Split: c’è chi soffre e c’è chi è impuro

Montaggio, fotografia, McAvoy. E già dalle prime scene bastano questi tre elementi a far godere. Split di M. Night Shyamalan parte bene, insomma.

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Split = franto

Kevin (James McAvoy) ha una personalità frammentata (“Split”, appunto), come se dall’unico nucleo originario – cioè la sua personalità da bambino – siano esplose in direzioni diverse 23 schegge. Ognuna di esse esiste per prendersi cura in modo diverso del bambino ferito, e le direzioni diverse che le schegge hanno preso si concretizzano in peculiarità fisiologiche e caratteriali, in intenzioni e capacità diverse.

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Ora, qui non si parla di un’inverosimiglianza dichiarata e di psicologia fantascientifica: la teoria esplorata in Split ha le sue basi scientifiche, o come minimo è oggetto di studi. Ma è fenomenale il modo in cui Shyamalan sfrutti il potenziale mistico che aleggia come un’aura di magia attorno al disturbo dissociativo dell’identità.

Shyamalan dunque non solo mette in scena il disturbo, le teorie che si sono sviluppate attorno ad esso, la considerazione che la comunità scientifica ha di tali teorie. Costruisce anche un thriller psicologico basandosi interamente su vantaggi e svantaggi della personalità multipla, fino ad arrivare – dopo un crescendo di tensione e curiosità che fa temere e al tempo stesso desiderare il finale – alla soluzione ultima, inaspettata (com’è tipico).

23 personalità

A volte l’abilità di un regista si nota dalla sua pulizia, dalla sua essenzialità. Shyamalan ha bisogno di poco, e in un attimo ha delineato un rapimento, tre ragazze, un rapitore, e splituna psicologa posta altrove.

Il ritmo è serrato, e la trama, anch’essa all’inizio in frammenti come la mente di Kevin, si ricompone con i suoi tempi, molto più che giusti. Pochi scenari, inquadrature funzionali a tensione e descrizione delle singole personalità; Betty Buckley e un’accattivante Anya Taylor-Joy (la psicologa e la terza ragazza rapita, rispettivamente) che fanno da raccordo, l’una metodica nel sondare, l’altra rapida a scoprire.

Tutto è silenzioso nell’accadere – ed accade in poco spazio –, ma è anche tutto frenetico, da battito accelerato.

Le personalità cardine emergono: le si riconosce dalla posa delle spalle, dalla voce, dalle sopracciglia.

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Ed è qui che si aggiunge l’elemento finale, ciò che rende Split ancora più interessante: le 23 personalità mostrano di essere una piccola comunità. E come in una comunità c’è chi soffre di più e chi reagisce con violenza, chi prende il comando, chi si allea al nuovo leader e chi cerca di trovare un’altra via di fuga.

E i membri di questa comunità hanno le loro regole, i loro dissidi, la loro politica… la loro mitologia. Una mitologia basata su una teoria che associa purezza e sofferenza.

D’altronde, all’origine del disturbo dissociativo c’è una profonda, intensa, tirannica sofferenza.

Chiara Orefice