Purgatorio di Dante e il mondo classico

Mano a mano che il viaggio di Dante prosegue, la presenza del mondo classico nella Commedia diminusice sempre di più. Nel Purgatorio il pellegrino incontra due figure emblematiche della classicità: Catone e Stazio.

Catone, custode del Purgatorio

 

Purgatorio
Guercino – Il suicidio di Catone

Avversario di Giulio Cesare durante la guerra civile e morto suicida dopo la battaglia di Tapso nel 46 a.C., Dante lo colloca sulla spiaggia del monte e a guardia del Purgatorio.

«Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
diss’el, movendo quelle oneste piume.

«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?».

Nell’ottica del poema e della prospettiva del contrappasso, Catone dovrebbe trovarsi nella selva dei suicidi, quindi all’inferno. Invece eccolo sulla spiaggia del monte, in veste di guardiano del Purgatorio. Dante segue la scia della sua personale sensibilità per quanto riguarda la vicenda di Catone, giustificando il suo suicidio, in quanto dimostrazione estrema della difesa della propria libertà. Ma Dante dà anche dimostrazione di come il volere divino (ed è un concetto che marchia la Commedia con il simbolo dell’universalità) sia imperscrutabile e misterioso, poiché ha concesso il perdono persino ad un pagano peccatore, salvandolo dalla dannazione:

Tu ‘l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.

Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive, e Minòs me non lega;
ma son del cerchio  ove son li occhi casti .

Stazio

Purgatorio
Amos Nattini – Stazio

L’altro importante personaggio è Stazio, poeta latino vissuto sotto la dinastia dei Flavi e autore della Tebaide. Dante lo incontra nella quinta cornice, tra i penitenti del peccato di prodigalità e Virgilio chiede una spiegazione alla sua presenza nel Purgatorio. Il poeta napoletano dice di aver letto un passo del terzo libro dell’Eneide, in cui viene condannata l’avarizia, e la quarta egloga, che annuncia la nascita del puer.

Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
a colorare stenderò la mano.

Già era ‘l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l’etterno  regno;

e la parola tua sopra toccata
si consonava a’ nuovi predicanti;
ond’io a visitarli presi usata.

Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;

e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.

E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
di Tebe poetando, ebb’io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu’mi,

lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che ‘l quarto centesmo.

Nel Medioevo Stazio era molto apprezzato e per questo non risulta strano che Dante lo abbia voluto recuperare alla cristianità e salvarlo nel Purgatorio. Dante ripropone il concetto delle prefigurazioni cristiane in Virgilio, in quanto precursori della nascita di Cristo: questi elementi, immagina Dante, sarebbero stati la spinta motrice anche per la conversione di Stazio.

Il poeta inoltre ricorda la persecuzione subita dai primi cristiani ad opera dei pagani, elemento importante per il sistema del Purgatorio, che è dedicato alla pietà, e in cui per questo ricorrono altre memorie delle pene subite dai cristiani.

Isifile

All’interno della Commedia Dante accenna più volte al personaggio di Isifile.

Il primo riferimento è nel canto XXII, quando Stazio chiede a Virgilio il destino dei grandi scrittori dell’antichità: il poeta vuole sapere del destino di Plauto, Terenzio, Cecilio Stazio e Varrone. Il poeta augusteo risponde che dimorano nel limbo e sempre lì si trovano anche alcuni personaggi della Tebaide, tra cui Isifile.

Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene sì trista come fue.

Védeisi quella che mostrò Langia.

Di Isifile si ricorda l’episodio narrato nel quinto libro della Tebaide: fuggita da Lemno la donna giunse a Nemea, dove il re Licurgo la ridusse in schiavitù e le affidò la cura del figlioletto. La sfortuna si abbatté su di lei quando, distratta a mostrare ai sette re agivi la fonte Langia, lasciò il bambino incustodito sull’erba, e un serpente lo morse, uccidendolo. La distrazione costò ad Isifile la condanna a morte da parte del sovrano, ma la donna fu difesa dai re argivi, per poi essere riportata in salvo dai suoi due figli a Lemno. Nonostante i peccati terreni, anche Isifile è sottratta alle pene dell’inferno.

Ciro Gianluigi Barbato

Bibliografia

Annamaria Chiavacci Leonardi, commento a Dante Alighieri, Purgatorio, Zanichelli.