Giovanni Pontano e l’umanesimo napoletano

Giovanni Pontano è uno dei rappresentanti più importanti dell’umanesimo napoletano. Scrittore prolifico, i cui testi vedono la luce tra la seconda metà del 1400 e gli inizi del 1500, ci raccontano molto dei cambiamenti cruciali che caratterizzano tale periodo storico. In questo articolo analizziamo la vita di Pontano, l’Italia nella quale egli vive, le opere e il pensiero.

“L’Italia” ai tempi di Giovanni Pontano

Innanzitutto, è forse superfluo ricordare che ai tempi di Giovanni Pontano l’Italia non esiste. Cioè, la penisola non è ancora unita dal punto di vista politico e lo diviene solo in epoca contemporanea. Tuttavia, un’unione politica è presente nel Sud Italia, in un’area estesa dalla Sicilia all’Abruzzo, sotto la guida dei re aragonesi. In effetti, quest’area risulta unita sotto la dinastia normanna con Ruggero secondo già nel dodicesimo secolo, e poi, priva della Sicilia, sotto la famiglia angioina. Ma dopo che quet’ultima perde tale dominio quando Alfonso quinto d’Aragona vince la guerra contro di loro, la Sicilia torna parte del regno, ora per intero sotto la guida di Alfonso. Perciò, questi è detto anche Alfonso primo di Sicilia e di Napoli.

Così, nel 1443, Papa Eugenio IV gli riconosce il diritto di governare il Regno di Napoli. Riconoscimento che garantisce la sicurezza dei confini dei territori del nord del regno, confinanti con quelli del Papa, nonchè una protezione contro gli attacchi di altri sovrani cristiani. Tuttavia, Alfonso non si limita alla conquista di quest’area geografica. Infatti, egli progetta una riamministrazione del potere sovrano, nell’ottica di un suo migliore funzionamento. Inoltre, il suo obiettivo è dare lustro alla sua dinastia, così da garantire legittimità sul governo del regno. Infatti, Alfonso resta un sovrano che ha conquistato il Sud con un esercito armato, contro un’altra dinastia, quella angioina, che afferma la medesima legittimità nel governo dell’area.

Inoltre, l’unico figlio maschio di Alfonso, Ferdinando I detto “Ferrante”, è un bastardo. Cioè, figlio di una relazione illegittima. Eppure, proprio a lui assegna in eredità il comando del regno. Perciò, nonostante la vittoria militare e il beneplacito del Papa, Alfonso cerca altri elementi che legittimano il suo potere e quello della discendenza.

Cornice storico-culturale

La volontà di re Alfonso di trovare una legittimazione al suo trono che non deriva dalla forza militare e neanche dal permesso del Papa lo spinge verso un rinnovamento dell’idea di potere governativo. Così, ha inizio quello che gli storici oggi definiscono “umanesimo napoletano“. Cioè, Alfonso apre la sua corte a numerosi intellettuali che, con il loro sapere, lo possano aiutare nel governo del regno e allo stesso tempo esaltino il suo operato proprio in virtù della sua attenzione alla sfera culturale oltre che per altre sue doti. Dunque, l’umanesimo napoletano è un paradigma cronologicamente contemporaneo, ma diverso, rispetto all’umanesimo repubblicano-fiorentino. Cioè, si tratta di una renovatio culturale che, a differenza di quello del Centro Italia, ha il suo motore in una monarchia e che dura circa mezzo secolo.

Giovanni Pontano Castelnuovo
Castel Nuovo. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

Difatti, proprio per questo motivo il centro culturale e governativo del regno aragonese diviene il Castelnuovo. Ampliamento e modifica del Maschio Angioino costruito per l’appunto dagli Angioini, il Castelnuovo diviene simbolo del potere regio. Inoltre, in esso ha sede la biblioteca e le stanze nelle quali i diversi intellettuali si incontrano, discutono e prendono le decisioni.

Ma chi sono questi intellettuali? Ne nominiamo alcuni. Innanzitutto, Antonio Beccadelli detto “Il Panormita”, in quanto originario di Palermo, fondatore del Porticus Antonianus, una delle prime accademie fondate in Europa.  Poi, il napoletano Giuniano Maio, precettore dei figli di Ferrante e fatto cavaliere dallo stesso re. Ancora, Francesco Patrizi, vescovo di Gaeta, che esalta nei suoi testi la virtù sapienziale degli aragonesi. Inoltre, ricordiamo il ministro Diomede Carafa, membro di una famiglia aristocratica di Napoli. Infine, Lorenzo Valla, famoso per aver giudicato falsa la cosiddetta Donazione di Costantino, che diviene il segretario di Alfonso. Così, in questo ricco clima culturale composto da napoletani e non napoletani, rientra Giovanni Pontano.

La vita di Giovanni Pontano

Giovanni Pontano nasce nel 1429 a Cerreto di Spoleto, non lontano da Perugia, all’epoca sotto il dominio della famiglia aristocratica perugina dei Baglioni. Così, proprio a Perugia si trasferisce la famiglia Pontano dopo che il padre Giacomo muore in una faida politica. In effetti, a Perugia lo zio Tommaso diviene cancelliere della città dal 1441. Quindi, Pontano studia presso la locale università e nello stesso periodo compone anche dei versi con lo pseudonimo di Gioviano. In effetti, già nel 1452 Biondo Flavio, storico e umanista italiano, nello scrivere un testo sull’Umbria parla anche di Giovanni come un “giovane e promettente poeta elegiaco“.

Tuttavia, verso il 1447, Giovanni lascia l’Umbria per la Toscana. Infatti, egli sa che lì si trova il re di Napoli Alfonso, intento nella guerra contro Firenze, e intende incontrarlo. Così, l’anno successivo è già membro della sua corte e lo segue a Napoli, dove si trasferisce. Inoltre, egli stringe subito un buon rapporto con il Panormita, che lo raccomanda per un lavoro presso la Tesoreria regia. Nello stesso periodo sembra che Pontano accompagna Beccadelli in missioni diplomatiche, come quella presso Venezia. Poi, nel 1452 diviene il primo scrivano della Cancelleria. Ma intanto egli prosegue anche gli studi, che comprendono il greco e l’astrologia. Inoltre, apre egli stesso una scuola per i giovani della nobiltà locale dove insegna i classici. Infine, continua la composizione di versi.

Così, re Alfonso lo nomina precettore di suo nipote Giovanni d’Aragona, ed egli alterna compiti da studioso e da ambasciatore, anche presso il Papa a Roma. Tuttavia nel 1463, di nuovo a Napoli, diviene precettore del figlio di Alfonso, Ferrante, al posto del Panormita ormai anziano. Nel 1461 sposa la nobile Adriana Sassone e negli anni seguenti accompagna Ferrante nelle sue campagne militari. La sua morte è nel 1503.

Le opere di Giovanni Pontano

Innanzitutto, Giovani Pontano scrive, con l’eccezione di alcune lettere in volgare, tutti i suoi testi in latino. Data la vena artistica troviamo dialoghi e poemi, che tuttavia sono anch’essi portatori di messaggi più o meno colti. Così ad esempio l’Urania e il Meteororum liber, sull’astrologia, o il De hortis Hesperidum sive de cultu citriorum, sulla coltivazione dei cedri. Poi, il Charon in cui denuncia le superstizioni popolari e la corruzione degli ecclesiastici, o l’Asinus, una denuncia velata all’ingratitudine del suo allievo Alfonso, e altri ancora.

Ma per quanto riguarda il suo pensiero filosofico-politico, i testi che ci dicono qualcosa in merito sono altri come il De principe, il De bello Neapolitano, il De prudentia e il De fortuna. Il De principe, uno dei primi, risale al 1465. Dedicato al primogenito di Ferrante, Alfonso, il De principe è un’esaltazione della famiglia aragonese, che descrive come ricca di virtù. In effetti, proprio ciò legittima, secondo Pontano, il potere sovrano di questa famiglia, in quanto la virtuosità di un sovrano, il principe appunto, innesca un circolo virtuoso che rende migliore il regno governato. Ecco perchè più egli possiede virtù, più è la persona giusta per tale compito. Ma l’essere già virtuosi non basta, anzi, proprio ciò deve spingere il giovane principe a coltivare questo aspetto di sè.

Poi, abbiamo il De bello Neapolitano, un’opera rimasta incompiuta nella quale Pontano ricorda la guerra vinta da Ferrante contro gli Angioini e i baroni ribelli del regno. In effetti, è una riflessione sullo svolgimento degli accadimenti e l’ideologia politico-sociale. Invece, il De prudentia è un trattato in cui egli affronta l’arte della simulatio, che descrive come sintomo di un carattere privo di etica. Tuttavia, a causa delle sciagure procurate dalla sfortuna, diviene legittimo fare uso anche di questa arte.

Giovanni Pontano postumo: il 1500

Giovanni Pontano
Medaglia con l’effige di Giovanni Pontano. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

Il De fortuna è un testo di Pontano edito postumo nel 1512. In esso, leggiamo un Pontano molto diverso da quello del suo primo trattato, il De principe. In effetti, tante cose sono cambiate: il re di Francia Carlo VIII per un breve periodo strappa il regno agli aragonesi, e sotto di lui Pontano è tenuto poco in considerazione dalla nuova corte. Ma anche quando, a distanza di pochi mesi, nel 1495, il trono ritorna agli aragonesi con Ferdinando Trastàmara, lo statista avverte che i tempi sono ormai cambiati. Infatti, se già nel De Prudentia le virtù spirituali e intellettuali di un sovrano devono in certi casi cedere il passo alla simulatio, nel De fortuna questa idea si accentua anche di più. Come scrive Bistagne:

«Ritirato della politica, è un Pontano stanco, realistico e quasi cinico a ripiegarsi sulla letteratura come unico scopo dell’intellettuale. Di fronte al crollo del regno aragonese, è questa l’epoca in cui […] offre consigli ai sovrani nel suo carteggio, in una dimensione adesso privata, mentre tutta la sua vita precedente aveva assunto una dimensione pubblica».

Pontano e Machiavelli

Insomma, chi legge i testi dell’intellettuale in successione cronologica ha l’impressione di una sconfitta del pensiero dei suoi primi anni alla corte aragonese. Ma si tratta a ben vedere di un adeguarsi ai tempi e un prendere coscienza che il sogno di Alfonso e Ferrante è perlopiù concluso con loro. La sconfitta degli aragonesi, seppur seguita dal loro ritorno, sembra esserne una prova. In effetti, è solo questione di pochi anni perché il re di Francia Luigi XII di Valois-Orléans sottragga di nuovo, e questa volta per sempre, il proprio regno agli aragonesi.

Così, l’affermazione che è la fortuna che governa il mondo, e che chi governa vi riesce solo grazie ad essa e la capacità di essere prudente e simulare piuttosto che tramite la coltivazione delle sue virtù, sembra segnare la svolta che dalla cultura del 1400 trasmuta in quella del 1500. Una cultura in cui, non a caso, troviamo centrale in Italia il pensiero politico di Niccolò Machiavelli, fondato proprio su questa visione del mondo. Infatti, è proprio verso il 1512 che il fiorentino inizia la composizione di un testo con un nome che ricalca uno dei trattati di Pontano: Il Principe.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

G. Cappelli, Maiestas, politica e pensiero politico nella Napoli aragonese (1443-1503), Carocci, Roma 2017.

G. Pontano, (a cura di G. Cappelli), De principe, Salerno editrice, Roma 2003.

Sitografia

C. Ginzburg, Pontano, Machiavelli and Prudence:Some Further Reflections, reperita dal sito: www.storiadifirenze.org.

Video del convegno e presentazione di una nuova edizione dell’opera di G. Pontano De bello Neapolitano presso l’Università Federico II di Napoli del 2021.

Nota: l’immagine di copertina è tratta da Wikimedia Commons.