Germaine Dulac: tre film della regista nell’avanguardia francese

Germaine Dulac è, ad oggi, una delle cineaste più importanti della storia del cinema. Il suo percorso artistico si inserisce pienamente all’interno dell’estetica avanguardistica degli anni Venti, declinata da un punto di vista tutto al femminile. Ecco un’analisi della sua poetica attraverso tre film particolarmente rappresentativi della sua cinematografia: La Souriante Madame Beudet, L’invitation au voyage e La coquille et le clergyman.

Germaine Dulac: vita e formazione

Pseudonimo di Charlotte Elisabeth Germaine Saisset-Schneider, Germaine Dulac nasce ad Amiens nel 1882 e si forma a Parigi in un contesto di piena convergenza tra le diverse forme artistiche. La futura cineasta studia musica, letteratura, pittura e teatro e inizia la sua carriera come giornalista sul quotidiano femminista La Française. Il suo esordio cinematografico avverrà nel 1915 con Les Sœurs ennemies (Le sorelle nemiche). Nello stesso anno, fonda la casa di produzione Delia Films, assieme al marito Albert Dulac e ad alcuni colleghi cineasti. All’attività di regista, Germaine affianca un’intensa produzione teorica, in linea con i discorsi sul cinema che si affrontano nel territorio francese di quegli anni. Morirà a Parigi nel 1942. Attualmente è sepolta nel cimitero di Père-Lachaise.

Il contesto della première garde francese e le nuove teorie sul cinema

Il suo percorso artistico infatti si compie in piena sintonia con quella che viene convenzionalmente chiamata première garde o première vague. La definizione di prima avanguardia è adottata proprio per distinguerla dall’ondata surrealista e dalla Nouvelle Vague successiva. In questo contesto lavorano cineasti come Jean Epstein, Louis Delluc, Abel Gance e Marcel l’Herbier, che contemporaneamente danno seguito alle nuove teorie sul cinema.

Germaine Dulac

Nelle pagine della stessa Germaine Dulac, viene definita quella che lei chiama anche “avanguardia impressionista”. Questi film si pongono in aperto contrasto con la linea rappresentata dal cinema narrativo e trascurano il racconto per descrivere i movimenti delle emozioni vissute dai personaggi. Il discorso teorico della première garde si articola intorno all’essenza stessa dell’immagine cinematografica e al concetto fondante di fotogenia.

Che cos’è la fotogenia? Chiamerò fotogenico ogni aspetto delle cose, degli esseri e delle coscienze che accresca la propria qualità morale attraverso la riproduzione cinematografica.[1]

La fotogenia, in breve, permette l’avverarsi della relazione tra immagine e realtà e di una visione percettiva, che vada oltre l’oggettivo. Il cinema è tale proprio perché permette l’avvicinamento agli oggetti e ne rivela le qualità che l’occhio umano non riuscirebbe a vedere. In questo discorso, il ruolo del primo piano è fondamentale, proprio perché si fa espressione dell’interiorità.

Io guardo, annuso, tocco: primo piano, primo piano, primo piano. […] il primo piano modifica il dramma grazie all’impressione di prossimità. Il dolore è a portata di mano. Se allungo il braccio ti tocco, intimità. […] Mai un viso si è avvicinato tanto al mio. Mi marca stretto e io lo inseguo faccia a faccia.[2]

La poetica di questi registi dunque mira a creare impressioni, cioè a suscitare una reazione emotiva nello spettatore, anche attraverso una scelta di soluzioni tecniche mirate. Abbondano soggettive, ralenti, sovrimpressioni e dissolvenze incrociate, tutti espedienti che riescono a tradurre il punto di vista e la vita interiore.

Il cinema di Germaine Dulac

La cinematografia di Germaine Dulac si inserisce perfettamente all’interno di questeGermaine Dulac riflessioni e vi unisce un punto di vista diverso. Prima e unica regista donna dell’avanguardia, la Dulac fonde il registro narrativo con la sperimentazione tecnica per mettere in scena le traiettorie della psicologia femminile. Nel corso della sua attività, la cineasta si cimenta in forme e generi diversi e non sarebbe possibile analizzare in questa sede tutta la sua produzione. Nonostante il lavoro di restauro compiuto negli ultimi anni, alcuni film rimangono perduti o frammentati. Ci si concentrerà quindi solo su alcune pellicole, tra le più famose e rappresentative del suo percorso.

La Souriante Madame Beudet, Germaine Dulac (1923)

La Souriante Madame Beudet, datato 1923, è considerato retrospettivamente come il primo film femminista della storia[3].

La Signora Beudet è una sorta di Madame Bovary, intrappolata in un matrimonio che non vuole. Trova insopportabile la vita coniugale nella provincia e non prova alcun affetto per il marito. La protagonista passa quindi le sue giornate a suonare Debussy e leggere Baudelaire, in cerca di una via di fuga dalla realtà.

Qui Germaine Dulac opera un’efficace convergenza tra registro narrativo e sperimentazione tecnica per indagare l’interiorità del personaggio. Il film si muove su uno scenario esplicitamente psicologico e segue le traiettorie dello sguardo della Signora Beudet. Il piano e la lettura alimentano l’immaginazione della donna, che sogna ogni sorta di evasione dalla sua vita. La regista articola sapientemente il punto di vista della protagonista attraverso una serie di tecniche precise, tra cui spicca la sovrimpressione. Allo stesso modo, risulta significativo l’uso del primo piano e di un montaggio narrativo[4] che mette in correlazione realtà e fantasia.

Il film si apre con la Signora Beudet che suona uno spartito di Debussy. Il ritmo della musica la riporta ad uno scenario lontano dalla sua esistenza noiosa in provincia. La sera stessa rifiuta l’invito del marito ad andare a teatro e si perde nella lettura di una rivista. Dalle pagine prende vita un avvenente giocatore di tennis che porta via di peso il Signor Beudet, tra le risate isteriche della moglie.

La messa in scena dello sguardo mira a creare una complicità forte con la protagonista. Lo spettatore partecipa alle sue fantasie e condivide con lei il sentimento di insofferenza verso il marito. Il personaggio del Signor Beudet appare inadeguato, superficiale e rozzo ed è sempre sottoposto allo sguardo disgustato della moglie. L’incompatibilità della coppia è resa da un sapiente gioco di contrasti tra ombre e luci e da alcuni espedienti narrativi d’indubbia efficacia. Uno di questi è ad esempio il vaso di fiori che viene spostato ripetutamente dai due, dal centro all’angolo del tavolo.

Nella seconda parte del film, Germaine Dulac avviluppa la sua protagonista in uno scenario delirante. Il marito è uscito per andare a teatro e la Signora Beudet, rimasta sola, scopre che lui ha chiuso a chiave il pianoforte. È il punto di non ritorno per la protagonista che, in preda all’ossessione, decide di vendicarsi. Il consorte è solito tenere una piccola pistola scarica nel cassetto della sua scrivania con cui spesso gioca a inscenare un finto suicidio. La moglie inserisce i proiettili all’interno ma, al mattino, si pente e cerca di rimediare. Ecco che il Signor Beudet ripete lo scherzo, mirando stavolta verso di lei, ma il proiettile non la colpisce. Il marito, credendo che la donna volesse suicidarsi, corre ad abbracciarla. Il suo ultimo sguardo sconfortato in macchina non fa che ribadire l’immutabilità della sua condizione e giustificare il suo atto di ribellione.

L’invitation au voyage, Germaine Dulac (1928)

Germaine Dulac realizza L’invitation au voyage nel 1928. Il film è dichiaratamente ispirato all’omonima poesia di Charles Baudelaire contenuta in Les Fleurs du mal. Il riferimento non è casuale: la Dulac non è estranea alla lirica baudelaraiana, con cui condivide la dimensione tematica e ritmica.

Il racconto si apre proprio sui suoi versi e inquadra l’ingresso di un locale, che sarà il luogo principale dell’azione. La protagonista scende dal taxi e si avvia verso le porte. I riflessi di luce e la successiva dissolvenza incrociata indicano che si tratta di un luogo immaginario, un ipotetico spazio ideale.

Il lento ingresso di lei, sottolineato da una dissolvenza incrociata, altro procedimento che per Dulac traduce i risvolti psicologici dei personaggi, assume la funzione di una soglia emotiva ma anche sociale: una signora sposata della buona borghesia sta “passando attraverso”, sta trasgredendo le regole del vivere “perbene”[5]

Come il precedente, tutto il film si muove sulla psicologia e sull’immaginazione della donna, che inizia un flirt con un ufficiale della marina. Attraverso un flashback, scopriamo però che è sposata e ha anche un figlio.

Il film si articola su uno scenario fantasmatico, che presta particolare attenzione alle dinamiche del desiderio e dell’inconscio. L’uso di primissimi piani, dettagli[6] e sovrimpressioni amplifica l’intensità dello scambio di sguardi e le fantasie della coppia, che si immagina altrove in paesaggi lontani. Germaine Dulac qui abbandona il punto di vista unico per rappresentare la frustrazione dei due amanti, entrambi intrappolati nelle convenzioni borghesi. L’uomo scopre la fede nuziale al dito della donna insieme al medaglione in cui è contenuta la fotografia del figlio. Invita a ballare un’altra ragazza e la protagonista lascia il locale per tornare a casa.

Il finale ci mostra alternativamente la donna a letto e l’uomo nel locale che rigira tra le mani il medaglione di lei. La malinconia di queste ultime immagini esprime una decisa critica alla rigidità degli schemi sociali nei quali tutti, sia uomini che donne, sono imbrigliati.

La coquille et le clergyman, Germaine Dulac (1928)

Nello stesso anno di L’invitation au voyage, Germaine Dulac realizza La coquille et le clergyman. Sebbene sia molto distante dal punto di vista estetico dagli altri, il film risulta importante per l’analisi della sua poetica. La pellicola è tratta stavolta da una sceneggiatura di Antonin Artaud, che la regista stravolge completamente nel senso.

Qui la protagonista femminile è contesa tra due uomini: il clergyman a cui si riferisce il titolo e il compagno della donna, rappresentato da un generale. Il protagonista comincia quindi a seguire la coppia e tenta di liberarsi del rivale. Sarebbe impossibile in questa sede fornire indicazioni precise sulla trama. Il film segue un’estetica esplicitamente surrealista: gli eventi non sono quindi raccontati in modo lineare ma attraverso immagini metaforiche che seguono la logica dell’inconscio.

Germaine Dulac mette in scena le dinamiche del desiderio maschile eterosessuale attraverso uno scenario esplicitamente freudiano. In questo senso, il finale rappresenta il raggiungimento della corretta mascolinità in una traiettoria edipica, che per Freud regola la dinamica sessuale. All’inizio, il protagonista è intento a spiare e seguire la coppia, in una chiara rappresentazione della scena primaria freudiana in cui il bambino spia i genitori. Il film si conclude con l’arrivo nella sala di una grande casa e con la costituzione di una nuova coppia, il clergyman e la donna. Ecco che questo passaggio è segnato dalla sostituzione simbolica dell’amore: da quello infantile per la madre, a quello adulto per una donna.

La peculiarità della rilettura di Artaud da parte della Dulac sta nel presentare questa ricerca come del tutto fallimentare, in una prospettiva dichiaratamente antimaschile. Qui la protagonista rappresenta l’incarnazione del desiderio stesso. Tuttavia, la regista opera un’efficace contrapposizione tra i due poli per mettere in scena le dinamiche di potere. L’immagine della donna risulta potenziata dal confronto con i due uomini, che al contrario incarnano una mascolinità ridicola e debole.

In sostanza, spostando il focus da una rappresentazione realista ad una surrealista, la Dulac presenta la figura femminile in continua trasformazione. Il fallimento del clergyman, quindi, rappresenta il fallimento dell’eterosessualità normativa.

Tutti e tre i film, in diverse forme, mostrano come Germaine Dulac sia riuscita ad incarnare un punto di vista nuovo e radicale all’interno di un’avanguardia tutta al maschile.

Filmografia completa

  • 1915: Les Sœurs ennemies
  • 1917: Venus Victrix
  • 1917: Géo, le mystérieux
  • 1918: La Jeune Fille la plus méritante de France
  • 1918: Âmes de fous
  • 1919: Le Bonheur des autres
  • 1919: La Cigarette
  • 1920: Malencontre
  • 1920: La Fête espagnole
  • 1921: La Belle Dame sans merci
  • 1921: La Mort du soleil
  • 1922: Werther
  • 1923: La Souriante Madame Beudet https://www.youtube.com/watch?v=8uju6fnmgZA
  • 1923: Gossette
  • 1924: Le Diable dans la ville
  • 1924: Âme d’artiste
  • 1926: La Folie des vaillants
  • 1927: Le Cinéma au service de l’histoire (documentario)
  • 1927: Antoinette Sabrier
  • 1928: L’invitation au voyage https://www.youtube.com/watch?v=nZeLwnKuzIY
  • 1928: Thèmes et variations
  • 1928: La Princesse Mandane
  • 1928: La Germination d’un haricot
  • 1928: Disque 957
  • 1928: Danses espagnoles
  • 1928: Ceux qui ne s’en font pas
  • 1928: La coquille et le clergyman https://www.youtube.com/watch?v=ziOabpgpXPI
  • 1929: Étude cinégraphique sur une arabesque
  • 1930: Celles qui s’en font
  • 1934: Je n’ai plus rien

Note e Bibliografia

[1] Jean Epstein citato in: Giulia Carluccio, Luca Malavasi, Federica Villa, Il cinema, percorsi storici e questioni teoriche, Carocci Editore, Roma 2015, p. 49.

[2] Jean Epstein citato in: Chiara Tognolotti, La caduta della casa Usher, Fotogenie, Superfici, Metamorfosi, Mimesis, Milano 2020, p. 30.

[3] Per completezza, si rimanda alla figura di Alice Guy come prima donna nel cinema e pioniera al pari dei contemporanei Lumière e Méliès.

[4] Per montaggio narrativo si intende quello tipico del cinema classico, che accomuna la produzione hollywoodiana tra gli anni Venti e gli anni Sessanta. Si tratta di un procedimento che mira ad un montaggio invisibile, in cui gli stacchi creano un immersione totale nel mondo di finzione. Per approfondire: Gianni Rondolino, Dario Tomasi, Manuale del film, Linguaggio, Racconto, Analisi, Utet, Torino, 2018, pp. 209-223.

[5] Anna Masecchia, Chiara Tognolotti, Metamorfosi e sovrimpressioni: la cinégraphie di Germaine Dulac, in «Arabeschi», Galleria: smarginature. Sperimentali. Cinema, videoarte e nuovi media, a cura di L. Cardone, E. Marchesci, G. Simi, 16, 2020.

[6] Nella scala dei piani, il primissimo piano è la sola inquadratura del volto, mentre il primo piano inquadra il soggetto fino alle spalle. Il dettaglio invece è l’inquadratura ravvicinata di un oggetto. Per approfondire sempre: Gianni Rondolino, Dario Tomasi, Manuale del film, Linguaggio, Racconto, Analisi, Utet, Torino, 2018, pp. 114-124.

Veronica Pravadelli, Le donne del cinema, dive, registe, spettatrici, Laterza, Roma 2014.

Martina Pedata