Lo Studio System: una specifica organizzazione produttiva

La nascita dello Studio System

Già nel corso degli anni Venti, il cinema Hollywoodiano si è dimostrato essere il prodotto di un’industria ben strutturata su un sistema verticale che prevede il controllo dei film dalla produzione alla distribuzione.

Con l’avvento del sonoro, nonostante la Depressione, questo sistema si consolida e domina incontrastato per tutto il ventennio successivo.

Ciò che parzialmente cambia è il cast dei protagonisti che dominano lo scenario economico\cinematografico attuale; lo Studio System, all’inizio degli anni Trenta è controllato essenzialmente dalla Paramount, dalla MGM ma anche dalla Fox, dalla Warner e dalla neonata RKO. Poi, si fanno avanti anche delle minors: Universal, Columbia e la United Artists.

La geografia produttiva tende essenzialmente all’integrazione reciproca: ci si divide il mercato a seconda della strategia prescelta. Mentre le major alimentano (con film economicamente più produttivi) le sale più prestigiose, le minor si rivolgono a delle sale di secondaria importanza.

Il sistema decisionale, poi, viene del tutto assunto in proprio dal produttore e dallo studio. Dalla scelta dei soggetti al budget fino anche al montaggio è tutto di responsabilità dello studio, la limitazione dell’autonomia creativa del regista va vista proprio in questo contesto.

Le tipologie di generi e le specializzazioni che caratterizzano i diversi marchi di fabbrica vengono decisi, quindi da una somma algebrica tra esigenza di profitti e necessità di commercializzare prodotti concorrenziali.

Ne risulta che, i prodotti delle varie case di produzione, appaiono diversificati secondo uno specifico stile che viene definito come house style o studio look. Il logo dello studio sigla il film con una firma che automaticamente orienta le aspettative dello spettatore.

I generi cinematografici classici risultano strettamente legati a esigenze di pianificazione industriale e, di conseguenza, all’orientamento del consumo degli spettatori.

C’è poi una stretta relazione tra la tipologia di divi scelti e il genere in cui si specializza un determinato studio, ad esempio, la RKO si specializza nel musical e ha sotto contratto la coppia Fred Astaire e Ginger Rogers.

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C’è poi da dire che un determinato personaggio è indivisibile da ciò che il divo si porta dietro dalle precedenti interpretazioni e addirittura si costruisce su di essa una strategia di aspettative dello spettatore, confermando e appagando i suoi desideri.

Così, all’interno di un genere, la presenza di un divo può arrivare a definire una ulteriore specificazione, una sottocategoria.

Il sistema dei generi, quindi, vive di costanti narrativi e produttivi ma anche di un rapporto dinamico con la singola produzione.

Il meccanismo dei generi era già consolidato nel periodo del muto ma, nel periodo classico il sistema si amplia anche in relazione alle possibilità che il sonoro offre.

Oltre che al rafforzamento di generi già preesistenti come l’horror, si vede fiorire anche il gangster movie, che è legato all’attualità del crimine organizzato cresciuto negli anni Venti con il Proibizionismo.

In film come Nemico pubblico (The Public Enemy, 1931- Wellman) o Scarface (1932, Howard Hawks) la violenza della società americana trovano una rappresentazione cruda e cinica (nei limiti imposti dal codice Hays[1]).

Il découpage classico

Come si è già visto, il passaggio da un cinema primitivo a uno istituzionale, riguarda uno specifico cambiamento della modalità di rappresentazione, indirizzato in tutto e per tutto alla narratività.

La verosomiglianza del narrato funziona sull’effetto di continuità e naturalezza di ciò che viene proiettato. E la continuità la si può ottenere solo attraverso un montaggio invisibile. È solo attraverso l’impossibilità dello spettatore di cogliere l’artificio della produzione che può scattare il suo completo assorbimento nella diegesi. Questo meccanismo si basa sulla completa sospensione della consapevolezza che ciò che si sta proiettando è fittizio, lo spettatore perde la propria coscienza spazio temporale, come in un sogno.

In L’evoluzione del linguaggio cinematografico (André Bazin, 1979) Bazin afferma che sono tre le caratteristiche essenziali del découpage classico: motivazione, chiarezza e drammatizzazione. Questi tre principi motivano tutti gli stacchi di montaggio che, nella loro necessità, non devono essere colti grazie ad un uso accorto e sapiente dei raccordi, i quali hanno proprio la capacità di rendere ogni cambiamento di inquadratura meno evidente e brusco.

I principali raccordi, sono:

Raccordo di movimento: un gesto o un movimento cominciato in un’inquadratura termina in quella successiva.

Raccordo sull’asse: è un avvicinamento con stacco senza cambiare l’angolo di ripresa.

Raccordo di sguardo: prima si mostra un personaggio che guarda un oggetto e poi l’oggetto guardato.

Raccordo di posizione: due personaggi sono ripresi uno a destra e l’altro a sinistra in un’inquadratura, manterranno la stessa posizione nella successiva.

Raccordo di direzione: se, ad esempio, un personaggio in movimento esce da destra, nella successiva inquadratura deve riapparire da sinistra. In caso contrario lo spettatore potrebbe pensare che il protagonista possa aver cambiato idea.

Cira Pinto

[1]Un codice di produzione che viene emanato nel 1934, da William Hays e che resterà in vigore fino agli inizi degli anni Sessanta. Questo codice stabilisce una serie di standard morali per la rappresentazione di tematiche sessuali, scene di violenza o di crimini che si basano su tre principi fondamentali: il rispetto della legge della natura e degli uomini; condanna del crimine dell’immoralità e della licenziosità. Il risultato è che, ad esempio, l’omosessualità viene bandita dagli schermi e che, addirittura, una coppia regolarmente sposata non può essere rappresentata insieme nello stesso letto.