Schleiermacher alla scoperta del sentimento religioso

Una visione moderna della religione è quella che ci offre Friedrich Schleiermacher, tra i maggiori interpreti del romanticismo filosofico, nonché esponente di spicco dell’idealismo tedesco. La religione viene, infatti, intesa come sentimento religioso, che scaturisce cioè dalla capacità del finito/individuo di cogliere intuitivamente l’infinito/Assoluto. Per la prima volta, dunque, emerge l’idea di una religiosità che prescinde dalla logica, dalla morale, dalla metafisica e persino dalle Sacre Scritture.

Religione, morale e metafisica

Friedrich Schleiermacher
Copertina del libro “Sulla religione” di F. Schleiermacher

All’inizio de i Discorsi sulla religione, pubblicati per la prima volta nel 1799, il filosofo mette in chiaro che i destinatari delle sue orazioni sono proprio coloro che disprezzano la religione.

Con un tono poetico e a tratti mistico, Schleiermacher anticipa sin dalle prime battute la caratura di quello che definisce “il sentimento religioso“. Non esiste un percorso univoco per trovarlo ma di certo è indispensabile, per cogliere la religione,  abbandonare ogni pregiudizio. Il filosofo, infatti, scrive:

“Dovete cercare queste scintille celesti che spuntano quando un’anima santa viene toccata dall’Universo, dovete spiarle nel momento inattingibile in cui si sono formate […] Vi chiedo, dunque, che prescindendo da tutto ciò che in genere viene detto religione, concentriate la vostra attenzione soltanto su queste particolari allusioni e disposizioni, che troverete in tutte le espressioni e nobili azioni degli uomini ispirati da Dio.”

Tali allusioni non hanno quasi nulla in comune con testi e sistemi in cui si pretende di incasellare la religione. Questi ultimi sono solo elementi esteriori e la vera religione si distingue tanto dalla metafisica quanto dalla morale.

La religione condivide con quelle lo stesso oggetto: l’universo e il rapporto che intercorre tra quest’ultimo e l’uomo.

Secondo Friedrich Schleiermacher, nella prospettiva metafisica l’individuo che cerca di ampliare la sua visione dell’infinito attraverso la speculazione. Si indagano le essenze, le si suddivide e si cercano i fondamenti. Nella prospettiva morale l’uomo è invece tutto proteso all’agire e trae dall’universo un sistema di doveri necessario per raggiungere una libertà illimitata. La religione va sì immaginata accanto ad esse, perché ha pari dignità, ma si differenzia perché si tratta di una creazione interiore originaria. L’essenza della religione non è né pensiero né agire, ma intuizione e sentimento.

Il sentimento dell’infinito

Essendo né riflessione né prassi, la religione si caratterizza, allora, come sentimento dell’infinito. Non è un caso se il filosofo sceglie di presentare i discorsi proprio sottoforma di orazioni, conferendo, così, agli scritti quel carattere intimo che ben si sposa col continuo appello al sacro ed eterno insito in noi.

L’idea di Schleiermacher è che la confusione dell’uomo sulla religione si debba ai limiti posti dalla sua natura. Egli misconosce lunità che esiste tra finito ed infinito. La religione è in realtà un sentimento ineffabile, che va riscoperto singolarmente dall’individuo perché è già presente in esso come disposizione.

Ma come può l’uomo cogliere tale unità?

La risposta al quesito diventa difficile perché sentimento ed intuizione possono essere percepite solo interiormente come un tutt’uno, ma si descrivono come momenti diversi.

Friedrich Schleiermacher afferma:

“Avere religione significa intuire l’Universo, e il valore della vostra religione si fonda sul modo in cui lo intuite, sul principio che riconoscete nelle sue azioni. Se ora non potete negare che l’idea di Dio si concilia con ogni intuizione dell’Universo, dovete anche ammettere che una religione senza Dio può essere migliore di un’altra con Dio.”

Da queste battute emergono due originali osservazioni. La prima è che l’uomo può intuire l’Universo dischiudendosi ad esso e scoprendosi in fusione con quello. In secondo luogo, al vertice della religione non viene posto più Dio, ma per l’appunto l’intuizione dell’Universo.

A ciò aggiungiamo che per Schleiermacher tale intuizione si realizza grazie alla più alta e originaria realtà umana: la fantasia.

Friedrich Schleiermacher contro Kant e gli scritti sistematici

Friedrich Schleiermacher
“Io e il villaggio” di Marc Chagall ben esprime la potenza della fantasia.

La fantasia assume un ruolo fondamentale perché predispone l’uomo ad accogliere l’infinito. Essa ci conduce alla religione, quando non è offuscata dalle opinioni della vita sociale. La ricchezza che gli antichi rintracciavano nella fantasia lascia il posto all’idea che quella sia proprio degli spiriti indolenti. Eppure è con il senso e la fantasia che si attinge al sentimento religioso e non con la comprensione e la legge morale.

“Il senso si cerca oggetti, va loro incontro e si offre ai loro abbracci; […] il senso vuole trovare e farsi trovare; alla comprensione di tali persone nemmeno interessa <<da dove gli oggetti provengono>>.”

Dunque, anche l’esigenza di svolgere l’azione sempre in vista di uno scopo, priva l’uomo della sensibilità e gli impedisce di cogliere l’universo. A ciò si affianca la critica all’imperativo categorico kantiano, poiché per il filosofo di Königsberg a primeggiare era il dovere e la morale.

Con la stessa enfasi Schleiermacher ritiene che la religione non possa essere comunicata attraverso i libri, poiché non si tratta di un concetto da intendere, quanto piuttosto di un’esperienza interiore che in ogni uomo è diversificata. Pertanto non si può educare l’altro alla religione.

Le società religiose per eccellenza si costituiscono, infatti, non con l’intento di convertire chi non ha avuto modo di cogliere il sentimento dell’infinito, ma con l’intento di condividere chi ha già avuto questa esperienza.

L’amore è la chiave di volta della religione

Dal nostro fugace excursus sui “Discorsi sulla religione“, ci siamo soffermati sulle due riflessioni più rilevanti del filosofo:l’indipendenza della religione da metafisica e morale e il processo interiore che porta l’uomo a cogliere l’infinito.

Ogni uomo è un modo peculiare in cui l’Universo nella sua totalità si manifesta. Tale considerazione getta i semi dell’altra grande ispirazione di Schleiermacher che egli svilupperà nei “Monologhi” e che allontana la disamina del filosofo dall’accusa di un individualismo sfrenato. Si tratta cioè della capacità dell’individuo di iniziare a concepire se stesso come una sintesi ideale dell’intera umanità.

Egli, infatti, non si esime dal considerare come la chiave di volta della religione l’amore per l’umanità.

“Tutto esiste invano per chi se ne sta da solo; infatti per intuire il mondo e avere religione l’uomo deve aver prima trovato l’umanità, e la trova soltanto nell’amore e mediante l’amore.”

L’audace impresa di Schleiermacher è stata posizionare al centro della religione il sentimento, la fantasia e l’intuizione. Libero dal dogma e dalle speculazioni filosofiche, lo spirito religioso viene ricondotto alla sua più intima essenza: l’eternità di cui ognuno di noi è portatore e che si esprime quando siamo in grado di avvicinarci all’umanità.

“Ognuno abbraccia nel modo più caloroso colui nel quale il mondo si riflette nella maniera più chiara e pura; ognuno ama nel modo più affettuoso colui nel quale ritiene di aver concentrato tutto ciò che manca a lui stesso per costituire l’umanità. Avviciniamoci quindi all’umanità, certi di trovare materia per la religione.”

Giuseppina Di Luna

Bibliografia

Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, Scritti filosofici, ed. Utet, 2013.

Omar Brino, Introduzione a Schleiermacher, ed. Laterza, Roma-Bari 2014.

Fonte Media
L’immagine di copertina è ripresa dal sito: https://curiosandosimpara.com/2018/05/03/questo-e-il-modo-corretto-per-chiedere-qualcosa-alluniverso/