Da un po’ di tempo si sente parlare sempre più spesso di digiuno intermittente. Questo è sempre più frequente, non solo tra gli atleti e nel mondo del fitness, ma anche in ambito medico-clinico.
Infatti, da un articolo pubblicato recentemente sul The New England Journal of Medicine (NEJM) sembra che il digiuno intermittente apporti molteplici benefici sulla salute dell’uomo, sia in termini di durata che di qualità della vita.
Tali benefici sembrano non derivare da una perdita di peso, ma da veri e propri cambiamenti dell’assetto metabolico. Tali cambiamenti si osservano nel periodo di digiuno.
Cerchiamo di scoprire nel dettaglio cos’è il digiuno intermittente, e vediamo quali sono gli studi e i benefici osservati, oltre che le possibili implicazioni clinico-mediche.
Indice dell'articolo
Innanzitutto ecco cosa si intende per digiuno intermittente.
Il digiuno intermittente è un protocollo nutrizionale che prevede una ripartizione dell’alimentazione, tra periodi in cui si mangia e periodi in cui si digiuna.
Esistono diversi metodi di applicazione, e tutti si basano su due concetti fondamentali: il deficit calorico e i cambiamenti metabolici conseguenti al digiuno.
In particolare, sembra che alla base dei benefici ci sia la produzione di corpi chetonici, molecole derivanti dal metabolismo di acidi grassi. Ma vediamo come applicarlo.
Esistono diversi approcci al digiuno intermittente, ma i più conosciuti e studiati sono sostanzialmente tre:
Tutti e tre gli approcci, da quanto riportato sul NEJM, sembrano apportare benefici, per la gran parte indipendenti dalla perdita di peso.
Infatti i benefici sembrano, nella maggior parte dei casi, non dipendere dalla quantità di calorie ingerite, quanto dalla ripartizione delle stesse. Tale ripartizione prevede un periodo di digiuno più o meno prolungato.
Già nel 1997, in un articolo del The New England Journal of Medicine, due ricercatori, Weindruch e Sohal, riportarono uno studio su topi sottoposti a restrizione calorica.
I due scienziati sostennero che la restrizione calorica avesse effetti notevoli sull’invecchiamento e sulla durata della vita negli animali. Tali benefici sembravano derivare da una riduzione della produzione di radicali liberi dell’ossigeno, che sono dannosi per l’organismo.
Tuttavia non fu sottolineato un aspetto importante: i topi consumavano, in genere, la loro intera porzione di cibo giornaliera entro poche ore dalla sua fornitura. Per cui erano costretti ad un periodo di digiuno quotidiano fino a 20 ore.
È questo elemento che ha suscitato la curiosità di diversi ricercatori. Sono cosi partiti una serie di studi, che arrivano fino ad oggi.
Nel Dicembre 2019, sul The New England Journal of Medicine, viene pubblicato un articolo, di due ricercatori De Cabo e Mattson.
In quest’articolo, gli autori discutono i risultati degli studi preclinici e studi clinici più recenti, sul digiuno intermittente. Vengono riportati studi su animali e persone, sia sane che con disturbi metabolici (obesità, insulino-resistenza, ipertensione o una combinazione di questi disturbi).
Cerchiamo di spiegare cosa viene riportato in quest’articolo, quali sono i benefici evidenziati, e cosa c’è alla base di tali benefici.
Il nostro organismo trae la maggior parte dell’energia dal glucosio (carboidrati) e dagli acidi grassi (grassi).
Subito dopo un pasto, il glucosio è utilizzato per produrre energia, mentre gli acidi grassi vengono conservati nel tessuto adiposo sotto forma di trigliceridi.
In condizioni di digiuno, l’organismo inizialmente consuma le scorte di glicogeno del fegato, da cui ricava glucosio. Dopo circa 12 h di digiuno, comincia ad utilizzare gli acidi grassi. Quindi si ha uno switch metabolico, e cioè, un passaggio da metabolismo glucidico (a base di glucosio) a lipidico (a base di acidi grassi).
Gli acidi grassi vengono convertiti dal fegato in corpi chetonici, che diventano la principale fonte di energia per il cervello e molti altri tessuti.
Tuttavia, i corpi chetonici non solo hanno funzione di fonte energetica, utilizzata durante i periodi di digiuno, ma sono anche potenti molecole di segnalazione tra cellule.
I corpi chetonici hanno importanti effetti sulle funzioni cellulari e organiche; questi regolano l’espressione e l’attività di molecole che influenzano la salute e l’invecchiamento, tra cui PGC-1α, il fibroblast growth factor, il NAD+, le sirtuine, il PARP1 e il CD38.
In età preistorica, i nostri antenati, a differenza della popolazione moderna, erano costretti a procurarsi cibo in nicchie ecologiche in cui le fonti alimentari erano scarse. Vivevano in un contesto ostile in cui il cibo scarseggiava, e tra un pasto e l’altro potevano passare diverse ore di digiuno.
Per questo motivo, nel tempo, l’Homo sapiens ha subito cambiamenti evolutivi. Tali cambiamenti hanno determinato l’adattamento a questi ambienti, con un’evoluzione fisica e metabolica finalizzata alla resistenza al digiuno.
Tuttavia, ad oggi, la situazione è ben diversa. Infatti siamo abituati a un regime alimentare molto differente, caratterizzato dal consumo regolare di un minimo di tre pasti al giorno, oltre a spuntini.
Nell’articolo in questione su NEJM, è riportato che la maggior parte degli organi e tessuti risponde al digiuno intermittente. Tale risposta consente all’organismo di tollerare o superare la condizione di stress, e quindi ripristinare l’omeostasi e l’equilibrio. Le cellule attivano una risposta adattativa coordinata allo stress, che porta ad una maggiore espressione di difese antiossidanti, riparazione del DNA e autofagia.
L’autofagia è un processo cellulare che consente la degradazione e il riciclo di materiale cellulare. In poche parole, la cellula degrada se stessa e suoi componenti per ricavare energia, riciclare componenti, e liberarsi di parti danneggiate. Di conseguenza, si ha una risposta migliore allo stress ossidativo (da radicali liberi) e un rallentamento dell’invecchiamento.
Questo spiega quindi quanto osservato già dai primi studi sui modelli animali sottoposti a digiuno: il miglioramento dell’aspettativa di vita e dello stato di salute.
Innanzitutto, si è visto che sui topi il digiuno intermittente migliora la resistenza fisica alla corsa. Mentre negli umani, uno studio su giovani, durato 2 mesi, ha dimostrato che, applicando il protocollo 16/8 con regolare attività fisica (allenamento di resistenza), si ha una perdita di massa grassa mantenendo intatta la massa muscolare.
Inoltre, sembra che i corpi chetonici (prodotti durante il digiuno) stimolino l’espressione del gene per il BDNF (brain-derived neurotrophic factor). Quest’ultimo ha azione stimolante sui neuroni.
Infatti sembra favorire la sopravvivenza di neuroni già esistenti e la nascita di nuovi, con ovvie implicazioni sulla salute cerebrale.
Questo, associato anche alla maggior resistenza allo stress ossidativo, ci permette di ipotizzare il rallentamento del decadimento cognitivo e il miglioramento di vari domini cognitivi, quali memoria associativa, spaziale, di lavoro, e verbale.
Visti i diversi benefici, cerchiamo di capire quali sono i possibili risvolti pratici del digiuno intermittente nella pratica clinica.
Dall’articolo riportato su The New England Journal of Medicine, il digiuno intermittente sembra migliorare i diversi indicatori di salute cardiovascolare negli animali e nell’uomo.
Tali indicatori sono: la pressione sanguigna, frequenza cardiaca a riposo, livelli di lipoproteine ad alta e bassa densità (HDL e LDL), colesterolo, trigliceridi, glucosio, insulina, e insulino-resistenza. Inoltre, il digiuno intermittente riduce i marcatori di infiammazione sistemica e stress ossidativo associati all’aterosclerosi.
Sull’isola di Okinawa, la popolazione locale in genere mantiene un regime di digiuno intermittente, e predilige il consumo di alimenti a basso contenuto calorico, ma ricchi di nutrienti. In media, questa popolazione presenta infatti bassi tassi di obesità e diabete mellito, nonché una notevole longevità.
In linea con quello che succede sull’isola di Okinawa, nei modelli animali, il digiuno intermittente sembra migliorare la sensibilità insulinica, l’obesità e la retinopatia diabetica.
Inoltre, su adulti sovrappeso e obesi, sei studi a breve termine hanno dimostrato che il digiuno intermittente è efficace per la perdita di peso, tanto quanto le diete ipocaloriche standard.
Secondo quanto riportato sul NEJM , su modelli animali, esistono forti prove precliniche secondo cui il digiuno a giorni alterni può ritardare l’insorgenza e la progressione dei processi patologici della Malattia di Alzheimer e del Morbo di Parkinson.
Sembra, infatti, che il digiuno migliori la funzione dei mitocondri (organelli cellulari deputati alla produzione di energia), la stimolazione dell’autofagia, oltre che la produzione di fattori neurotrofici (BDNF).
Inoltre, il digiuno intermittente migliora il rilascio del neurotrasmettitore GABA (molecola utilizzata da cellule neuronali per inviare segnali inibitori). Questo sembra prevenire convulsioni e l’iper-eccitazione neuronale, alla base di alcune forme di epilessia.
Tuttavia, è doveroso sottolineare, che mancano dati provenienti da studi controllati su umani.
L’articolo su NEJM considera anche l’impatto di un regime di digiuno sui tumori. Negli studi su animali, sia la restrizione calorica sia il digiuno a giorni alterni sembrano ridurre il rischio di insorgenza di diversi tipi di tumore.
Inoltre pare che il digiuno, modificando l’assetto metabolico della cellula tumorale, oltre a ridurne lo sviluppo, sembra migliorare l’effetto terapeutico di chemioterapia e radioterapia. Questo effetto sembra legato ai cambiamenti nel metabolismo delle cellule tumorali, oltre che di quelle sane.
Negli essere umani, invece, la questione è più complessa. Molti studi clinici sono in corso o in fase di completamento. Tuttavia, diversi casi-studio, che coinvolgono pazienti con glioblastoma, suggeriscono che il digiuno intermittente può sopprimere la crescita tumorale ed aumentare la sopravvivenza.
In ogni caso, è bene attendere i risultati di studi in corso e aspettare dati conclusivi per avere reali evidenze.
È importante sottolineare che il digiuno intermittente è un protocollo che si adatta difficilmente alle nostre abitudini alimentari, per cui applicarlo può risultare, almeno inizialmente, difficile.
Inoltre, non è privo di controindicazioni. È, dunque, assolutamente sconsigliato intraprendere tale protocollo senza il consulto del medico, o di un dietista/nutrizionista.
Inoltre, è controindicato in tutti i soggetti con problemi di salute, che rendono di difficile gestione un periodo di digiuno, come persone diabetiche o con alterazioni del metabolismo degli acidi grassi.
Il digiuno intermittente è controindicato anche in quelle fasi della vita che richiedono un apporto costante di nutrienti, come durante la gravidanza, o in fase di crescita.
Ci preme sottolineare, infine, che è fortemente sconsigliato intraprendere tale protocollo, in caso di disturbi del comportamento alimentare.
In conclusione, possiamo dire che i risultati riportati dagli studi oggi disponibili sul digiuno intermittente ci lasciano ben sperare per una possibile applicazione terapeutica in ambito medico-clinico.
Tuttavia, non possiamo negare che gli studi presenti oggi su umani, risultino insufficienti per poter parlare di un evidente beneficio del digiuno intermittente. Inoltre, i benefici riportati appaiono consistenti negli studi clinici di breve durata, mentre i dati sono più controversi negli studi a lungo termine.
Quello che sicuramente è evidente è il notevole impatto che ha lo stile di vita, inteso come alimentazione e attività fisica, sulla salute dell’uomo.
Celeste Fonderico
ATTENZIONE: Le informazioni contenute in questo sito hanno puramente scopo informativo e divulgativo. Questi articoli non sono sufficienti a porre diagnosi e decisioni di trattamento e non sostituiscono mai il parere del medico. Per ulteriori informazioni contattare il proprio medico generico o specialista.
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