Ben-Hur: analisi del colossal di William Wyler

Fine anni ’50, la Metro Goldwyn Mayer, nota casa di produzione statunitense, è sull’orlo della bancarotta. Gli alti dirigenti incaricano Sam Zimbalist di produrre un film dando fondo alle ultime risorse rimaste in cassa. La pellicola dovrà ispirarsi al celebre romanzo di Lew Walace dal titolo Ben-Hur. La regia viene affidata a William Wyler che sceglie Charlton Heston,
col quale già aveva lavorato qualche anno prima ne Il grande paese, per interpretare il protagonista. Il ruolo di antagonista viene invece assegnato a Stephen Boyd che, a causa della presenza di molti attori con gli occhi azzurri, è costretto ad indossare lenti a contatto dal colore castano durante le riprese. All’attrice ebrea Haya Harereet viene assegnato invece il ruolo di Esther, compagna del protagonista.

Il cast include anche due tra gli attori italiani più promettenti dell’epoca: Giuliano Gemma e Lando Buzzanca, entrambi relegati a ruolo di semplici comparse. Lo stesso Sergio Leone, pur non risultando accreditato, collabora da supervisore esterno alla scena madre del film, ovvero la corsa delle quadrighe. Presente anche il personaggio di Gesù Cristo interpretato dal tenore americano Claude Heater, il quale compare tre volte senza mai essere ripreso in volto. A causa dell’improvvisa morte di Sam Zimbalist, Wyler si troverà poi a ricoprire il doppio ruolo, al’epoca piuttosto inconsueto, di regista e produttore esecutivo.

Ben-Hur, il primo colossal

Ben-Hur

Ben-Hur, film epico-drammatico dalla durata di 212 minuti, richiede un esborso economico di 15 milioni di dollari, riprende la medesima storia del romanzo e viene girato negli studi di Cinecittà a Roma. A fronte delle ingenti spese sostenute, del numeroso cast di attori e comparse impiegati per le riprese e della lunghissima durata del film, Ben-Hur rappresenta il primo vero colossal della storia cinematografica.

Il film fa la sua prima apparizione ufficiale fuori concorso al Festival di Cannes del 1960 riscuotendo applausi dal pubblico ed estasiati consensi dalla critica. A pochi mesi dall’uscita nelle sale mondiali riceve ben undici premi oscar, impresa fino ad allora mai riuscita a nessun’altra opera cinematografica. Tale record rimane ineguagliato fino al 1998, anno in cui sarà raggiunto anche da Titanic di James Cameron. A questi farà seguito anche Il ritorno del re .

Ben-Hur, il principe giudeo divenuto schiavo

Ben-Hur ha luogo in un periodo di poco antecedente alla morte di Cristo, da qui il sottotitolo originale A Tale of the Christ (Un racconto del Cristo). Giuda Ben Hur è un principe ebreo che trascorre una felice infanzia assieme all’inseparabile compagno di giochi Messala, romano di classe patrizia. Raggiunta l’età adulta i due entrano in contrasto per svariate questioni, su tutte l’appartenenza giudaica del principe e la sua opposizione all’atteggiamento eccessivamente repressivo dei Romani nei confronti dei Giudei. Messala diviene uno stimato tribuno e tradisce l’amico costringendolo ad una vita di stenti e sofferenze.

Dopo anni di disavventure il protagonista, divenuto intanto un affermato campione di corse a cavallo, per vendicarsi sfida Messala prendendo parte a una gara di quadrighe tra le mura dell’arena di Gerusalemme. La competizione è sfrenata, Messala non esita a fare ricorso a scorrettezze di ogni genere mettendo più volte a repentaglio l’incolumità dei partecipanti. Ben-Hur resiste alle continue provocazioni e si aggiudica la vittoria. Messala resta invece coinvolto in un terribile incidente, calpestato da un cavallo e ferito mortalmente. Soltanto in punto di morte i due vecchi amici hanno modo di ricongiungersi e perdonarsi a vicenda.

Ben-Hur, esplicito messaggio di condanna all’antisemitismo

Giuda Ben-Hur e Messala trascorrono l’infanzia giocando assieme e mostrando un rapporto di genuina fratellanza più che di amicizia. Potere ed antigiudaismo finiscono poi col corrompere il tribuno patrizio. Il principe viene così allontanato dalla sua terra, relegato alla condizione di schiavo a causa di un’unica imperdonabile colpa: la propria fede giudaica. Il lungo calvario di sofferenza lo condurrà a vagare sotto padrone tra le lande più desolate come un’anima in pena alla costante ricerca di redenzione per peccati mai commessi. Ma Ben-Hur non abbandona il suo credo religioso, trae anzi insegnamento dalle difficoltà patite e, in seguito anche ai significativi incontri con Gesù Cristo, perdona infine l’amico traditore.

La vicende, ambientate in piena epoca romana, appaiono straordinariamente attuali. Raccontano come una solida amicizia possa venire distrutta dal pregiudizio razziale. Ben-Hur, al pari di altre grandi opere del passato quali Schindler’s List e La vita è bella, condanna apertamente l’odio antisemita. Lo fa però trattando la tematica dell’antisemitismo da una prospettiva insolita ed originale. La figura del Cristo, di cui scorgiamo a malapena la sagoma, fa da guida nell’accettazione dell’altro mostrando come, a contare sia il suo messaggio di pace, amore e fratellanza, più che la sua esteriorità.

Ben-Hur, la colpa dell’uomo-ebreo

Ben-Hur è un uomo nobile dai sani principi e senza macchie, ciò non risulta comunque sufficiente ad evitargli un tortuoso viaggio di redenzione. Egli paga l’appartenenza alla fede giudaica con l’esilio, ma in realtà la sua punizione ha un valore assai più simbolico. A Giuda viene imputata la discendenza dal genere umano, pertanto ne subisce le dovute conseguenze poiché peccatore. Quasi in sincronica analogia col Cristo redentore il protagonista percorre la sua personale via crucis facendosi carico dell’intera umanità. Un uomo costretto a portare la sua croce in quanto ebreo, ed in quanto uomo.

IlBen-Hur affronta dunque, sebbene con le dovute diversità, un cammino di redenzione analogo a quello che vede protagonista Gesù caricandosi sulle sulle spalle tutti i mali della propria epoca. Il decaduto principe potrebbe cedere in qualsiasi momento all’odio, ne avrebbe tutte le ragioni, ma sceglie ugualmente di perseverare lungo la retta via indicatagli dal figlio di Dio. La storia di Ben-Hur è antica nel tempo eppur moderna nella sua universalità; l’uomo deve apprendere dagli errori compiuti in passato affinché essi non si ripetano, perdonando e sapendosi perdonare.

Redenzione, passione e fede guaritrice

Ben-Hur

Giuda Ben-Hur passa a ritrovarsi da principe a schiavo, patisce a lungo la fame e la sete subendo atroci torture. Eppure mai abbandona la speranza di potere un giorno riabbracciare i familiari e la amata Ester. Nei momenti di maggiore desolazione vissuti dal protagonista giunge in soccorso Gesù di Nazareth a donargli serenità e conforto. Entrambe le figure paiono accomunate da un parallelo destino di fede e redenzione.

Ben-Hur incontra Gesù quando quest’ultimo non è ancora considerato il Messia, non ha mai modo di interloquire a fondo col figlio di Dio e stabilirvi un rapporto confidenziale, né si unisce a lui per divenirne discepolo o apostolo. Gli incontri risultano casuali ma carichi di trasporto emotivo dato che il protagonista vede nel figlio di Dio una figura di riferimento. Da tale figura egli attinge la forza necessaria a non cedere alla collera e all’odio indiscriminato. Entrambi i personaggi muovono da una profonda passione trovando nella fede e nel perdono le sole armi per replicare alle ingiustizie subite.

Ben-Hur, al termine della vittoriosa corsa delle quadrighe, avverte un sentimento di profonda compassione nel vedere Messala prossimo a morte. Lo giudeo perdona il vecchio amico d’infanzia mostrando di aver fatto totalmente suo l’esempio del Cristo. Il retto e caritatevole atteggiamento tenuto dal protagonista riceve un’inattesa ricompensa quando l’uomo assiste al miracolo che coinvolge madre e sorella, entrambe guarite dalla lebbra. Gesù intanto è morto al termine della via crucis, a compiere il miracolo non è stato, dunque, il figlio di Dio, ma la fede riposta in esso.

Davide Gallo