I migliori film di Sofia Coppola in ordine cronologico

Sofia Coppola è una delle registe più conosciute nel panorama contemporaneo. Il suo universo autoriale si muove all’interno di un’estetica chiaramente postfemminista, che ha saputo mantenere al contempo un alto grado di iconicità. Figlia del grande Francis Ford Coppola, la regista è riuscita a conquistare gradualmente il proprio spazio all’interno della scena cinematografica grazie ad uno stile preciso e riconoscibile. In attesa dell’uscita di Priscilla, ecco i migliori film di Sofia Coppola, dagli esordi fino ad oggi.

I migliori film di Sofia Coppola: da figlia d’arte a nuova regista dell’ondata postfemminista

Sofia Coppola nasce il 14 maggio del 1971 a New York City, Stati Uniti. Figlia del regista Francis Ford Coppola e della scenografa Eleonor Coppola, è fin da bambina a stretto contatto con il mondo dell’arte e del cinema. Trascorre buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza sui set paterni, che cerca di avviarla alla carriera di attrice. Nel 1974, recita nei panni della giovane figlia del vecchio Michael Corleone ne Il padrino parte terza. La sua fama di figlia d’arte però le valse inizialmente numerose accuse di nepotismo da parte dell’ambiente.

Se la sua carriera davanti la macchina da presa si arresta quasi subito, quella da autrice comincia nel 1999, quando Sofia è appena ventottenne. Il suo esordio cinematografico avviene con il film Il giardino delle vergini suicide, tratto dall’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides. Il nome di Sofia comincia ad emanciparsi da quello del padre, riuscendo ad attirare l’attenzione dei grandi Festival internazionali.

Se l’accesso ai grandi budget di Hollywood è ancora un miraggio per le donne, in questo periodo la presenza femminile è fondamentale all’interno del cinema indipendente. Il circuito dei Festival diventa una finestra importante nel women’s cinema tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta. É proprio tra questi che la Coppola fa il suo debutto. Il racconto del femminile prende una piega diversa rispetto a quella iniziata dalla feminist avant-garde degli anni Settanta. Queste nuove registe rinunciano al registro teorico e avanguardistico per assumere una forma autoriale ma al contempo narrativa.

La sua opera seconda è Lost in Translation, datato 2003. Il film viene accolto con grande entusiasmo da parte del pubblico e della critica, consacrando la Coppola come una delle registe più talentuose del panorama contemporaneo. La pellicola, infatti, riceve diverse candidature agli Oscar e vince nella categoria per la Miglior Sceneggiatura Originale. La Coppola entra quindi a pieno titolo nei grandi nomi di Hollywood: è la prima donna americana ad essere candidata al premio per la Miglior Regia.

Ormai consolidata la sua fama, Sofia Coppola dirige nel 2006 l’iconico Marie Antoinette, e prosegue con l’intimista Somewhere del 2010, che racconta la solitudine di una star di Hollywood. Bling Ring, uscito nel 2013, riceve opinioni contrastanti da parte della critica, risultando nel complesso il film meno riuscito della regista.

Sofia continua la sua carriera nel mondo del cinema con L’inganno del 2017, remake del film La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel. La regista riesce a farsi conoscere anche dal mondo della moda, da sempre una sua grande passione, collaborando con importanti stilisti. Questo aspetto è evidente nella particolare cura del reparto costumi all’interno dei suoi film, nonché dal suo status ormai noto di fashion icon.

La sua ultima pellicola, On the Rocks, risale al 2020. Nelle sale italiane si attende impazienti l’uscita di Priscilla, adattamento delle memorie di Priscilla Presley.

I migliori film di Sofia Coppola: Il giardino delle vergini suicide, 1999.

La prima tappa del percorso dell’esordiente Sofia Coppola è Il giardino delle vergini suicide, tratto dall’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides. Si tratta di un lavoro personale e intimista, che porta la regista all’emancipazione definitiva dal nome paterno. La pellicola, infatti, si pone agli antipodi dal punto di vista artistico rispetto alla filmografia di Francis Ford Coppola, presentando un universo femminile ribelle e non normativo.

Trama

Il giardino delle vergini suicide è ambientato in un tranquillo sobborgo americano, durante i primi anni Settanta, e racconta la storia delle sorelle Lisbon: Therese, Mary, Bonnie, Lux e Cecilia. Le giovani ragazze crescono in un ambiente conservatore e oppressivo. La famiglia le isola totalmente dal mondo esterno dopo un tentativo di suicidio da parte di Cecilia, che tuttavia morirà gettandosi dalla finestra.

Le sorelle Lisbon diventano oggetto di grande attenzione da parte dei ragazzi del quartiere che tentano in tutti i modi di mettersi in contatto con loro. La sorella più intraprendente, Lux, inizia una relazione segreta e intensa con Trip Fontaine, il ragazzo popolare della scuola. Tutte e quattro vengono invitate al ballo scolastico, che rappresenta per loro una parentesi inedita di libertà.

Scoperta la loro bravata, i genitori segregano in casa le sorelle. I ragazzi tentano invano di comunicare con loro, arrivando a pianificare anche una fuga. Ma gli ultimi eventi portano le Lisbon alla distruzione definitiva. Decidono quindi di suicidarsi tutte insieme, in un atto finale e disperato di liberazione.

Lost Girls: l’adolescenza al femminile secondo Sofia Coppola

Il giardino delle vergini suicide potrebbe essere a ragione definito come un film diI migliori film di Sofia Coppola formazione. La Coppola, però, riesce a decostruire dall’interno le categorie del genere, presentando una diversa prospettiva nel racconto della femminilità. Qui la regista indugia sul momento transitorio dell’adolescenza ma lascia il film sospeso in un microcosmo chiuso in cui spazio e tempo sono come congelati.

L’immaginario onirico della pellicola inganna lo spettatore, celando sotto una superfice dalla sconvolgente bellezza un’oscurità aberrante. Il ribaltamento degli stereotipi sull’adolescenza è qui una presa di coscienza per le sorelle Lisbon, che vivono sulla propria pelle il controllo e la violenza attuata sui loro corpi dal sistema patriarcale. La transizione qui non è un’ascesa, ma avviene a prezzo del dolore e dell’umiliazione. Da questo punto di vista, le parole di Jack Halberstam sono particolarmente utili a definire la traiettoria percorsa dal film.

l’adolescenza femminile rappresenta la crisi del diventare adulte in una società dominata dagli uomini. Se l’adolescenza per i ragazzi rappresenta un rito di passaggio (molto celebrato dalla letteratura occidentale sotto forma di bildungsroman), e un’ascesa a una qualche forma (per quanto attenuata) del potere sociale, per le ragazze l’adolescenza è una lezione di moderazione, punizione e repressione.[1]

 

Il giardino delle vergini suicide è un film che si gioca in toto sulla logica del non detto: sofferenza e desiderio sono sempre nascosti allo sguardo. In questo senso, le protagoniste sono figure quasi fantasmatiche, la cui immagine prefigura la loro tragica fine. Le sorelle Lisbon appaiono vestite di bianco nella quasi totalità delle scene e sembrano perennemente sospese in un’atmosfera surreale, lontana dal mondo esterno. Le fanciulle in fiore di Sofia Coppola riescono ad allontanarsi dall’addomesticamento e dall’oppressione patriarcale soltanto con la morte, che rappresenta la loro emancipazione definitiva.

L’esordio della regista è stato lodato anche per la sua estetica indie e la coerenza formale. L’uso massiccio del blu riesce a inscrivere nelle immagini il senso profondo di tristezza e repressione vissuto dalle ragazze. La cura al dettaglio del reparto costumi ha inaugurato un nuovo trend nell’industria della moda che, tuttavia, ha spesso sviato l’attenzione dalle tematiche principali.

Sofia Coppola compie un lavoro magistrale, rileggendo il romanzo di Jeffrey Eugenides attraverso una prospettiva chiaramente femminista. La regista sceglie di mostrarci il lato inedito e oscuro dell’adolescenza, in cui il dolore risulta un passaggio necessario alla conoscenza di sé.

I migliori film di Sofia Coppola: Lost in Translation, 2003

L’opera seconda di Sofia Coppola è Lost in Translation, datato 2003. La pellicola è sicuramente tra i film più conosciuti della regista, nonché suo più grande successo commerciale. Le valse, inoltre, diverse nomination agli Oscar, tra cui quella come Miglior Regia. Lost in Translation è una delicata commedia sentimentale che riflette sul senso delle parole, tra comprensione e solitudine.

Trama

Ambientato a Tokyo, Lost in Translation racconta l’incontro fugace tra Bob Harris, un attore di Hollywood di mezza età, e Charlotte, neo sposa appena laureata.

Entrambi i personaggi sono ritratti in un momento complicato delle loro vite. Bob, interpretato da Bill Murray, è stato scelto per girare uno spot pubblicitario in Giappone ed è ormai in crisi con la sua carriera e il suo matrimonio. Allo stesso modo Charlotte, una giovanissima Scarlett Johansson, si sente persa e trascurata dal marito, che segue di continuo durante i suoi viaggi di lavoro.

I due alloggiano nello stesso hotel e si incontrano per caso una sera nella hall. Fin da subito, sviluppano una forte connessione platonica e si scoprono assediati da un comune senso di alienazione. I protagonisti trovano rifugio l’uno dell’altro e condividono un passeggero momento di contemplazione sullo sfondo della caotica capitale giapponese. Il film si conclude quando Bob è costretto a tornare a Los Angeles e i due si dicono addio all’aeroporto di Tokyo.

Lost in Translation: due solitudini a Tokyo

Lost in Translation è una storia d’amore contemporanea, che riesce a declinare romanticismo, leggerezza e profondità. Il film si situa in un territorio liminare e aperto a diverse letture, condensandosi attorno ad un momento magico di sospensione. L’incontro fugace tra Bob e Charlotte è una scintillante parentesi nel grigiore delle loro vite, accompagnata dalle luci e dagli sfavillanti colori di Tokyo.

Sofia Coppola esplora, attraverso i suoi protagonisti, il senso dell’esistenza, e soprattutto, il senso delle parole. Lost in Translation è una commedia volutamente minimalista, che lascia più spazio ai silenzi che ai dialoghi. Lo spettatore impara, insieme a Bob e Charlotte, a comunicare “senza traduzione”, attraverso ciò che non si dice. È significativo che la Coppola scelga di ambientare la storia all’interno di uno scenario turistico, in cui entrambi i protagonisti si trovano in un territorio straniero. La sensazione di smarrimento tipica del turista è forse quella di chiunque nei confronti di una vita di cui non si riescono più a comprendere le coordinate.

La grande metropoli giapponese fa da sfondo alla ricerca di un’identità perduta: quella dei due protagonisti, ma anche quella dell’uomo moderno, imbrigliato nella frenesia della vita urbana. Forse è per questo che la Coppola porta volutamente lo sviluppo della storia lontano dalla linearità canonica e dai rigidi rapporti di causa-effetto. La valorizzazione di tempi morti e momenti insignificanti risponde ad una logica di narrazione ben precisa. Bob e Charlotte riescono a trovarsi soltanto in quello spazio vuoto e privo di eventi in cui l’identità cessa di essere quella che è in superfice.

Questa linea è chiara in particolar modo nel finale, in cui la regista condensa brillantemente il senso più profondo del film. Durante l’ultimo e commovente abbraccio tra i due, Bob sussurra qualcosa all’orecchio di Charlotte che lo spettatore non riesce a sentire. L’enigma resterà irrisolto: non sapremo mai cosa si sono detti ma, in fondo, non ha neanche importanza. Il film rimane “lost in translation”, sospeso nel non detto che dà senso alla vita. Ciò che la Coppola suggerisce con questo epilogo è uno stato di accettazione dell’oscurità dell’esistenza e un senso di speranza negli altri. Come recita il sottotitolo inglese: “Everybody wants to be found”.

I migliori film di Sofia Coppola: Marie Antoinette, 2005

Tra i migliori film di Sofia Coppola non si può non citare il famosissimo Marie Antoinette, l’ormai film cult sulla controversa Regina di Francia. Presentato al Festival di Cannes nel 2006, il film ricevette diverse critiche per via della sua presunta superficialità. La pellicola, però, ebbe un grande successo al box office ed è retrospettivamente ricordata come una tra le più coraggiose della Coppola.

Trama

La storia ha inizio nel momento del trasferimento di Marie Antoinette, allora quattordicenne, dalla corte austriaca a quella francese. L’imperatrice Maria Teresa la offre in sposa a Luigi Augusto, futuro Luigi XVI, facendo di lei la Delfina di Francia. Il film segue l’arrivo della Regina a Versailles e le difficoltà che l’appena adolescente Marie Antoinette affronta nell’adattarsi ai costumi francesi.

Il matrimonio con Luigi Augusto non viene consumato, quindi la giovane Regina trova conforto nei bei vestiti e nelle feste sfarzose. La sua posizione a corte peggiora con il passare del tempo, a causa della mancanza di un erede e di alcune amicizie considerate malevole, come quella con la duchessa di Polignac. Quando Luigi XV muore, i due diventano i nuovi monarchi e, con l’aiuto del fratello di Marie, l’imperatore Giuseppe II, il dovere coniugale viene finalmente compiuto.

La Regina dà alla luce la principessa Maria Teresa, e continua il suo stile di vita poco ortodosso, instaurando una relazione con il conte Hans Axel von Fersen. Nel frattempo, gli aiuti inviati da re Luigi XVI alla rivoluzione americana gravano sui francesi, che indirizzano il proprio malcontento verso gli sfarzi di Versailles. Il film termina prima dell’arresto e dell’esecuzione dei due regnanti.

Marie Antoinette e l’estetica della girlhood

I migliori film di Sofia CoppolaAlla sua uscita, Marie Antoinette fu preso di mira da molta critica, soprattutto per le numerose inesattezze storiche. Ciò che è stato rimproverato al film è di certo il ritratto totalmente apolitico che la Coppola fa della storia francese. A ben vedere, però, questo risulta il punto di forza di una pellicola come Marie Antoinette, che è certamente un film in costume ma ha ben poco a che fare con la ricostruzione storica.

La scelta della regista di concentrarsi sulla Regina e sulla sua iniziazione alla corte di Versailles invece che sulla caduta della Monarchia rilocalizzano il film all’interno del racconto di formazione. La Storia quindi fa da cornice al delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta e a tutte le complicazioni che questa comporta nella soggettività femminile. È proprio questa transizione che indica il termine inglese Girlhood, corrispettivo del maschile Boyhood, che significa appunto fanciullezza. Si tratta di una tematica che la Coppola aveva già affrontato nel suo brillante esordio con Il giardino delle vergini suicide. In questo senso, Versailles non è altro che la trasposizione della casa in cui vivevano recluse le sorelle Lisbon: una gabbia dorata in cui rinchiudere il corpo femminile.

L’estetica decisamente over the top di scenografie e costumi ha contribuito a vendere l’immagine del film come superficiale e senza sostanza. In realtà, si tratta di una scelta registica coerente che risponde ad una logica precisa. L’indugiare della Coppola su dettagli apparentemente insignificanti come scarpe, stoffe, ornamenti e gioielli fanno dell’immagine della Regina di Francia quasi un preludio alla celebrity culture attuale. I rimandi al mondo contemporaneo sono tantissimi, a partire dalle musiche che accostano brani del Settecento con canzoni pop e new wave. Famosissima è la sequenza che esibisce gli eccessi di Marie Antoinette e del suo circolo di amiche, sulle note di I Want Candy dei Bow Wow Wow. Allo stesso modo, la sfarzosa reggia di Versailles sembra ricostruita ad arte per assomigliare alle ville delle star hollywoodiane.

Una menzione speciale merita il lavoro eccezionale sui costumi di Milena Canonero, che vinse l’Oscar proprio per Marie Antoinette. Le scelte della costumista vanno in una direzione totalmente non convenzionale e ricalcano lo stile del film. In accordo con una palette di colori pastello che va dall’azzurro al classico rosa, i vestiti di Marie Antoinette sembrano usciti da una copertina di Vogue. Non è raro che elementi della moda settecentesca vengano accostati ad accessori contemporanei, come il paio di Converse color malva che compare sullo sfondo in una famosa scena del film.

I migliori film di Sofia Coppola: L’inganno, 2017

L’ultimo tra i migliori film di Sofia Coppola è L’inganno, datato 2017. Basato sull’omonimo romanzo di Thomas Cullinan e sulla prima trasposizione di Don Siegel, la pellicola le valse il Premio per la regia al Festival di Cannes. Qui la regista compie un raffinato lavoro di rilettura dell’opera originale, ribaltando totalmente il punto di vista.

Trama

La storia è ambientata nella Virginia del sud nel 1854, durante la Guerra di Secessione americana. Le protagoniste vivono isolate in un collegio per ragazze chiamato Farnsworth Seminary e capitanato da Miss Martha, una bravissima Nicole Kidman. La trama prende un risvolto inaspettato quando il caporale nordista McBurney, interpretato da Collin Farrell, viene trovato ferito nei pressi della tenuta.

Le donne quindi decidono di offrire rifugio al soldato all’interno del collegio. Le ragazze, tra cui Miss Martha, Edwina e Alicia, sviluppano un’intensa attrazione per lui e si contendono le attenzioni del caporale. Quest’ultimo approfitta di questo gioco di gelosie e seduzione reciproca per assicurarsi la permanenza nel collegio. Scoperto il suo inganno, le donne escogitano un piano per liberarsi definitivamente del soldato avvelenandolo con una cena a base di funghi.

L’inganno: la rilettura femminista di Sofia Coppola

Con L’inganno, Sofia Coppola compete stavolta non soltanto con un precedente letterario ma anche con uno cinematografico. Il confronto con La notte brava del soldato Jonathan non deve però trarre in errore. Si tratta di due film molto diversi, in cui l’immaginario è totalmente ribaltato. La Coppola elimina la componente perturbante così presente nella pellicola di Siegel per accentuare gli elementi fiabeschi del racconto. Lo stato di sospensione della narrazione ricorda molto da vicino Il giardino delle vergini suicide, che già celava gli elementi più oscuri del racconto all’interno di uno scenario surreale.

Ciò che la regista prende di mira è il sottotesto misogino e maschilista del suo precedente, trasferendo nel film uno sguardo tutto al femminile. Se Siegel aveva ritratto le donne del collegio come soggetti passivi e isterici, la Coppola dà voce in capitolo alle sue protagoniste. Le azioni, anche terribili, delle ragazze risultano consapevoli e, soprattutto, comprensibili da parte dello spettatore, che è portato a condividere il loro punto di vista.

Similmente a Il giardino delle vergini suicide e Marie Antoinette, la Coppola mette le sue protagoniste in uno stato di prigionia domestica. I loro corpi sono rinchiusi nello spazio opprimente del collegio, come le sorelle Lisbon nella casa di famiglia, e la Regina a Versailles. La differenza sta nel fatto che le ragazze de L’inganno riescono a rivendicare quello spazio come proprio, con audacia e violenza. Questo processo di appropriazione avviene grazie al confronto, forse un po’ impari, tra il femminile e il maschile rappresentato dal caporale. È la scoperta della pulsione sessuale a trasformare il modo delle donne di abitare lo spazio, tagliando violentemente fuori chiunque cerchi di occuparlo. L’astuto caporale McBurney, da oggetto del desiderio, cadrà vittima della spietata vendetta delle protagoniste.

Lo spazio privato della casa assume quindi una nuova simbologia. Le ragazze uccidono gli angeli del focolare per presentarci, al contrario, una femminilità oscura e violenta. Con L’inganno, la regista si conferma autrice nel senso più autentico del termine. Il film, seppur divisivo, rimane sempre coerente con il suo cinema, conquistando a pieno titolo un posto tra i migliori film di Sofia Coppola.

Martina Pedata

Note e Bibliografia

[1] Jack Halberstam, Female Masculinity, Duke University Press, 2019, p.5.