Il desiderio dopo Hegel: Kojève e Lacan

Secondo l’ottima riflessione di Judith Butler è quasi impossibile criticare Hegel negando ciò che egli ha scritto in quanto il momento della negazione è per il filosofo tedesco indispensabile nella logica della dialettica – dialettica negativa, appunto. Alla luce di quanto detto, ancora più ammirevole risulta il lavoro di questi autori (Kojève, Lacan) che si sono dovuti confrontare con un lavoro veramente difficile da superare.

Si deve notare come il desiderio, in generale, non sia visto come il migliore strumento per comprendere e conoscere il mondo. Trattandosi di un impulso sovente irrazionale e “animale” – che Hegel non ce ne voglia – il desiderio, più che aiutare a penetrare i misteri della conoscenza, ha messo in luce l’impossibilità di giungere all’ordine, il nefasto bisogno dell’appetito.

Il desiderio secondo Alexandre Kojève

Kojève
Alexandre Kojève

Kojève rifiuta l’armonia ontologica hegeliana in quanto parte dalla consapevolezza della mortalità umana. Questa mortalità determina che l’uomo si trovi in una condizione ontologica unica, che lo differenzia sia dal mondo naturale sia dalle altre soggettività; e non è possibile che questa differenza venga del tutto appianata nell’identità collettiva.

Il desiderio, dunque, tematizza questa differenza tra i soggetti e tra i soggetti e i loro rispettivi mondi; Kojève trasforma il desiderio in azione. Nel suo tentativo di realizzare una antropologia dell’agire storico umano, egli si rivolge al Marx della lotta di classe ma ritiene che le radici di questa antropologia  dell’azione umana si trovino nel quarto capitolo della Fenomenologia dello Spirito.

In effetti, Kojève ritiene il capitolo quarto il punto cardine della Fenomenologia di Hegel, ritenendo che a partire da suddetta opera e da suddetto capitolo prenda avvio una concezione antropocentrica dell’esistenza storica. La prospettiva dell’agire umano va a concretizzare tutto il sistema hegeliano e le categorie di Desiderio, di Negazione, di Divenire e di Essere sono sintetizzate nell’agire umano.

Proprio in virtù della centralità della prospettiva umana nel sistema di Hegel, Kojève doveva necessariamente rifiutare l’armonia ontologica: il desiderio indica, nel pensiero di Kojève, la differenza ontologica tra gli esseri umani e quelli animali. Solo tramite il desiderio l’uomo è in grado di conoscere sé stesso.

In altre parole, il desiderio è la condizione dell’esteriorizzazione del sé e dell’autocomprensione; prima, la coscienza umana è simile a quella animale in quanto si limita alla contemplazione, lasciandosi assorbire dall’oggetto di essa. Il desiderio, insomma, costituisce l’essere come Io spingendolo a riferirsi a sé stesso in quanto Io.

Come si inserisce il desiderio animale in questo discorso, dato che Kojève li distingue in modo molto chiaro? Il desiderio animale costituisce la possibilità organica del desiderio umano. Il desiderio non è naturale dal momento in cui Kojève concepisce la natura come un insieme di dati governati dal principio dell’identità privi di possibilità di negazione. Il soggetto trova nel desiderio il mezzo per il proprio nutrimento, a patto che egli si serva del desiderio per trasformare i dati naturali in dati riflessi della coscienza umana al fine di non limitarsi a desiderare solo elementi naturali.

Quando il desiderio, per Kojève, diventa dunque umano? Quando desidera oggetti non naturali; in altre parole, un’altra coscienza umana (Selbstbewußtsein, per usare il linguaggio di Hegel).  La differenza fondamentale, mettendo un attimo da parte quelle descritte sino ad ora, tra Hegel e Kojève è che per il primo il desiderio è negazione che separa e unisce la coscienza e il suo mondo mentre, per il secondo, il desiderio è una negazione tramite cui la coscienza non è in grado di porsi efficacemente in relazione col mondo.

Nonostante questo, Kojève non rifiuta di attribuire il giusto valore alla collettività e alla società: il desiderio fa in modo che l’Altro si trovi nel mondo come un essere sociale in quanto viene riconosciuto; il desiderio si trasforma, dunque, in un’identità sociale.

L’opinione di Jacques Lacan

Lacan
Jacques Lacan

Lacan modifica in modo abbastanza radicale il discorso hegeliano sul desiderio: il desiderio non può essere considerato come ciò che rivela la struttura della coscienza, bensì in esso si dà l’opacità della coscienza. La coscienza, in effetti, tenta di nascondere il desiderio perché esso rappresenta il momento della rottura e della scissione della coscienza stessa.

È possibile individuare il desiderio solo attraverso la discontinuità della coscienza e allora, per Lacan, il soggetto coerente non esiste se si intende il soggetto come una istanza consapevole e auto-determinante. In termini psicoanalitici, esiste una scissione intesa come repressione originaria che permette l’individualizzazione.

Il desiderio dunque è la volontà del soggetto di eliminare la scissione, di tornare all’origine; ma il soggetto non riuscirà mai a recuperare questa unità originaria. È proprio il soggetto, nota Lacan, che fa da limite a sé stesso per il proprio soddisfacimento; una contraddizione interna al soggetto, insomma, dove il desiderio è ciò che rimane del ricordo della unione primigenia. È l’inconscio, che Lacan identifica come l’elemento cui il soggetto vuole disperatamente riunirsi. Il concetto di Aufhebung è qui rifiutato da Lacan nel senso che l’inconscio non è uno dei due termini (l’altro sarebbe il soggetto) facenti parti di una unità più inclusiva.

La critica di Lacan a Hegel non si ferma qui: limitando l’analisi del desiderio ad un’analisi dell’autocoscienza (conscio in termini psicoanalitici), Hegel ha trascurato l’opacità dell’inconscio e ha reso la coscienza “cartesiana”, ossia trasparente. Abbiamo detto che il desiderio, per sua natura, preclude a quella tanto anelata unione con l’inconscio; per ampliare ancora di più la definizione, aggiungiamo che il desiderio è quell’attività umana perennemente inquieta a causa dell’impossibilità di superare i propri limiti. Come Kojève anche Lacan distingue tra desiderio animale (che egli chiama bisogno) e desiderio umano.

Si è potuto osservare, in questo breve excursus circa la concezione del desiderio in due dei principali interpreti della dottrina di Hegel, che la nozione di desiderio implica sempre un’alterità alla quale si rivolge, come per esempio nel caso dell’inconscio lacaniano, ed è innegabile il debito nei confronti del grande filosofo della Fenomenologia.

Luigi Santoro

Bibliografia

J. Butler, Soggetti di desiderio, 2009, Laterza, Bari

Fonti

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