Il “Dio è morto” di Nietzsche, Auschwitz e Guernica

Dio è morto: è l’annuncio di Nietzsche nelle prime pagine dello “Zarathustra” in una stretta e intrinseca relazione con quelli che sono conosciuti come i pilastri della filosofia nietzscheana: il rifiuto di ogni speranza ultraterrena, il conseguente richiamo ad una fede “terrena” e l’annuncio del Superuomo.

È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta, che Dio è morto!

È tuttavia nell’aforisma 125 de “La Gaia Scienza” che il tema della morte di Dio viene esplicitamente trattato ed adeguatamente approfondito.

Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente:” Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa […] Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!Nietzsche Dio è morto

Cosa intendeva Nietzsche per “Dio è morto”?

Ma cosa significa esattamente dire “Dio è morto”?  Il concetto precedentemente esposto non porta in sé un’accezione psicologica, né in alcun modo fisico-teologica: in altre parole quella di Nietzsche non è un’affermazione di miscredenza o di ateismo, ma diventa piuttosto un doloroso e necessario passaggio, il crollo dei sistemi costruiti e delle certezze precedentemente concordate, il nascere di una nuova metafisica che pone l’uomo stesso al suo centro e che rivela l’impossibilità di radicare i fondamenti etico-comportamentali in un qualche assoluto.

Ma non solo; si rivela all’uomo occidentale l’inizio di una decadenza, di una crisi, che non è avvenuta per un processo spontaneo ma per suo stesso volere. Lo suggerisce tra l’altro l’etimologia della parola “crisi”, dal greco “krìsis”, “scelta, decisione”: “Noi lo abbiamo ucciso!”.

Il “Tutto è uno”, fondamento ideologico del monoteismo e dell’assolutismo, è stato massacrato e frantumato a tutto vantaggio di un mondo senza alcun riferimento preciso; nessuno osserva, nessuno punisce, nessuno premia.

Ma quell’uomo folle, tra le risa e lo sgomento di coloro che ascoltano quella tragica profezia, annuncia “Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo”, e in effetti lo stesso Nietzsche morirà proprio all’inizio del nuovo secolo: il ‘900. Questa clamorosa notizia si farà largo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale e troverà la sua conferma definitiva ad Auschwitz. Dio è morto ad Auschwitz.

Dio è morto ad Auschwitz

Dov’era Dio ad Auschwitz? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…”.

Nessuna “provvida sventura”, nessun disegno di Dio può esserci nell’Olocausto, come nessun principio teologico può giustificare, porre rimedio, trovare un nesso, anche solo lessicale, tra la parola “annientamento” (“shoah”) e le parole “redenzione” “speranza” “perdono”.

La democrazia ha segnato l’inizio di una profonda crisi, politica, economica, ideologica, e non è un caso il detto vox populi, vox dei: Dio è morto e dunque la voce del popolo è quella del nulla, quella che ha permesso il delegittimarsi della democrazia stessa.

Il Deicidio è stato compiuto in complicità della vittima, Dio non è solo morto, Dio si è suicidato, attraverso il silenzio e l’impotenza. In altre parole dire “Dio” ad Auschwitz è un non senso, di Dio non è permesso parlare. Ed è così che la tragica profezia del folle uomo di Nietzsche ha preso vita concreta, in tutti i suoi drammatici esiti.

Lo stesso Primo Levi con Se questo è un uomo intende automaticamente chiedersi “Se questo è un Dio”, un Dio diventato anch’esso una macchina da guerra, un presagio di morte. Possiamo notare come infatti lo schema narrativo dell’omonima opera, sia fortemente improntata sull’Inferno dantesco: nell’Inferno Dio non c’è, Dio è lontano. “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate” è scritto sulla porta d’accesso, come su quella dei lager c’è scritto “il lavoro rende liberi”.

E se nella geografia dantesca l’inferno non è altro che un imbuto che termina “sul fondo” della terra, allo stesso modo, il fondo è la metafora più significativa degli avvenimenti che hanno caratterizzato il secolo breve: la perdita dell’uomo di riconoscersi e riconoscere, la distruzione dell’altro per l’affermazione di sé stessi, tra guerre di potere, imperialismo e futili dimostrazioni.

La “destructio“: drammatico simbolo del XX secolo

L’etimologia stessa della parola “distruzione”, dal latino “destructio”, non significa altro che “destrutturare”, cioè “portare via dall’ordine, dalla struttura”. La destrutturazione è la base fondamentale della pittura cubista e la tecnica trova il suo corrispondente ideologico proprio in una delle opere più conosciute di Picasso: la “Guernica”, dove la mancanza di struttura non investe solo le figure ma tutto ciò che rappresentano.

Difatti “Guernica” racconta il bombardamento tedesco sull’omonima città spagnola, a seguito della terribile guerra civile scoppiata tra i difensori del governo repubblicano e i soldati di Francisco Franco. Quest’opera è fortemente emblematica degli effetti devastanti della violenza, ed è diventata drammatico simbolo del XX secolo.  Nel vuoto dell’anima, all’uomo non è rimasto altro che “appendere le sue cetre ai salici”, e assistere impotente all’infuriare della rovina e del massacro.

Ma è dal fondo e dal vuoto che comincia la risalita e la riorganizzazione della civiltà. La speranza c’è ma non è in Dio, non è in valore assoluto-metafisico, la sola speranza è nell’uomo che deve andare oltre se stesso e diventare Dio, poiché:

Le guerre nascono nella mente degli uomini, ed è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace.

Martina Pedata

Fonti

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prologo, p. 5, Adelphi, Milano, 2015
F. Nietzsche, La gaia scienza, p. 138, Einaudi, Torino, 2015

Dio è morto davvero ad Auschwitz? Marcello Veneziani (da http://www.lelettere.it/site/d_Page.asp?IDPagina=333)