Gli autori tardo-antichi presentano spesso un difetto inaccettabile per gli studiosi: della loro biografia si sa pochissimo! Ecco che ci si aggrappa a qualsiasi riferimento, anche insignificante, per restituire un’identità e una vita a coloro che hanno scritto quella tal opera (o quel tal frammento). Da questo punto di vista, Paolo Orosio, autore vissuto nel V secolo, non fa eccezione.
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In taluni casi, si legge che Paolo Orosio è un autore “spagnolo”. In altri, invece, che è “portoghese”. E questo vale tanto per la manualistica quanto per la letteratura specialistica. Qual è la verità?
Va detto, innanzitutto, che gli studiosi che si sono occupati di Orosio hanno avanzato ben quattro ipotesi:
Exstant adhuc per diversas provincias in magnarum urbium ruinis parvae et pauperes sedes, signa miseriarum et nominum indicia servantes, ex quibus nos quoque in Hispania Tarraconem nostram ad consolationem miseriae recentis ostendimus (Hist. 7, 22, 8)
Si tratta di un passaggio sul quale si è molto speculato in passato. Tuttavia, è evidente che l’esiguità delle informazioni in esso contenute non permettono di azzardare, contro ogni ragionevole dubbio, che Orosio fosse “spagnolo” in senso stretto (e, soprattutto, nel senso moderno del termine).
Al di là delle varie formulazioni, in ambito accademico si tende oggi a sostenere maggiormente l’ipotesi portoghese, mentre nella divulgazione (più o meno seria) si propende per quella spagnola. Si tratta, però, di una rubricazione di comodo, che spesso mette al riparo da eventuali o ulteriori disamine sull’argomento. Rimane comunque il fatto che, al di là delle possibili rivendicazioni nazionalistiche, il problema è lontano dal trovare una risoluzione.
Un periodo cruciale della vita di Paolo Orosio è rappresentato dagli anni 410- 417, su cui disponiamo di un maggior numero di informazioni. Sappiamo, innanzitutto, che la provincia Hispanica visse il dramma delle “invasioni barbariche” tra il 409 e il 411. Orosio racconta, al tal proposito, di essere stato costretto a fuggire e di aver scelto l’Africa come meta di approdo (Hist. 3, 20, 6-7). Tuttavia, la maggior parte degli studiosi sostiene che la fuga non fu immediata e che prima Orosio dovette accertarsi delle reali condizioni dei suoi fedeli. Infatti, agli inizi del V secolo, è dato per certo che egli fosse già presbitero.
I “barbari”, però, non furono l’unico problema che la Hispania dovette fronteggiare. In termini religiosi, infatti, vi era stata una preoccupante diffusione dell’origenismo e del priscillianismo. Orosio decise, quindi, di scrivere al massimo esperto del suo tempo, Agostino, per chiedere consigli e fu così che nacque la Consultatio sive Commonitorum. Il vescovo di Ippona a sua volta rispose con un’opera dal titolo Ad orosium contra Priscillanistas et Origenistas, che è stata datata nel 415. Quindi, la scelta di Orosio di andare in Africa sarebbe stata dettata sia dalla volontà di fuggire dalle violenze “barbariche” sia dalla necessità di parlare di persona con Agostino.
Trattandosi di argomenti estremamente delicati e complessi, Agostino ritenne opportuno coinvolgere nella conversazione anche un altro grande studioso, Girolamo. Perciò, Orosio fu inviato a Gerusalemme, dove l’altro risiedeva, e fu accompagnato da una sorta di lettera di raccomandazione, scritta per lui proprio da Agostino. Fu soprattutto durante l’assemblea di Gerusalemme, presieduta da Giovanni di Gerusalemme e svoltasi nel luglio del 415, che Orosio poté toccare con mano la vivacità e anche l’eterogeneità delle dispute teologiche del suo tempo.
Oltre all’origenismo e al priscillianismo, altro terreno di scontro erano, infatti, le teorie pelagiane. In precedenti occasioni, alcuni sostenitori di tali teorie erano già stati accusati di eresia. L’assemblea del 415 fu, però, la “resa dei conti”, coinvolgendo direttamente il fautore di quelle teorie: Pelagio. Durante l’assemblea, inoltre, anche Orosio prese parola. Tuttavia, ciò che disse non convinse Giovanni di Gerusalemme e l’accusa di eresia si abbatté anche su di lui. Il nostro autore si vide, pertanto, costretto a difendersi da un’accusa tanto infamante. Fu così che nacque il Liber Apologeticus. Sembra, inoltre, che in questo stesso periodo egli avesse scritto anche le Historiae adversus paganos, ovvero la sua opera più famosa.
Tra il 415 e il 416, Paolo Orosio lasciò la Palestina con l’intento di tornare in Hispania. Stando alla testimonianza di Avito di Bracara, egli avrebbe portato con sé le reliquie di Santo Stefano. Quest’ultimo sarebbe poi divenuto santo protettore di Bracara, dopo aver aiutato Orosio a riportare pace e tranquillità nella città afflitta dalle invasioni “barbariche”.
Le reliquie erano state scoperte da un presbitero di Cafargamala, tal Luciano, in seguito ad una serie di visioni. Durante una cerimonia solenne, avvenuta il 26 dicembre e celebrata da Giovanni di Gerusalemme, le reliquie furono accolte nella Chiesa della Santa Sion di Gerusalemme. Avito aveva ottenuto da Luciano il permesso di portare a Bracara una parte di queste reliquie, approfittando proprio dell’imminente viaggio di Orosio.
In realtà, tutta la circostanza è avvolta dal mistero, perché pare che Giovanni di Gerusalemme non fosse a conoscenza di questo “prestito” e, quindi, Paolo Orosio sarebbe stato, suo malgrado, protagonista di un furto sacrilego!
Comunque siano andate le cose, dopo il 417 non si hanno più notizie di Paolo Orosio. Il suo nome non compare più in epistole o similari e sembra che di quest’uomo si siano perse le tracce. Alcuni studiosi hanno supposto che egli sia stato vittima di un naufragio, durante il viaggio di ritorno in Hispania. Tuttavia, pare che le reliquie di Santo Stefano siano di fatto arrivate a Bracara.
A chi scrive, invece, piace pensare che la sua dipartita sia stata in linea con una vita intensamente e avventurosamente vissuta, quale fu la sua.
Elisa Manzo
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