Il fine giustifica i mezzi: cosa ha davvero detto Machiavelli?

Il fine giustifica i mezzi” è il celebre motto che nella vulgata popolare viene associato al Principe di Niccolò Machiavelli, uno dei più celebri trattati politici al mondo, nonché uno dei classici fondamentali della letteratura italiana. Da questo concetto, nel corso dei secoli, si è sviluppato il cosiddetto “machiavellismo”, termine con cui si indica una dottrina politica e un esercizio del potere improntati a uno spietato e spregiudicato utilitarismo, disposto anche a fare del male per raggiungere i suoi scopi.

Tuttavia, l’idea che Machiavelli abbia teorizzato questa dottrina politica nasce da una sbagliata (o quanto meno superficiale) lettura del Principe. Infatti, il pensiero di Machiavelli, seppur discutibile e criticabile sotto alcuni punti di vista, è molto più complesso, più sottile, e deve essere contestualizzato e precisato meglio.

Nel Principe si dice che “il fine giustifica i mezzi”?

Innanzitutto, l’attribuzione a Machiavelli della massima “il fine giustifica i mezzi” si può facilmente escludere leggendo Il Principe. Infatti, questa frase non si trova scritta né qui né tanto meno in altre sue opere.

Tuttavia, questa semplice constatazione non è sufficiente per liquidare il problema. In effetti, nel Principe è possibile trovare una frase che, in modo un po’ diverso, esprime sostanzialmente questo concetto. Nel capitolo XVIII del suo trattato, Machiavelli scrive:

E nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci adunque un principe conto di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi sempre fieno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati.

[Il Principe, XVIII, 6-7]

Qui, benché non troviamo letteralmente l’espressione “il fine giustifica i mezzi”, ciò che Machiavelli esprime può apparire perfettamente sovrapponibile a livello concettuale.

Ma leggendo con attenzione si capisce che Machiavelli non giustifica i mezzi in qualunque caso e a qualunque costo, ma questi «saranno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati» solo al fine di «mantenere lo stato». Infatti, il Principe deve agire per il bene dello Stato e per il suo mantenimento: solo in questa direzione l’agire del principe (qualunque mezzo egli utilizzi) è “giustificabile”.

Ma approfondiremo più avanti questo aspetto fondamentale, che è la chiave di lettura di tutto il pensiero machiavelliano.

“Il fine giustifica i mezzi” secondo De Sanctis

Se Machiavelli non ha mai detto che “il fine giustifica i mezzi”, tuttavia, troviamo questa famosa massima, riferita a Machiavelli, all’interno della celeberrima Storia della letteratura italiana (1870-1871) di Francesco De Sanctis, un testo su cui hanno studiato generazioni di studenti. Egli nel capitolo XV, dedicato proprio al nostro autore, così si esprime:

Ci è un piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato nell’ombra le altre sue opere. L’autore è stato giudicato da questo libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice della tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda l’opera. E hanno chiamato macchiavellismo questa dottrina.

[Cap. XV, p. 590]

Qui De Sanctis, nel delineare il quadro dei giudizi su Machiavelli, ha presente probabilmente un passo di Friedrich Schlegel nella Storia della letteratura antica e moderna. Ma appunto egli riporta un giudizio non suo, che anzi rigetta. Scrive infatti poco più avanti:

Questa critica non è che una pedanteria. Ed è anche una meschinità porre la grandezza di quell’uomo nella sua utopia italica, oggi cosa reale. Noi vogliamo costruire tutta intera l’immagine, e cercare ivi i fondamenti della sua grandezza.

Tuttavia, quelle poche parole, “il fine giustifica i mezzi”, all’interno di una delle più importanti pagine della nostra critica sono bastate a etichettare semplicisticamente l’intero pensiero di Machiavelli, eliminando tutta l’analisi fatta da De Sanctis.

Di cosa parla Il Principe di Machiavelli?

Il Principe è un breve trattato politico scritto da Machiavelli nel 1513. Il tema che l’autore vuole affrontare è appunto quello del principato, cioè un’organizzazione politica su cui si basava generalmente uno stato territoriale (di dimensioni per lo più regionali) retto da un sovrano con pieni poteri, il Principe appunto.

Non scenderemo nel dettaglio dei singoli argomenti affrontati da Machiavelli, che sono tanti e ricchi di esempi storici. Basti sapere che, dopo aver passato in rassegna i modi in cui è possibile impossessarsi del potere, Machiavelli si sofferma soprattutto sul modo in cui il Principe deve agire per mantenere il potere e non perderlo. In questo contesto l’autore dedica ampio spazio al comportamento che il Principe deve assumere nei confronti dei suoi sudditi. È proprio in questi capitoli che alcuni ragionamenti di Machiavelli, se interpretati superficialmente e non contestualizzati, potrebbero apparire molto vicini al concetto riassunto nella frase “il fine giustifica i mezzi”.

In altre parole quello che Machiavelli dice è che al fine di mantenere il potere il Principe può ricorrere a qualunque mezzo, anche violento se necessario.

“Il fine giustifica i mezzi” e il realismo politico di Machiavelli

Nonostante Machiavelli fosse, da un punto di vista ideologico, un repubblicano, egli riteneva che l’unica forma politica concretamente realizzabile in quel preciso momento storico fosse il principato, organizzazione politica abbastanza diffusa nell’Italia del ’500.

Tale discordanza non è strana se consideriamo l’aspetto realista e pragmatico del pensiero di Machiavelli. Il suo metodo d’indagine è quello dello storicismo: egli non vuole descriverci uno Stato perfetto e ideale, non ricerca una forma politica utopica, ma la forma di governo concretamente realizzabile nell’Italia del suo tempo (ricordiamo che siamo nel pieno delle guerre d’Italia, in un momento di grande crisi politica, in cui la penisola è contesa dalle grandi potenze straniere). Dunque, Machiavelli è sì un repubblicano da un punto di vista ideologico, ma è anche un realista, e ritiene che in quel momento storico la migliore forma di governo possibile – e soprattutto realizzabile concretamente – sia il principato.

La politica deve sempre seguire la morale?

Nell’ambito di questo realismo l’autore passa in rassegna ciò che il Principe dovrebbe fare per mantenere lo Stato. Evidentemente si tratta di una questione molto pratica e non morale. In particolare il Principe deve assumere tutti quegli atteggiamenti che permettono la sopravvivenza e la stabilità del suo governo, ma tali atteggiamenti, talvolta, possono non coincidere con la morale. Di conseguenza, talvolta potrebbe essere necessario mettere da parte l’etica per un bene superiore: lo Stato.

Ecco perché “il fine giustifica i mezzi”: il bene e la stabilità dello Stato è il fine ultimo del Principe, e tale fine deve essere attuato non con i mezzi più giusti da un punto di vista etico e morale, ma con i mezzi più efficaci per realizzarlo.

De Sanctis intendeva questo quando diceva che Il Principe «è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo valore morale». Proprio nell’errore di aver giudicato moralmente un testo che in nulla voleva essere morale risiede l’interpretazione distorta del pensiero di Machiavelli.

Machiavelli vuole dire che “il fine giustifica i mezzi”?

Se lo scopo del trattato di Machiavelli è illustrare come un Principe possa mantenere lo Stato, ne consegue che egli dovrà innanzitutto essere un buon governante. Uno stato governato male, in cui il sovrano si comporta come un despota, è inevitabilmente destinato a morire.

Quindi, il buon Principe deve soprattutto fare l’interesse dello Stato. Tuttavia, questo interesse potrebbe anche non coincidere con l’interesse del popolo, né con quello del Principe stesso. Ma agire moralmente, facendo il bene dei cittadini è, secondo Machiavelli, una condizione essenziale per mantenere lo Stato. Egli ritiene che il male commesso dal Principe debba sempre essere rivolto al bene dei sudditi, altrimenti si ritorce contro colui che lo adopera, provocandone la rovina.

Dunque, agendo sempre per il bene dello Stato, il Principe potrebbe eventualmente utilizzare mezzi immorali, ma solo ed esclusivamente se la necessità lo richiede (e solo a questo fine).

Machiavelli sa bene che azioni come l’omicidio o la menzogna sono riprovevoli e moralmente inconcepibili, ma egli distingue nettamente tra giudizio morale e giudizio politico. Infatti, dei comportamenti che potrebbero essere cattivi secondo la morale, possono essere invece buoni politicamente e viceversa. La crudeltà può a volte essere tristemente necessaria per il politico perché deve far fronte alla natura malvagia degli uomini (tale la considera Machiavelli); quindi si tratta di comportamenti talvolta obbligati se si vuole perseguire l’utile della comunità.

La crudeltà può essere usata bene?

Machiavelli fa una distinzione tra “crudeltà male usate” e “bene usate”:

Bene usate si possono chiamare quelle – se del male è lecito dire bene – che si fanno uno tratto per la necessità dello assicurarsi e di poi non vi s’insiste dentro ma si convertono in più utilità de’ sudditi che si può; male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, più tosto col tempo crescono che le si spenghino. Coloro che osservono el primo modo possono, con Dio e con li uomini, avere allo stato loro qualche rimedio come ebbe Agatocle; quegli altri è impossibile si mantenghino.

[Il Principe, cap. VIII, 6]

Quindi la crudeltà non potrebbe mai essere giustificata se non fosse occasionalmente richiesta dalla necessità per il bene dello Stato. Alcuni comportamenti crudeli e immorali sono adottabili solo dal politico e solo se strettamente necessari per questo bene superiore. Ma la stessa affermazione “il fine giustifica i mezzi”, pur usata per riassumere questo pensiero, è inesatta. Machiavelli non vuole affatto “giustificare”: questo verbo introduce proprio quel criterio morale che Machiavelli vuole escludere. Egli semplicemente constata che alcuni atteggiamenti (morali o immorali che siano) sono necessari per il bene dello Stato.

Mai Machiavelli ha sostenuto che “il fine giustifica i mezzi” in modo assoluto, come a voler giustificare qualunque nefandezza. Oltretutto, egli fa un’esplicita distinzione tra “principi” e “tiranni”: i primi operano a vantaggio dello Stato, e, se usano metodi immorali, lo fanno per il bene pubblico; i secondi sono crudeli senza necessità, e solo a proprio vantaggio.

Insomma, Machiavelli non auspica un Principe spregiudicato e malvagio, ma un sovrano illuminato al servizio dei sudditi, in grado di costituire uno Stato ben ordinato e sicuro, che possa garantire al cittadino benessere e tranquillità.

“Il fine giustifica i mezzi” all’origine del “machiavellismo”

Già ai suoi tempi, la figura di Machiavelli non godette di una fama positiva. Nel 1559 tutte le sue opere furono inserite nell’Indice dei libri proibiti, pur continuando a circolare. Già allora iniziò a diffondersi la formula “il fine giustifica i mezzi”, che vorrebbe riassumere tutto il “machiavellismo” (termine che oggi ha accezione negativa).

I protestanti inglesi e francesi videro in Machiavelli la perfetta immagine del cinismo politico degli italiani e dei gesuiti. In quest’ottica si collocava l’opera del francese Innocent Gentillet, Antimachiavellus (1576), che vede in Machiavelli l’ispiratore politico dell’odiata regina cattolica e italiana, Caterina de’ Medici (reggente di Francia dopo la morte del marito Enrico II).

Quindi, l’aggettivo “machiavellico” diventa sinonimo di intrigante, ingannatore maligno e senza scrupoli. In Inghilterra il nome di Machiavelli definisce lo stereotipo dell’italiano, visto come orditore di inganni e trame segrete.

Ecco che un’interpretazione distorta e una frase mai detta, “il fine giustifica i mezzi”, hanno bollato un grande pensatore, modificando il nostro lessico. Anche per questo oggi è importante studiarlo e riscoprirlo, per apprezzare la vera essenza di un grande intellettuale del Rinascimento.

Rosario Carbone

Bibliografia

  • Niccolò Machiavelli, Il Principe, Milano, Feltrinelli, 2013.
  • Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Milano, BUR, 1983.
  • Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, II, Dal Cinquecento al Settecento, Milano, Mondadori, 2012.
  • Francesco Bausi, Machiavelli, Roma, Salerno, 2005.
  • Guido Baldi-Silvia Giusso-Mario Razetti-Giuseppe Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Vol. B, Umanesimo, Rinascimento, l’età della Controriforma, Milano, Paravia, 1998.
  • Mario Martelli-Francesco Bausi, Politica, storia e letteratura: Machiavelli e Guicciardini, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, IV, Il primo Cinquecento, Roma, Salerno, 1996, pp. 251-351.