Ermeneutica: significato e storia

L’ermeneutica , o “arte dell’interpretazione”, è oggi una parola chiave della filosofia, tanto da costituirne una vera e propria branca. Anche se la sua origine è antica, il significato si è trasformato col tempo. In questo articolo ne analizziamo il senso e l’evoluzione attraverso il pensiero dei principali filosofi che ne hanno trattato.

Le origini dell’ermeneutica

Innanzitutto, va detto che l’etimologia di questa parola è incerta. Già utilizzata nei dialoghi platonici, essa compare nel greco antico come ἑρμηνευτική, fusione di τέχνη, che vuol dire “tecnica“, “arte di“, ed hermen. Questo secondo termine sembra molto vicino al nome del dio Hermes. Perciò alcuni come Heidegger ipotizzano una radice comune, supportata dal fatto che Hermes è il dio messaggero che porta parole e argomentazioni da una persona ad un’altra. Perciò, ermeneutica ha il significato di “traduzione“, “spiegazione”, “interpretazione“.

In effetti, tale parola sembra un sinonimo di “esegesi“, quest’ultima indicante un’operazione propria del campo della semantica, volta alla corretta comprensione dei testi (come ad esempio l’esegesi biblica, cioè la comprensione dei Testi Sacri). Tuttavia, oggi la tendenza è l’attribuzione di un significato più ampio alla parola ermeneutica. Cioè, essa riguarda non solo la spiegazione di testi, bensì anche la comprensione di ciò che è trasmesso senza essere scritto. Ma non si tratta del semplice discorso orale, in quanto anche un manufatto, realizzato da uomini e per questo portatore di significati, può (e deve, in un’ottica ermeneutica) essere soggetto a interpretazione. Ma si tratta di un significato che il termine assume col tempo e che reca con sé non poche problematiche.

Ermeneutica
Statua di satiro che tenta l’accoppiamento con una capra. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

Dunque, il problema ermeneutico è posto, come suddetto, in primo luogo da Platone. Infatti, nel dialogo Il Cratilo, il personaggio di Socrate illustra l’etimologia dei nomi delle divinità greche e si focalizza in particolare su Hermes e suo figlio Pan. Così, attraverso l’immagine di Pan, dalle sembianze per metà umane e metà caprine, egli spiega l’ambivalenza della parola, che necessità perciò sempre un’interpretazione per la sua comprensione integrale. Da qui il potere che la parola conferisce a colui che sa ben destreggiarsi nell’arte ermeneutica.

L’ermeneutica nella cultura greca e cristiana

Anche se Platone già tratta dell’ermeneutica, è con Aristotele che abbiamo una formulazione più “scientifica” del metodo ermeneutico. In effetti, se nel Cratilo Platone descrive come Socrate utilizza l’ermeneutica, in altri dialoghi come Il Politico questo approccio viene svalutato come arte che non permette il raggiungimento della verità. In effetti, ciò si spiega col fatto che l’ermeneutica, come la intende Platone, non tiene conto in modo necessario dell’etimologia e l’evoluzione delle lingue. Così, possono essere accostate per il loro senso parole simili, anche di lingue diverse, senza che ne sia comprovata l’affinità linguistica. Dunque, l’accostamento volto a spiegare in modo reciproco due parole è una operazione resa possibile da una certa creatività di chi la compie. Insomma, essa appare più come un’abilità pratica che una scienza.

Dunque, Aristotele inaugura l’idea che l’ermeneutica sia uno strumento di comprensione valido. Infatti, di ciò egli parla in uno dei testi raccolti nell’Organon, il secondo, ricordato non a caso col nome Περί ἑρμηνείας, “Sull’interpretazione“. Su questo nuovo modello l’ermeneutica ha una valenza conoscitiva. Difatti, l’ermeneutica va intesa non come scienza delle cose, ma delle parole. Quindi, essa ha validità anche se le parole non corrispondono a ciò che accade nel mondo fisico, in quanto riguarda esperienze mentali. Cioè, ad esempio, possiamo dire “luna” anche se non vediamo la luna, ma coloro che dicono e ascoltano questo termine condividono l’immagine evocata dalla parola, ed è questa, non la luna in quanto ente fisico, interesse dell’ermeneutica.

Ma l’ermeneutica è presente anche nel mondo cristiano. Anche se come esegesi già è presente nell’ebraismo è con lo sviluppo del cristianesimo che assume un senso volto alla trattazione dei misteri relativi alla sfera del sacro di questa religione.

Da Agostino a Lutero

In effetti, l’ermeneutica diviene, col cristianesimo, un sapere fondamentale, in quanto essa ha il compito spinoso dell’interpretazione corretta di testi ispirati da Dio, concernenti cose divine ma tradotti e comunicati in linguaggio umano. Inoltre, questa operazione deve essere compiuta di volta in volta, in quanto la trasformazione delle lingue (come il passaggio progressivo dal latino al volgare) rende sempre più difficile la comprensione del senso originario di questi testi.

Quindi, in una prima fase, l’ermeneutica svolge la funzione di interpretazione delle storie descritte nell’Antico Testamento. Cioè, le vicende accadute al popolo ebraico, intese ora non più come semplici fatti storici, bensì come simboli essi stessi delle vicende future, come la nascita di Cristo e il Giudizio Universale, devono essere ben interpretate in questa chiave di lettura. Così, il metodo ermeneutico è descritto in primo luogo da Agostino di Ippona nel testo De doctrina christiana. Poi, col trascorrere dei secoli, la cultura cristiana affina questa scienza. Ma allo stesso tempo propone di volta in volta anche interpretazioni nuove, spesso in sintonia con le scoperte e le esigenze storiche di cui gli studiosi vengono a conoscenza. Questo avviene per tutto il Medioevo con le varie scuole di pensiero teologico, ad esempio con la Scolastica. Difatti, per il fondatore della Scolastica, Tommaso d’Aquino, fede e ragione devono sempre muoversi insieme.

Poi, un passo successivo avviene con Martin Lutero, il quale propugna l’importanza di una lettura e interpretazione dei Testi Sacri non assoggettate all’ipse dixit imposto dalla Chiesa. L’idea che ognuno può interpretare i Testi Sacri anche in modo contrario a quanto imposto dalla Chiesa, il cosiddetto sacerdozio universale, sfonda la cortina del dogmatismo cattolico, diventata sempre più stringente. Ma, allo stesso tempo, pone le premesse affinché l’ermeneutica diventi un metodo utilizzato non più solo in riferimento alla sfera teologica.

L’ermeneutica moderna

Anche se ancora relativo a uno studio dei Testi Sacri, un passaggio importante per tale trasformazione è dato da Spinoza. Quest’ultimo, nel suo Trattato Teologico Politico, compie un’ermeneutica volta a demistificare le verità ebraico-cristiane. Cioè, ad esempio, tratta della descrizione di Dio compiuta dai vari autori in modo diverso, come il capo di un potente esercito costituito dalle schiere angeliche, oppure come di una figura sopra un carro volante circondato da angeli per metà animali. In effetti, sostiene Spinoza, ciò deriva dalle conoscenze differenti che i singoli autori, e il popolo a cui si rivolgono, possiedono. Così, se i lettori sono uomini armati, è più efficace la prima descrizione, e se sono contadini la seconda.

Insomma, la descrizione di Dio non è attinente alla natura di Dio, bensì è concepita in base al modo col quale essa è comunicabile. Ma siccome si è persa coscienza di ciò, i capi religiosi pretendono che queste siano descrizioni esatte. Invece, compito dell’ermeneutica è mostrare il contrario. Dunque, qualsiasi trattazione ha validità nella misura in cui siamo consapevoli che queste ultime sono poste da una persona, che in quanto tale non può non condizionarla con le proprie lenti. Cioè, il problema diviene, come lo teorizza Friedrich Schleiermacher, la comprensione della mens auctoris.

Si tratta anche in questo caso di un processo non lineare, nel quale diversi filosofi hanno cercato strade diverse nel tentativo di risolvere il problema posto dall’ermeneutica. Cioè, trovare un modo col quale lo scarto tra oggetto descritto, persona che descrive e descrizione venga colmato. Come illustra Battista Mondin, con l’età moderna l’ermeneutica prende due direzioni principali: quella iniziata da Kant, che riconosce il primato al soggetto e non all’oggetto, e quella linguistica, che pone in primo luogo il linguaggio in qualità di realtà nella quale gli individui si muovono.

Heidegger e Gadamer

Un contributo importante alla storia dell’ermeneutica è dato da Heidegger, e poi da Gadamer che ne prosegue le ricerche in merito. Infatti, Heidegger conia l’espressione “essere nel mondo” ed “esserci” che spiega proprio come l’uomo vive uno scarto tra il mondo che esiste al di là della sua presenza e il suo qui ed ora. Cioè, ogni individuo vive una dimensione del tutto particolare, diversa da quella degli altri. Insomma, l’ermeneutica non è più un problema che riguarda solo ciò che è passato. Così come non riguarda più solo il rapporto tra persone e oggetti. Invece, il problema ermeneutico riguarda ogni momento del vissuto, e anche e soprattutto il rapporto con l’altro. Come afferma Gadamer:

«Non usiamo il linguaggio come un sistema arbitrario di segni con cui comunicare, ma […] il linguaggio “parla” […] paradosso che però allude al fatto che l’esperienza dell’uomo, situato nel mondo […] compie azioni simboliche volte alla comunicazione».

Così, egli definisce l’ermeneutica “comprendere un testo e rendere comprensibile l’espressione dell’altro”. Perché ciò sia possibile, bisogna “porsi in ascolto del linguaggio stesso”. L’ermeneutica è allora arte di saper ascoltare, imparare a farlo, e diviene studio dei condizionamenti soggettivi, culturali, storici, di ogni prodotto umano. Da qui il passo avanti rispetto anche al pensiero di Kant. Infatti, non basta più muovere dall’autocoscienza, è necessario il dialogo con l’altro.

Inoltre, Gadamer accenna anche alla possibilità che il problema ermeneutico, così come posto da Heideggher, non riguardi solo l’essere umano ma anche altre forme di vita. Difatti, egli pone come esempio i graffiti delle caverne realizzate dagli ominidi. Come interpretare una simile espressione se non come il tentativo, da parte di chi li ha realizzati, di esprimere il proprio essere nel mondo, comunicando la propria visione del mondo?

Ermeneutica oggi

Ermeneutica
Ritratto di Gadamer. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

Su questa scia, con risultati simili ma con le dovute differenza, troviamo molti altri filosofi. Possiamo ricordare Dilthey, che col suo concetto di Weltanschauung si avvicina al concetto di esserci heideggheriano, o ancora Foucault che tiene un corso, poi raccolto in uno scritto intitolato L’ermeneutica del soggetto.

Resta comunque significativo oggi il contributo di Gadamer che, riprendendo quello che è il significato platonico-aristotelico dell’ermeneutica, afferma che le cose dette non hanno la pretesa di essere verità definitive. Quindi, l’ermeneutica non permette di arrivare, se adoperata, alla verità ultima delle cose, dato lo scarto che esiste tra le cose e il nostro modo di coglierle. E tuttavia, questa scienza risponde all’esigenza di spingersi con la mente fino a pensare ciò che non si sa esprimere.

Luigi D’Anto

Bibliografia

Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.

Aristotele, Organon, a cura di G. Colli, Adelphi 2003.

Spinoza, Trattato Teologico Politico,

Battista Mondin, Ermeneutica, Metafisica e e Analogia in S.Tommaso d’Aquino, Edizioni studio domenicano, 1995.

Sitografia

Intervista ad Hans Georg Gadamer sull’ermeneutica sul canale Youtube di Peri politeias.

Gianni Vattimo tratta dell’ermeneutica nel video su Youtube di questo link.

Nota: l’immagine di copertina è ripresa da Wikimedia Commons.