Il capitalismo secondo Braudel: vita economica e monopolio

Tra i tanti temi interessati trattati dal grande storico francese Fernand Braudel, uno dei più importanti è certamente il capitalismo. Numerose sue opere, infatti, sono dedicate ad analizzarlo nel dettaglio. Grande appassionato di storia economica, Braudel studia il capitalismo sotto la lente di ingrandimento della sua storiografia “totale”. Ciò significa che egli rinuncia alle tradizionali divisioni disciplinari, che gli avrebbero imposto di considerarne solo gli aspetti economici, e  valuta, invece, anche tutti gli effetti che questo fenomeno ha sulla società.

Tutto sottosopra

In un articolo pubblicato nel 1991, Immanuel Wallerstein, autore che ha ripreso fortemente il pensiero di Braudel, evidenzia perfettamente la portata innovativa delle idee dello studio per ciò che concerne il capitalismo. Il sottotitolo dell’articolo, infatti, recita:“Tutto sottosopra”. Nel descrivere tale sistema economico, infatti, Braudel assume un punto di vista decisamente inusuale.

Nomotetismo
Fotografia di Fernand Braudel (1902-1985)

In primis, egli afferma che la chiave del capitalismo non sia il libero mercato ma, al contrario, il monopolio. Ciò è decisamente contrario alle tradizionali interpretazioni sia marxiste sia liberali. In secundis, secondo lo storico francese il capitalista vive non di specializzazione delle merci, come proponeva Marx ma proprio rifiutando di specializzarsi.

Infine, riprendendo le idee dell’economista ungherese Karl Polanyi, Braudel sostiene che il capitalismo non sia null’altro che un livello della vita economica. In quanto tale, esso non esclude la presenza contemporanea di altre forme di organizzazione dell’economia. La storiografia tradizionale, infatti, colloca l’affermazione del capitalismo nel XVII-XVIII secolo, al posto dell’economia feudale. Braudel, invece, retrodata la sua nascita a quello che lui chiama “il lungo XVI secolo”, che va dal 1450 ai primi decenni del 1600. A partire da questa prospettiva, si desume che, a detta dello storico, il capitalismo abbia convissuto a lungo con altri sistemi economici.

La casa a tre piani di Braudel

Celeberrima è la metafora braudeliana secondo cui la società può essere rappresentata come una casa a tre piani. Il primo corrisponde a quella che lui chiama vita materiale. Si tratta di “ciò che l’umanità nel corso della storia precedente ha profondamente incorporato nel proprio organismo”. In altre parole, questa espressione designa tutti gli aspetti culturali, politici e civili di una realtà.

Al secondo piano, abbiamo la vita economica propriamente detta. A proposito di quest’ultima è bene sapere che:

“si sviluppa sempre più come economia di mercato [per cui, secondo Braudel, la storia economica ha teso a coincidere con la storia dell’economia di mercato]. Vi sono due livelli di economia di mercato, uno inferiore, con sfera limitata, ed uno superiore, comprendente le fiere e le borse.”

capitalismo
Per Braudel, il capitalismo si può rappresentare come una casa a tre piani

Il libero mercato, dunque, nasce per Braudel molto prima rispetto a quanto sostenuto dalla tradizionale storiografia liberale. Lo capiamo dalla sua associazione con “le fiere e le borse” medievali. La vera novità è che il libero mercato è pensato in contrapposizione al capitalismo, che occupa il terzo piano. Tale sistema economico, infatti, si innalza sopra l’economia di mercato attraverso l’accumulazione progressiva di capitale. Ciò separa dalla massa dei piccoli mercanti un gruppo di “grossi commercianti”. Contrariamente, poi, alla tradizionale visione del capitalista come il solo imprenditore industriale ottocentesco, per Braudel egli può incarnare una grande varietà di figure:

“appaltatore, assicuratore, prestavalute, appaltatore, finanziere, banchiere o anche imprenditore industriale o conduttore di proprietà agricola.”

Capitalismo contro libero mercato

Perché, però, il capitalismo è opposto al libero mercato? Perché quest’ultimo comporta la libera concorrenza. Essa, però, è, per definizione, nemica dell’accumulazione di capitale di cui sopra. Aprire il mercato a tutti significa, infatti, che solo chi si assesta su un prezzo più basso riesce ad imporsi.

In che modo è, allora, possibile portare a casa un profitto? È evidente che la chiave del successo del capitalismo non sia il liberoscambismo ma, secondo Braudel, il monopolio, che concentra, infatti, l’intera offerta nelle mani di un unico ente/azienda. Solo attraverso quest’ultimo, infatti, i “grossi commercianti” citati possono esercitare il loro dominio economico.

Questo, tuttavia, significa che Braudel sconfessa la storiografia tradizionale anche in un altro punto. Comunemente, infatti, si ritiene che la nascita del capitalismo sia da attribuirsi all’esistenza, nell’Europa tardomedievale e moderna, di tante piccole città mercantili dai confini aperti. In contesti come la Cina, la presenza di un forte potere politico unitario, avrebbe allora deviato le risorse economiche verso il centro, impedendone lo sviluppo.

Nella visione braudeliana, invece, la chiave per l’affermazione del capitalismo è stata la nascita dello Stato moderno e la sua tutela legale del monopolio.

Francesco Robustelli

BIBLIOGRAFIA

Lentini, Saperi sociali ricerca sociale 1500-2000, editore Angeli, 2003.

Braudel, Afterthoughts on material civilization and capitalism, ed. Il Mulino, in Lentini, tr.it. 1981.

Wallerstein, Braudel on Capitalism, or Everything Uspide Down, su The Journal of Modern History, 1991.