Protagora di Platone

Gli studiosi ritengono che Il Protagora di Platone è un testo fondamentale per la comprensione della filosofia platonica. Infatti, in esso avviene un confronto verbale tra il celebre sofista Protagora e il filosofo maestro di Platone, Socrate. In questo articolo illustriamo questo dialogo e lo inquadriamo nel corpus delle opere platoniche.

Il Protagora storico e “il Protagora di Platone”

Innanzitutto, Protagora è davvero un filosofo greco contemporaneo di Socrate, seppur più vecchio di diversi anni. Anche se originario di Abdera, sulla costa della Tracia, soggiorna più volte ad Atene, la città di Socrate, ed entra in contatto con Pericle che all’epoca comanda la città. Infatti, è proprio Pericle che gli affida la redazione della costituzione della nuova colonia ateniese di Thurii.

Anche se i manuali di filosofia lo annoverano tra i filosofi, Platone lo descrive come un sofista. Ma questo non deve stupire. Infatti, proprio in quegli anni ad Atene il sofismo e la filosofia tendono a coincidere, tanto che tale distinzione è problematica anche nell’esame del pensiero di Socrate. In effetti, è questo il motivo per il quale Platone pone qui un confronto tra Socrate e Protagora. Difatti, gli studiosi ammettono che la vicenda che Platone riporta può aver avuto luogo. Ma ciò ha poco importanza dato che “il Protagora di Platone” è un personaggio fittizio realizzato proprio per mostrare la superiorità del ragionamento socratico sulla sofistica.

Infatti, nonostante la presenza di altri sofisti, Protagora è considerato uno dei più importanti se non “il padre” della sofistica. In effetti, la sua asserzione più famosa è che “l’uomo è al centro di tutte le cose”, affermazione che sembra in controtendenza col pensiero dell’epoca e che introduce una certa dose di relativismo. In sintesi, il pensiero protagoreo smonta l’idea che c’è una Verità che il filosofo ha il compito di scoprire.

Collocazione del Protagora di Platone tra i dialoghi

Protagora di Platone
Ricostruzione del volto di Socrate sulla base delle sue statue di marmo. Fonte: Wikimedia Commons.

Il Protagora di Platone è, nell’elenco che Trasillo stabilisce dei dialoghi platonici , il secondo dialogo della sesta tetralogia, che inizia con l’Eutidemo e trova conclusione col Menone. Cioè, Trasillo ordina i testi di Platone in gruppi da quattro, le tetralogie appunto. Così, Il Protagora di Platone risulta il ventiduesimo. Tuttavia, secondo gli studiosi, quest’ordine non rispecchia l’ordine nel quale Platone realizza questi dialoghi, e nemmeno le tappe della vita di Socrate, protagonista di tutti quanti. Invece, in certi casi individuiamo dei nessi tematici che uniscono i dialoghi di una medesima tetralogia.

In effetti, ciò è facile coi dialoghi della sesta tetralogia. Infatti, tutti trattano del rapporto tra sofismo e filosofia. Tuttavia, va detto che questo tema lo ritroviamo anche in dialoghi che appartengono ad altre tetralogie, primo tra tutti Il Sofista.

Il Protagora di Platone e Il Gorgia di Platone

Ma c’è anche un altro dialogo, sempre della sesta tetralogia, su cui spendiamo qualche parola perchè risulta interessante il confronto col Protagora. Cioè, Il Gorgia, che possiamo considerare parte di una medesima narrazione. Infatti questo dialogo, proprio come Il Protagora e come suggerisce il nome stesso, vede un confronto tra Socrate e un altro grande sofista, Gorgia di Leontini. Infatti, lo schema dei due dialoghi è molto simile. Cioè, in entrambi Socrate incontra il sofista che giunge ad Atene e applica su di lui la sua arte maieutica nel tentativo di trarne delle verità al di là dei bei discorsi dei suoi interlocutori. Inoltre, in entrambi i dialoghi i protagonisti hanno al loro fianco alcuni rispettivi seguaci che prendono la parola per appoggiarli.

In effetti, va notata una differenza tra “il Protagora di Platone” e “il Gorgia di Platone”. Cioè, Protagora appare in parte del dialogo seccato dalle domande e dalla piega della conversazione. Invece Gorgia, anch’egli messo in difficoltà dalle domande di Socrate, non si scompone e conserva una certa pacatezza, cosa che non fanno però i suoi discepoli.

La circostanza descritta nel Protagora di Platone

Innanzitutto, un amico incontra Socrate e gli chiede se è per caso a caccia del giovane e bell’Alcibiade. Però Socrate, anche se non nega questa circostanza, sposta l’attenzione su altro e inizia il racconto di quello che gli è accaduto di mattina. Cioè, Callia, uno dei più ricchi Ateniesi e imparentato con Pericle, ospita in casa una folla di sofisti. Così, Socrate si è recato a casa di Callia per ascoltarli insieme a Ippocrate, che lo ha avvertito su tale situazione. Difatti, Socrate chiede a Ippocrate perché si reca dai sofisti con del denaro. Cioè, chi va da un medico coi soldi, glieli offre per via della sua professione. Dunque, perché andare da un sofista con dei soldi? Difatti, Ippocrate affida la cura della sua anima ai sofisti, è questa una buona scelta?

Così, i due giungono a casa di Callia, dove trovano Protagora e altri Greci assorti nell’ascolto delle sue parole, nello stesso momento in cui giungono Alcibiade e Crizia. Inizia il dialogo tra Socrate e Protagora quando il primo presenta al secondo Ippocrate e la sua volontà di lasciarsi istruire. Quindi, Protagora spiega che la sua è un’arte antica, ma che col tempo poeti e altri falsi maestri hanno corrotto. Ma Protagora possiede la vera arte che consente a chiunque lo frequenta di tornare ogni giorno a casa migliore.

Tuttavia, Socrate nota che chiunque, lo stesso Protagora, torna a casa ogni giorno migliore, se incontra qualcuno che gli insegna qualcosa. Invece, la vera domanda è in che cosa Protagora rende migliore, che cosa egli insegna. Così, Protagora afferma che è l’accortezza tanto negli affari privati tanto in quelli pubblici. Insomma, l’arte politica.

Il mito narrato da Protagora

Però Socrate afferma di non credere che una tale arte può essere trasmessa. Infatti, quando gli Ateniesi si riuniscono in assemblea e parlano ad esempio di un problema legato agli edifici della città, chiamano in causa degli architetti. Invece, per la costruzione di navi, chiamano gli esperti delle navi. Invece, sulle questioni che riguardano le decisioni della città, ognuno prende la parola senza esserne un esperto. Insomma, la virtù non sembra una cosa insegnabile. Così, Protagora risponde a Socrate con la narrazione di un mito.

Quando gli dei creano l’uomo, Prometeo ruba a Efesto e Atena il fuoco e lo dona all’uomo. Ma non gli dona la sapienza politica, custodita nella casa di Zeus. Così gli uomini, indifesi contro le fiere, si uniscono con la fondazione di città. Ma, per la mancanza di virtù politica, si fanno ingiustizia l’un l’altro. Perciò, Zeus, per impedire la fine dell’umanità, affida a Hermes la distribuzione dell’arte politica. Inoltre, specifica a Hermes che tutti gli uomini devono riceverla, e chi non sa partecipare nel rispetto e nella giustizia deve essere ucciso come un male della città.

Così, Socrate chiede a Protagora un chiarimento su ciò che in questa narrazione egli ha chiamato virtù. Cioè, nomi quali giustizia, temperanza, santità, indicano parti differenti di questa virtù, o sono altri nomi con cui chiamarla, suoi sinonimi?

Confronto tra Protagora e Socrate sulle virtù

Perciò, Protagora risponde che i diversi nomi delle virtù indicano parti diverse di un’unica cosa, la virtù nella sua interezza, come le varie parti del viso partecipano a tutto il viso. Dunque, Socrate chiede se gli uomini virtuosi possiedono tutte le forme di virtù, e Protagora risponde di no, giacché un uomo coraggioso può essere ingiusto e così via. Così, Socrate lo incalza e afferma che definizione della giustizia è l’essere giusto. Ma se l’essere giusto appartiene solo alla giustizia, allora chi possiede un’altra qualsiasi virtù non può essere uomo giusto.

Dunque, Protagora ammette che ciò non è possibile. In effetti, argomenta, virtù come giustizia e santità sono almeno in parte la stessa cosa. Così, Socrate gli chiede se questo stesso quasi-rapporto di identificazione è presente tra la temperanza e la sapienza, e questi è d’accordo. Poi, Socrate nota come la temperanza è il contrario della stoltezza, e anche la sapienza lo è. Ma non possono esserci due cose contrarie alla stessa cosa.

Perciò, Socrate vuole meglio definire cosa significa “buono per gli uomini” e propone come definizione l’utile. Ma Protagora ribatte che ciò che è buono per gli uomini può non esserlo per gli animali o per le piante, e che esistono cose buone, cattive, e anche cose che non sono né l’una né l’altra. Insomma, il bene è qualcosa di così vario e multiforme che la stessa cosa allo stesso uomo può far bene all’esterno del corpo ma non all’interno.

II coraggio è una scienza

Ma queste ultime argomentazioni irritano Socrate, dato che il maestro sofista porta il dialogo su un piano che non è dialettico, e fa per andarsene. Tuttavia Callia raggiunge Socrate e lo invita a restare, e Alcibiade, che vede in Callia un sostenitore di Protagora, prende le difese di Socrate. Così, Socrate stabilisce i criteri per proseguire la discussione.

Quindi, la discussione si sposta su un vecchio carme che Protagora pronuncia e che descrive quanto è difficile essere buoni. Tuttavia, per Socrate la corretta interpretazione del carme non riguarda l’essere buoni, ma il diventare buoni. Cioè, è difficile diventare buono, ma è impossibile essere buono, nel senso di esserlo sempre, perché chi è abbattuto dalla sventura diviene cattivo. Poi, dopo questa parentesi, Socrate torna a chiedere se giustizia, temperanza, forza, sapienza, santità sono la stessa cosa oppure no. Dipoi, chiede se una vita che mira al raggiungimento del piacere ed evita i mali non è una vita nel segno dell’utile.

Tuttavia, i coraggiosi affrontano le cose pericolose, cioè svantaggiose, e non quelle piacevoli, nota Socrate. Invece, coloro che sono chiamati vili, sono in effetti coloro che evitano i mali. Ma Socrate rovescia questa visione e afferma che i vili hanno ignoranza di ciò che è bello e buono, per questo lo ritengono male e lo evitano, mentre i coraggiosi hanno tale conoscenza. Dunque, il coraggio è la scienza delle cose temibili e non temibili.

Conclusione del Protagora di Platone

Protagora di Platone
Antica casa greca con cortile interno e colonnato. Il Protagora di Platone ha luogo in un ambiente di questo tipo. Fonte immagine:Flickr.com.

Dunque, a inizio dialogo Socrate afferma che la virtù non è insegnabile, Protagora al contrario che è insegnabile. Invece, a fine dialogo, come nota lo stesso Socrate, ora egli afferma che la virtù è insegnabile e Protagora che non lo è. Socrate e Protagora si congedano in modo cortese, dato che Protagora afferma di non poter continuare la conversazione, malgrado il desiderio di Socrate. Così, trova conclusione Il Protagora di Platone, che nonostante le argomentazioni di Socrate offre la possibilità a chi ne fruisce di riflettere su questa tematica.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.

Sitografia

Lezione sul Protagora di Platone tenuto da Florinda Li Vigni sul canale Youtube dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

Nota: l’immagine di copertina è tratta da Wikimedia Commons.