Pitagora: la fortuna e il declino della scuola pitagorica

Profeta, mago, custode di una conoscenza nascosta. Molte leggende caratterizzano questo filosofo dell’antichità. Nell’articolo, illustriamo quello che conosciamo della vita e del pensiero di Pitagora, inclusi alcuni aneddoti a lui legati.

Pitagora e la scuola pitagorica

Secondo le fonti, Pitagora nasce a Samo, isola dell’Egeo orientale che dà i natali a lui e altri intellettuali, come Epicuro. Il filosofo nasce verso il 580 a.C. e muore nel 495 a.C sui novant’anni a Metaponto, nel sud Italia. La sua epoca è di grande espansione economica e culturale per il mondo greco ed egli contribuisce a questa espansione. Infatti, con lui prende forma una scuola di pensiero, la “scuola pitagorica“, fondata a Crotone verso il 530 a.C.

Pitagora

Definire tale scuola esclusivamente come filosofica è un errore. Oltre alla filosofia i pitagorici studiano matematica, astronomia e musica. Anzi, oggi è considerata pionieristica del pensiero scientifico occidentale per la forte attenzione sullo studio dei numeri. Giamblico e Porfirio, dandocene notizia, scrivono che vi sono due tipi di studiosi: i matematici e gli acusmatici. Nei primi la ricerca scientifica è più accentuata, nei secondi prevale lo spirito religioso. Infatti, la religione è un altro elemento marcante della scuola che la rende più simile a una setta. Tuttavia, la “religione pitagorica” è molto diversa da quella classicamente greca ed è imperniata sul numero e l’armonia del cosmo.

Perciò, la scuola ha regole precise volte a evitare o  avvicinarsi a ciò che allontana o favorisce tale armonia. Per esempio i matematici, che hanno il privilegio di ascoltare le lezioni di Pitagora, hanno l’obbligo di non sposarsi, non mangiare carne, tener segrete le conoscenze acquisite e vivere in comune. Proprio questo carattere esoterico della conoscenza stimola varie leggende che, nel corso dei millenni, descrivono i pitagorici come dei maghi.

La filosofia nasce con Pitagora?

Filosofia, dal greco φιλοσοφία, cioè amore (phílos) per la conoscenza (sophía), è un nome che, secondo la tradizione, è invenzione di Pitagora. Questo vuol dire che prima di Pitagora i filosofi non esistevano? Non proprio. Se fosse così, non chiameremmo filosofi Talete, Eraclito, Anassimandro, e altri pensatori vissuti prima di lui. Sembra però che questi “pre-pitagorici” definiscano loro stessi sofós, cioè “sapienti“, e non filosofi.

La differenza è nel carattere iniziatico del filosofós. Infatti, mentre sofós indica colui che è sapiente perché dedica il suo tempo allo studio, filosofós sottintende il tentativo di avvicinarsi a un sapere nascosto. Benché la scelta del nome “filosofo” appaia quasi come un titolo modesto rispetto a quello di sapiente, tale interpretazione è discutibile. Piuttosto, mostra che la pratica filosofica, già esistente, assume una declinazione differente. Non è uno sminuirsi, quanto un descrivere la conoscenza come un atto continuo e senza fine.

In tale appellativo si coglie l’aspetto religioso dello studio, che tende a un’ideale di conoscenza perfetta che non è pienamente raggiungibile e ascrivibile al mondo metafisico. D’altra parte, il legame con la sfera religiosa e iniziatica sembra già presente nel nome stesso del filosofo. Infatti, c’è chi lo interpreta come un composto di Πύθιος, cioè “Pizio“, epiteto di Apollo uccisore del serpente Pitone, e ἀγορά, “piazza“.

La “religione” pitagorica

Come accennato, i pitagorici sviluppano una propria lettura cosmogonica. Pitagora svolge le sue lezioni nella “Casa delle Muse“, ma anche queste divinità non sono che un simbolo. Infatti, esse rappresentano per i pitagorici l’armonia del mondo raggiungibile attraverso le scienze e le arti. Invece, la scuola ha una profonda venerazione per la sfera, figura che incarna la perfezione geometrica e l’armonia di tutte le cose, tanto sotto un punto di vista fisico quanto matematico.

I pitagorici credono nella metempsicosi, la trasmigrazione dell’anima. La reincarnazione è un’ideale molto distante dall’aldilà della cultura greca. Ma questa condizione è raggiunta solo attenendosi a un certo stile di vita: una precisa dieta, esercizi ginnici e passeggiate in solitudine. Queste informazioni sono descritte da Aristotele nel trattato sull’anima. Infatti, tutte le notizie a noi giunte su Pitagora e i suoi discepoli sono fonti indirette. Perciò, non è sempre facile distinguere il pensiero di Pitagora da quello dei discepoli, così come discernere la verità dalla leggenda.

Si ritiene che la metempsicosi è un’idea che il pitagorismo recupera dall’orfismo, religione misterica già presente in Grecia. Non manca chi ha cercato nel pensiero pitagorico un’influenza egizia, vista fin dall’antichità come la patria di un pensiero antico e magico. Però, il modo migliore per comprendere il pitagorismo è probabilmente pensarlo nell’ottica di un momento di grande fermento culturale. In questo periodo, come già accennato, i popoli del Mediterraneo si scambiano tradizioni e conoscenze, sviluppando correnti di pensiero nuove. D’altra parte, è proprio questo il parere di Porfirio quando descrive i pitagorici:

«Quanto all’oggetto dell’insegnamento [di Pitagora] i più dicono ch’egli apprese le cosiddette scienze matematiche dagli Egizi e dai Caldei e dai Fenici […] I riti intorno agli dei e quanto riguarda i costumi dicono che invece li apprese dai Magi.»

L’elemento primo: il numero

Talete indica come ἀρχή, origine del mondo, l’acqua; Eraclito, il fuoco; Anassimene, l’aria… e Pitagora? Se i pensatori su riportati identificano archè ed elementi fisici, per quanto riportati in una dimensione ontologica, con il filosofo di Samo abbiamo il numero. Forza matematica, principio algebrico-geometrico, ma anche sostanza delle cose, dunque legge gnoseologica e ontologica: dal numero dipende l’ordine, la salute e la bellezza. Così, con Pitagora abbiamo un balzo in avanti del pensiero astratto, iniziato da Anassimandro, forse suo maestro, col concetto di ápeiron.

A onor del vero, va detto che anche il fuoco, come in Eraclito, ha importanza nel cosmo pitagorico. Infatti, come riporta Aristotele, al centro dell’universo si trova per loro un fuoco intorno cui girano gli astri e che determina l’alternarsi di giorno e notte. Tuttavia, ciò che  importa ai pitagorici è che questo fuoco ha la forma perfetta della sfera. Ugualmente, i pianeti sarebbero dieci, nonostante all’epoca se ne conoscessero nove, perché dieci è il numero perfetto. Il pianeta da loro aggiunto per arrivare a questo numero è “Antiterra“.

Sempre Aristotele dice che l’intuizione che l’archè sia il numero deriva dall’osservazione della natura, proprio come con gli altri filosofi. Ma mentre questi osservano gli oggetti fisici, Pitagora scruta i rapporti tra gli oggetti, scoprendo le leggi matematiche che li regolano. Così, il numero non è solo strumento di calcolo e assume una forte carica simbolica che permette di interpretare il mondo.

Pari, dispari, e parimpari

Pitagora

A proposito della carica simbolica, per i pitagorici i numeri pari hanno “meno perfezione” dei dispari. Questo perché, se rappresentati in forma geometrica con puntini e linee, formano delle figure inconcluse, spezzate, a differenza dei dispari. L’incompletezza è sinonimo di imperfezione, ne consegue che i numeri dispari sono quelli perfetti. (Quindi questo articolo, che ha sette paragrafi, sarebbe molto apprezzato da un pitagorico).

Ma tra tutti, il numero dieci ha maggior perfezione, in quanto somma dei primi quattro numeri che, resi con un’immagine, formano un triangolo equilatero. Il triangolo ottenuto, detto tetraktýs, possiede un carattere sacro, come il pentagramma, anch’esso forma perfetta simbolo di vita e potere.

Quindi, prendersi cura dell’anima vuol dire conoscere i rapporti numerici e regolare la propria vita in base ad essi. Ma questo non significa che la vita ideale è arida, basata solo sui calcoli e dimentica di altri aspetti del vissuto. Al contrario, proprio perché il numero regola tutto, fonda ad esempio le leggi della musica, che permettono di realizzare melodie più piacevoli. Per questo, per i pitagorici, la miglior medicina è la conoscenza, che è un tutt’uno con la cura di sé.

Il teorema e la tavola: davvero di Pitagora?

In ogni triangolo rettangolo l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti. Questo il mantra che oggi conosciamo come “Teorema di Pitagora” e attribuito al filosofo. Associamo al filosofo anche la “Tavola pitagorica“, che riporta tutti i numeri da 1 a 100 semplificando il calcolo delle moltiplicazioni. Ma è davvero Pitagora l’inventore?

In realtà, sembra che i Babilonesi conoscessero il teorema del triangolo rettangolo da prima. Infatti su due tavolette, note come Plimpton 322 e Si427, gli studiosi hanno individuato calcoli trigonometrici. Le tavolette fanno riferimento ad atti di compravendita di terreni, a riprova del fatto che la geometria e la proprietà privata si sviluppano insieme. Ma questa scoperta non sminuisce il pensiero del filosofo. Difatti, la novità di Pitagora non è la scoperta di formule matematiche, piuttosto l’utilizzo esterno alla sfera economica. La matematica diviene, cioè, strumento concettuale, pratica del pensiero astratto per comprendere il mondo.

Invece, circa la Tavola pitagorica, sembra che la sua origine sia più indiana. Gli abachi furono grandemente usati nell’antichità e quello noto come “Tavola pitagorica” è uno dei tanti. Questo è giunto fino a noi perché figura in un testo attribuito a Boezio che riporta il nome di Pitagora in basso, da qui l’idea che ne fosse l’inventore. Ma oggi il testo, secondo gli studiosi, non è di Boezio, bensì appartiene al’XI secolo (circa 500 anni dopo). Dunque, il misterioso copista potrebbe aver attribuito la tavola a Pitagora perché già associati i saperi esoterici sui calcoli e i numeri al filosofo.

La prisca philosophia e i segreti pitagorici

Su Pitagora, dicevamo, fioriscono col tempo molte leggende. Queste hanno una lunga tradizione che passa per il Medioevo, ma che trova particolare forza tra il 1400 e il 1500. Infatti, in questi due secoli, il pensiero greco classico torna sui tavoli degli studiosi, in particolare Pico della Mirandola, i quali vogliono compiere uno studio più esatto di quello proposto fino a quel momento. Tuttavia, questo tentativo finisce per dare rilevanza a commentatori tardi dei filosofi classici, più vicini cronologicamente ma comunque vissuti secoli dopo. Aggiungiamo a questo che nel clima rinascimentale del 1500 confluisce in Italia anche il pensiero cabbalistico ebraico e quello islamico che fonde teologia e scienza. Così, questi elementi spingono comunque a una lettura dei filosofi antichi influenzata dagli schemi mentali di quel periodo.

Evolve così l’idea che ci sia una continuità che nel corso dei secoli ha permesso solo a pochi eletti di conoscere le verità sul mondo, una conoscenza definita “prisca philosophia“. Benché questa teoria amalgami tutti i pensatori antichi all’interno di un unico disegno, particolare rilevanza hanno i pitagorici. Collocati a metà strada tra l’orfismo e il pensiero dei filosofi, il loro ricorso al silenzio per i non iniziati sembra confermare la presenza di un sapere segreto, esoterico. Quindi, questa conoscenza sarebbe non solo più grande di quella arrivataci, ma custodita gelosamente per millenni da tutti i sapienti.

La “fine” del pitagorismo

Pitagora
Pitagora ritratto ne “La scuola di Atene” di Raffaello

Far parte della scuola pitagorica vuol dire sacrificare la propria vita allo studio e alle sue pratiche. Perciò,  gli adepti sono perlopiù aristocratici. Questo garantisce alla scuola un grande potere, avendo al suo interno persone politicamente importanti. Eppure, questa circostanza finisce quando iniziano a prevalere i moti democratici. Agli adepti non resta che fuggire in Grecia o in Sicilia, abbandonando la patria della scuola.

Ma accanto ai problemi politici vi è anche una crisi teorica interna. Infatti, sembra che le ricerche dei pitagorici hanno portato alla scoperta dei numeri incommensurabili. Naturalmente, questi numeri costituiscono un problema perchè decostruiscono tutte le teorie sull’armonia fondanti il pensiero pitagorico.

Nonostante questo, sarebbe sbagliato affermare che il pitagorismo ha semplicemente cessato di esistere. Invece, esso influenza il pensiero successivo, sia in ambito scientifico-matematico, sia filosofico e religioso. Anzi, sotto quest’ultimo punto di vista, possiamo dire che lascia traccia in filosofi dell’antichità come Platone e Aristotele. L’influenza è tale che è presente tanto nel neoplatonismo tanto nel cristianesimo e nel pensiero successivo.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

  • N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, 1980
  • Aristotele, De Anima.
  • E. Garin, Il ritorno dei filosofi antichi, Bibliopolis, 1983
  • Porfirio, Vita di Pitagora, Rusconi, 1998.

Sitografia

  • https://matematica.unibocconi.it/articoli/la-tavola-pitagorica
  • https://matematica.unibocconi.it/articoli/svelato-il-mistero-della-tavoletta-plimpton
  • https://www.raiplayradio.it/audio/2018/04/Umberto-Eco-incontra-Pitagora-f5468501-2957-4b64-8417-9aeb3203a4f8.html
  • http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/filosofiaantica/vitadipitagora.pdf