Storia della Sociologia

Esping-Andersen: i tre regimi di welfare state

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Ci possono essere vari modi per individuare e classificare il welfare state, com’è naturale nel caso di un argomento così ampio. Oggi analizzeremo quello proposto nel 1990 dallo scienziato politico danese Gøsta Esping-Andersen in un lavoro intitolato “The three worlds of welfare capitalism”. Secondo l’autore, come suggerisce il titolo dell’opera, il welfare dei Paesi occidentali si può ridurre fondamentalmente a tre grandi modelli di base.

Per identificarli, egli propone tre criteri di cui tenere conto. Il primo è il grado di mercificazione dei servizi sociali. Il secondo, riguarda il capire se essi siano forniti solo dallo Stato o se intervengano altri agenti, ad esempio la famiglia. L’ultimo ha a che fare, invece, con il modo in cui i servizi vengono forniti. Sono, ad esempio, rivolti a tutti o solamente a una minoranza?

 

I criteri di Esping-Andersen

I tre regimi di welfare proposti da Esping-Andersen possono valutarsi non solo in base alle loro caratteristiche, ma anche secondo i loro esiti. Ci sono, infatti, tre obiettivi che un welfare state perfetto dovrebbe teoricamente raggiungere: demercificazione, destratificazione e defamilizzazione. Il primo termine indica che le prestazioni sociali dovrebbero attenuare la dipendenza dal mercato.

Vuol dire, in altre parole, che esse dovrebbero garantire una vita dignitosa anche a chi non ha la possibilità di godere di un normale reddito da lavoro. Esempi immediati potrebbero essere i disoccupati, gli anziani o gli invalidi. La destratificazione, invece, si riferisce alla capacità, da parte del welfare state, di intaccare le diseguaglianze sociali. La defamilizzazione, infine, consiste nella riduzione del ruolo della famiglia come unità economica di base. In altri termini, un buon welfare state dovrebbe consentire alle persone di disporre di risorse e opportunità a prescindere dagli aiuti parentali.

 

Il regime di welfare liberale

Il primo regime individuato da Esping-Andersen è quello “liberale” (ma, in italiano, il termine “liberal” inglese può tradursi anche come “liberista”). Un esempio tipico di ciò è rappresentato dagli Stati Uniti d’America. Influenzato dall’etica del lavoro tipica di questa filosofia, questo tipo di welfare state interviene con un modesto piano di assicurazioni sociali. Ad esso si aggiungono criteri molto rigidi per accedere ai servizi, spesso considerati in modo socialmente negativo e quindi limitati solo a determinate categorie. È il caso degli esponenti della classe lavoratrice. Inoltre, tale regime si basa su una fortissima componente privata, spesso sovvenzionata dallo Stato stesso.

Satira sulle assicurazioni sanitarie statunitensi

Come conseguenza, nessuno dei tre indicatori che abbiamo precedentemente individuato raggiunge un livello soddisfacente.

La demercificazione, basandosi in gran parte sul mercato, naturalmente quasi non esiste. Non va meglio per la destratificazione, che si configura spesso come un “welfare dei poveri” pubblico e inefficiente contro un ben più funzionante “welfare dei ricchi” privato. Pertanto, come si può intuire, il ruolo dell’assistenza famigliare resta molto importante.

 

Il regime di welfare socialdemocratico

Se volessimo procedere con ordine in base ai risultati conseguiti, allora il prossimo regime di welfare da considerare dovrebbe essere quello “conservatore-corporativo”. Lo lasciamo, però, alla fine, visto che esso include anche il nostro Paese, e analizziamo ora quello socialdemocratico.

Tipico dei Paesi scandinavi, esso è basato sulla massimizzazione delle capacità di indipendenza della persona. Ecco, allora, che i servizi sono ampi, di alto livello ed equamente diffusi. Ciò è strettamente collegato ad una strategia di piena occupazione: la necessità di mantenere prestazioni sociali così elevate, infatti, richiede un continuo flusso di entrate per le casse dello Stato. Esso, quindi, si prodiga affinché il maggior numero possibile di persone riesca a trovare un lavoro e a diventare autosufficiente. Si parla, non a caso, di politica socialeproduttivista”.

Il welfare, pertanto, non è rivolto solo a particolari categorie, ma a tutti i cittadini. Come risultato, ciascuno dei tre indicatori che abbiamo precedentemente richiamato raggiunge livelli molto alti.

 

Il regime di welfare conservatore-corporativo

Vignetta ripresa dal sito “www.varesenews.it”

Come abbiamo già detto, Esping-Andersen colloca a un livello mediano il welfare di Paesi come Italia, Francia e Germania, che chiama “conservatore-corporativo”. Esso, non avendo l’ossessione liberale-liberista per il mercato, riesce a garantire una serie di servizi e diritti minimi. Le sue caratteristiche principali le ritroviamo proprio nel suo nome: da un lato, è “corporativo”, perché tende a non incoraggiare la mobilità sociale. I diritti, quindi, restano spesso legati alle differenze di classe e ceto, nonché alla posizione lavorativa. Pensiamo, ad esempio, a come le pensioni siano calcolate solitamente in base a contributi e/o retribuzioni. Soprattutto, esso è strettamente legato a una mentalità tradizionale (“conservatore”) e quindi tende a preservare e sostenere il ruolo della famiglia. Include, quindi, sussidi che incoraggiano la maternità, ma ne esclude altri, come gli assegni a casalinghe sposate o gli asili nido gratuiti, proprio in omaggio alla suddetta visione familista.

Per tutto quello che abbiamo detto, sembra proprio che il regimeconservatore-corporativo” raggiunga risultati più alti del welfare liberale, ma molto inferiori rispetto a quello socialdemocratico. Se la demercificazione raggiunge livelli accettabili, infatti, gli altri due indicatori rimangono alquanto bassi.

Francesco Robustelli

 

Bibliografia

Painter, Jeffrey, Geografia Politica, ed.SAGE Publications of London, 2009, it.UTET, 2011

Esping-Andersen, The three worlds of welfare capitalism, 1990, Polity Press

Sitografia

http://www.archivio.formazione.unimib.it/DATA/Insegnamenti/7_1525/materiale/modelli%20e%20regimi%20di%20welfare.pdf

Fonti media

L’immagine di copertina è ripresa da https://www.youtube.com

www.viaggi-usa.it

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Francesco Robustelli

22 anni, napoletano, studente di International Relations. Scrivo di Sociologia e di tante altre cose, cercando sempre di essere interessante.

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