Al contrario, con un certo stoicismo il nostro valoroso Ben Affleck ha affrontato vergogne e valli di lacrime per arrivare ai suoi più o meno lucenti traguardi, le sue vere soddisfazioni. Traguardi che puntualmente sono poi stati adombrati da vergogne successive.
Eh… È il cerchio della vita, non muore mai.
Ben Affleck giovane attore
Dopo il successo del ’97, la carriera di Ben sembra prendere avvio all’insegna del blockbuster: è così che si prosegue dunque con “Armageddon – Giudizio finale” (Michael Bay – 1998), “Shakespeare in love” (John Madden – 1998), “Trappola criminale” (John Frankenheimer – 2000), “Pearl Harbor” (Michael Bay – 2001).
Si fa quel che si può
Rendiamoci conto di una necessità primaria di molti di questi film: un’eventuale bravura vistosa o arrogante avrebbe inficiato la pellicola intera. Michael Bay non è famoso per le tematiche impegnate, né “Shakespeare in love” rimarrà nella storia per la lacerante complessità psicologica.
Esistono film costruiti attorno all’intensità di un personaggio e al talento dell’attore che lo interpreta. E ne esistono altri in cui gli attori sono solo manichini. Ebbene, Ben Affleck – la cui recitazione impassibile non aiuta affatto – è stato per tanto tanto tempo,
Probabilmente i due più grandi eventi che hanno scosso la sua carriera di attore, negli ultimi anni, sono stati “L’amore bugiardo – Gone Girl” (David Fincher – 2014) e “Batman v Superman: Dawn of Justice” (Zack Snyder – 2016). Com’è andato, l’ormai quarantenne Ben Affleck?
Fa quel che può: continua a non avere molta espressività. Ma qui supplisce, nel primo caso, l’oculatezza di un regista che costruisce un personaggio pacato, raggirabile, un po’ confuso, che calza a pennello con le palpebre a mezz’asta di Ben; supplisce, nel secondo caso, la tradizionale immobilità di Batman, supereroe tutto d’un pezzo che nasconde anche la più pallida parvenza di emozione sotto una mascella rigida e una massiccia e rassicurante massa muscolare.
Ben Affleck regista
Nel 2007 dirige infatti il suo primo lungometraggio, “Gone baby gone”, il cui protagonista è Casey Affleck, il fratello minore. Tre anni dopo tocca invece a “The Town”, che vede protagonista lo stesso Ben accanto a Rebecca Hall, Jeremy Renner e Jon Hamm.
Entrambi sono basati su romanzi, entrambi sono thriller. Godibili, anche piacevoli, ma assolutamente dimenticabili: addirittura nel tentativo di ricordarli li si potrebbe confondere con altri thriller simili, senza riuscire a distinguere una scenografia dall’altra.
Se “Gone baby gone” riesce a lasciare una nota di amarezza e di inquietudine, “The Town”, con il suo bel carico di buoni e cattivi divisi da una linea netta, di sparatorie, amore e moralina finale, silenziosamente si auto-cancella il mattino dopo, senza che regia, sceneggiatura o recitazione abbiano aggiunto niente.
Nel 2012, Ben Affleck dirige infine “Argo”, ed è forse una piccola svolta: è anche questa una pellicola che, nonostante l’Oscar, scivola via dalla memoria come piccolo evento piacevole e poco altro, eppure segna un miglioramento rispetto ai due lavori precedenti.
Ben Affleck ne è notoriamente orgogliosissimo. E l’Academy fu ben lieta di premiarlo: in fondo si tratta di una vicenda in cui il mondo del cinema americano – in sceneggiatura apertamente sbeffeggiato, ma con affetto – è stato di aiuto perché un episodio spinoso in Iran avesse lieto fine. Qualche piccolo momento di tensione, un paio di episodi drammatici che Ben Affleck, in quanto anche protagonista, affida a se stesso senza particolare successo, alcune scenette macchiettistiche simpatiche… il risultato finale non è niente di profondo né di memorabile, ma rimane un lavoretto ben riuscito che lascia un bel sapore in bocca.
Chiara Orefice