“Delle libertà. Alexis de Tocqueville e Karl Marx” di R. Aron

Nel 1963 il filosofo e sociologo Raymond Aron tenne alcune conferenze all’Università di California (Berkeley) sul tema della libertà. Nel 1977 trasse dalle sue relazioni un libro intitolato Delle libertà. Alexis de Tocqueville e Karl Marx. Libertà formali e libertà reali. Il plurale non è casuale perché l’autore non declina mai il termine libertà al singolare a causa delle differenti concezioni e ideologie sul tema.

Libertà formali e libertà reali

In particolare Aron si sofferma sull’antica contrapposizione tra libertà formali e libertà reali, a partire dalle visioni di Alexis de Tocqueville e di Karl Marx. Era stato infatti proprio quest’ultimo ad elaborare la contrapposizione.

Marx definiva formali le libertà borghesi, ovvero quelle del cittadino nell’empireo politico con la scelta dei suoi rappresentanti e gli altri diritti democratici. Esse infatti si rivelavano fittizie a causa della povertà che equivaleva di fatto alla servitù. Quale vantaggio poteva avere dal riconoscimento dei diritti politici e intellettuali, un operaio sfruttato e costretto a subire la tirannia del bisogno?

La libertà nell’interpretazione marxista

Per Marx, quindi, la partecipazione politica del lavoratore non poteva che restare marginale e la dualità tra pubblico e privato comportava laLibertà mancata realizzazione dell’umanità. Aron riconosce la sensatezza dell’obiezione di Marx, in effetti un’eccessiva concentrazione di ricchezza – e quindi di potere – può mettere a rischio la vita di una democrazia.

Tuttavia egli definisce un errore cardinale l’idea che solo una rivoluzione radicale avrebbe potuto migliorare la qualità della vita e – allo stesso tempo – la partecipazione politica. La soppressione della proprietà privata dei mezzi di produzione, con la scomparsa dell’attività privata in favore di quella pubblica, porta alla confusione tra società civile e società politica (ovvero lo Stato).

Marx era consapevole dei rischi di una tale confusione ma confidava in un ottimismo utopico dal sapore saint-simoniano. Seconda Aron invece quel che Marx battezza come emancipazione rischia di degradarsi a servitù (p. 36). L’autore rileva la determinazione con cui gli ideologi marxisti continuavano a negare che il pluralismo fosse parte integrante della libertà, nella convinzione che la giustizia economica avrebbe elargito a tutti libertà reali.

Tocqueville e la democrazia

Libertà
Alexis de Tocqueville

Aron cerca di mettere in dialogo Tocqueville e Marx nonostante essi si fossero ignorati. L’autore mette in evidenza la particolare concezione di democrazia del primo, vista come uno stato della società e non una forma di governo (p. 15).

Il sociologo americano dà infatti della democrazia una definizione negativa, per Tocqueville la democrazia è la negazione dell’aristocrazia (sulla quale si basava invece l’Antico Regime). Aron nota che l’originalità di Tocqueville sta nel fatto che

Egli definisce la società moderna non in base all’industria come Auguste Comte, non in base al capitalismo, come Marx, ma in base all’eguaglianza delle condizioni, cioè in base alla democrazia nel senso sociale del termine.

Tocqueville si rifiuta quindi di subordinare la politica all’economia, perché la libertà politica è il valore supremo.

Le libertà formali alla prova della storia

Aron afferma di non conoscere

altra forma di libertà politica se non quella che prolunga la tradizione borghese e i esprime nelle elezioni, la rappresentanza, la concorrenza dei partiti, le forme costituzionali.

Non a caso, la storia ha dimostrato che libertà reali e libertà formali non sono incompatibili e che proprio nelle società occidentali esse sono state realizzate il meno imperfettamente possibile. Infatti la richiesta di libertà politiche era all’ordine del giorno perfino nell’Unione Sovietica, per non parlare di casi come quello della rivoluzione ungherese del 1956.

La democrazia in pericolo secondo Aron

Tutto ciò non induce Aron a tracciare un profilo trionfante della democrazia occidentale, come se quest’ultima fosse l’esito di un percorso storico ineffabile. Aron registra anzi i limiti delle democrazie occidentali, in specie europee. La democrazia infatti è stabile nella misura in cui le sue istituzioni sono considerate legittime ed efficienti dalla popolazione. Inoltre il benessere è garantito solo nei paesi che hanno visto un ravvicinamento delle classi possidenti e del proletariato. Per questo l’autore vede la Francia e l’Italia del tempo chiuse in un circolo vizioso. I diritti politici (che sono libertà) devono essere conciliati il più possibile con i diritti sociali (che sono capacità).

Aron registra quindi le tendenze distruttive per una democrazia: personalizzazione del potere; rafforzamento della burocrazia; manipolazione dell’opinione pubblica; esautoramento dei Parlamenti; rapporto diretto tra il presidente e gli elettori; considerazione dei problemi economico-sociali come decisivi. Tutte tendenze che l’autore definisce universali e che erano già operanti ai suoi tempi, ma che oggi appaiono inquietanti dati acquisiti difficili da riformare.

Ettore Barra