Get Out e Black Mirror: confronto tra il film e la serie tv

La mente è il motore che accende il nostro corpo, la dimora della nostra creatività, un carburatore di emozioni e percezioni che come un calderone ribolle senza sosta dentro di noi. Considerando la mente il luogo della libertà assoluta e potenzialmente esprimibile, cosa succederebbe se essa stessa divenisse impotente? Se fosse rinchiusa all’interno di un oggetto o se fosse rinchiusa nel nostro cervello senza poter fare nulla per dare stimoli al nostro corpo? Esprimere concetti così oscuri è arduo, ma esistono opere come Get Out e Black Mirror che hanno reso possibile una manifestazione visiva di quel che a tutti gli effetti resta un paesaggio impossibile da esplorare senza supporto.

Get Out e il mondo sommerso

”È terribile sprecare una mente” – (frase del film)

In Get Out, Missy, ipnoterapista, scopre il protagonista Chris rientrare a casa di notte dopo aver fumato una sigaretta in giardino e col pretesto di volerlo ipnotizzare per togliergli il vizio del fumo, in realtà lo paralizza e lo fa sprofondare nel “mondo sommerso”. Ma cos’è precisamente il mondo sommerso? È una dimensione interna alla psiche, profondissima, nella quale Chris ”precipita” nel momento in cui diventa più vulnerabile, e dunque incapace di controllare le sue emozioni e facoltà, vedendo la realtà esterna come se si trovasse all’interno di uno spazio oscuro, intravedendo solo da lontano ciò che con i sensi potrebbe vedere e avvertire come vicinissimo. Chris non vede il proprio corpo come se si fosse distaccato da quest’ultimo e per tale motivo l’episodio più che ad un’esperienza ”extracorporea” è assimilabile ad un’esperienza ”intrapsichica”, in cui non v’è coincidenza tra coscienza e fisicità, tra atto e pensiero, in modo simile alla schizofrenia. La differenza sostanziale rispetto alla schizofrenia consiste nell‘impotenza della coscienza, nel mondo sommerso, di dare qualsiasi tipo di stimolo, seppur confuso o illogico, al corpo. IGet Out, Daniel Kaluuya, mondo sommerso, sunken placel corpo giace, inerme, vuoto, nel mondo reale, mentre la mente, fluttuante, si aggira nelle tenebre del mondo sommerso, senza possibilità di intervenire in alcun modo. Simbolicamente Jordan Peele, regista e sceneggiatore del film, potrebbe voler indicare anche lo stato d’animo proprio di tutti coloro che non riescono a farsi sentire, ”naufragando” senza che nessuno li aiuti.

Improvvisamente lo spazio riservato all’intelletto diviene vuoto e la mente di conseguenza diviene sprecata. Come verrà riempito dunque tale spazio e cosa farà sì che l’individuo in questione possa tornare ad agire? E soprattutto, come agirà?

Black Mirror e il trasferimento di coscienza

Nella puntata finale della quarta stagione di Black Mirror, ”Black Museum, il protagonista Rolo mostra a Nish, unica visitatrice del suo museo, una serie di oggetti, nella cui realizzazione egli stesso ha avuto un ruolo fondamentale, legati a crimini passati. Tra questi vi è una scimmia di peluche, in cui è collocata la coscienza d’una donna fisicamente morta, Carrie, la cui mente sopravvive ancora all’interno dell’oggetto. Sintetizzando, prima di finire nel peluche, Rolo aveva proposto al marito della donna, Jack, di trasferire la coscienza della moglie, ormai in coma irreversibile per via di un incidente, nel suo stesso sistema cerebrale, in modo da poterle permettere di ”sopravvivere” e veder crescere il figlio con lui.

Quella che inizialmente sembrava un’invenzione geniale che sarebbe stata in grado di rendere più lieve il dramma della morte, si rivela in tutta la sua dolorosa essenza: è praticamente impossibile vivere con due apparati coscienti attivi ed in grado di esprimersi (fondamentale diversità rispetto a Get Out!) all’interno di uno stesso cervello, seppur la coscienza impiantata possa comunicare all’esterno e provare sensazioni solo tramite la volontà e i gesti del corpo che la contiene, che funge da vettore. Black Mirror ci suggerisce che la coscienza ”primaria” vorrebbe poter essere libera di esprimersiBlack Mirror, Black Museum nelle sue azioni senza alcuna ”voce” che lo disturbi, mentre la coscienza ”secondaria” vorrebbe poter agire autonomamente.

La compresenza di più ”voci” all’interno d’uno stesso spazio psichico rimanda ai disturbi dissociativi della personalità (di cui il film Split fornisce un esempio interessante), con la differenza che qui non vi è la disgregazione d’una singola coscienza in più personalità che si sovrappongono di volta in volta, ma la coesistenza di coscienze diverse che restano comunque quelle di due individui diversi, senza che nessuna prevalga sull’altra.

Ed è qui che la possibilità di far rivivere una persona morta diviene un modo per imprigionarla in una condizione di immortalità opprimente. Nel momento stesso in cui Jack, che si è rifatto una vita con un’altra donna, decide di trasferire la coscienza di Carrie dal suo cervello ad una scimmia di peluche da regalare al figlio, oggetto inanimato che per il bambino presto perde d’interesse e valore, avviene il momento di reclusione definitivo, a causa della quasi totale impossibilità per il giocattolo d’esprimersi. Il crimine citato inizialmente è proprio questo: imprigionare un cervello umano in un oggetto che non è in grado di manifestare ”almeno cinque emozioni”, significa attuare un’esecrabile crudeltà che viola i diritti umani. Quest’affascinante parabola descrive metaforicamente in modo compiuto i limiti e le ansie dell’uomo, che da sempre vorrebbe trovare modi per sconfiggere la morte, salvo finire inevitabilmente in un vicolo cieco.

La morte totale della libertà

In Get Out e Black Mirror l’intenzione, in modi diversi, è la stessa: mostrare come, attraverso delle storie surreali e angoscianti, la mente sia il più grande dono ricevuto alla nascita e come sia impossibile sfruttare questo dono senza il mezzo adeguato, il corpo. Siamo un sinolo, un’unità inseparabile di carne e spirito, come diceva Aristotele, e profanare quest’unità significa andare contro natura, significa condannare l’uomo alla più brutale prigionia che possa essere mai concepita. In una realtà che non potrà permettere mai a tutti gli esseri umani di essere totalmente liberi nell’espressione delle loro volontà (perché inevitabilmente, come sostenuto da Hobbes in opere come il ”Leviatano” e il ”De Cive”, in assenza di limitazioni e regole, il desiderio di qualcuno potrebbe ledere qualcun altro, creando un circolo vizioso che non garantirebbe a nessuno il rispetto dei propri interessi e della propria libertà, ma solo uno stato di ”bellum omnium contra omnes”, ossia ”guerra di tutti contro tutti”), sottrarre concretamente all’individuo la possibilità di tradurre in azioni i pensieri significa giungere alla realizzazione estrema d’un processo distopico di morte della libertà e di distruzione dell’essenza della specie umana. 

Emanuele Rubinacci