zsigmond che opera spesso su sovrapposizione, utilizzando riprese da finestre o vetrate. Si veda ad esempio la scena della discussione tra i coniugi Wade che riflette nel frattempo il protagonista in riva al mare. Sulla stessa linea è costruita anche la sequenza del tuffo di Roger durante la conversazione tra Marlowe ed Eileen. La sovrapposizione può anche avere un intento esplicitamente connotativo. Un esempio palese è la dissolvenza incrociata che vede una sovrimpressione tra l’immagine di una banconota da cinquemila dollari e quello che sembra un quartiere popolare al confine con il Messico. L’immagine non è casuale e esplica in maniera efficace tutta l’ipocrisia del sogno americano.

Il lungo addio: la spiegazione del finale

Il finale è, senza ombra di dubbio, il cambiamento più evidente rispetto all’opera originale ed è anche quello che ne racchiude il senso più profondo. Altman rispetta quasi integralmente il racconto di Chandler solo per stravolgerlo totalmente ad un passo dalla fine. Se nel romanzo Marlowe rimaneva inerme di fronte al tradimento dell’amico, qui reagisce e lo spara, riscattandosi così dalla sua condizione di perenne sconfitto. Attraverso il liberatorio gesto di rivalsa del protagonista, il suo autore segna la fine metaforica di un’era e firma il suo “lungo addio” al cinema che lo ha preceduto. Nell’ultima sequenza, Altman lascia andare Marlowe, che si allontana in campo lungo sulle note del brano iniziale. Il lungo addio non è altro che un definitivo elogio funebre al genere noir: Hooray for Hollywood!

Martina Pedata

Note e Bibliografia

[1] Si tratta di alcuni versi del brano cardine del film: The Long Goodbye di John Williams.

[2] Lo scandalo Watergate, scoppiato nel 1972, coinvolse il Presidente allora in carica Richard Nixon e alcuni tra i suoi collaboratori, incriminati per spionaggio ai danni del comitato elettorale del candidato democratico alle presidenziali G. McGovern. A seguito dello scandalo, Nixon fu costretto a dimettersi nel 1974. L’evento ebbe una grande risonanza mediatica ed è stato più volte citato e menzionato nei film legati al panorama della New Hollywood.

Massimo Moscati, Breve storia del cinema, Bompiani, Torino 2017.

(a cura di) Paolo Bertetto, Introduzione alla storia del cinema, Autori, Film, Correnti, Utet, Torino 2012.