Il boom economico in Italia (1958-1968)

Con l’espressione boom economico (o miracolo economico italiano) intendiamo lo sviluppo di cui l’Italia fu protagonista dalla fine del secondo conflitto mondiale agli anni ’60-’70 circa. In particolare, l’Italia necessitava di politiche oculate in campo agricolo, industriale e sociale di cui i governi De Gasperi tra il ‘48 ed il ’53 sembravano farsi carico. In realtà il clima politico non sempre favorì il compimento di riforme veramente strutturali ed efficienti.

Quali furono le politiche adottate? E quali mutamenti sociali caratterizzarono l’Italia nel momento di massima crescita, tra il 1958 ed il 1968?

Boom economico
Le strade cominciarono a riempirsi sempre più di auto

Come si presentava l’Italia negli anni ’50?

Partiamo dai freddi numeri: a metà degli anni ’50 nel Bel Paese la popolazione era occupata per il 42,2 % (al sud il 56,6 %) in agricoltura, in condizioni molto dure e senza un generale accesso ai servizi igienici (solo il 7,4 %). Nel 1948, il governo centrista di De Gasperi promosse una riforma agraria che aveva aiutato i mezzadri dell’Italia centrale a prendere possesso di una buona quantità di terre. Nonostante ciò, cominciò un lungo processo di emigrazione verso l’estero, con il 70% dei partenti provenienti dal sud.

Il Patto Atlantico

La classe dirigente italiana, guidata dalla Democrazia Cristiana, tendeva ad assumere un atteggiamento di forte apertura al blocco capitalistico occidentale: nel 1949 l’Italia prese parte alla NATO (Trattato del Nord Atlantico). La stessa economia, pertanto, si adattava a tre direttrici principali:

  • apertura al Mercato Comune, quindi alla neonata CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio), antesignana dell’Unione Europea;
  • adozione del modello produttivo consumistico e fordista, applicato, per esempio, alle grandi industrie quali FIAT, ENI, EDISON, MONTECATINI;
  • seguendo la cosiddetta Dottrina Truman, presidente USA dal 1945 al 1953, l’Italia fu beneficiaria di parte dei 29 mld di dollari del Piano Marshall, con cui gli americani intendevano rivitalizzare i mercati europei e, chiaramente, porre le basi per un controllo degli stessi.

Grande rilievo assunse l’azienda pubblica dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), il cui monopolio spettò lungamente a dirigenti legati alla politica. La stessa ENI, inoltre, con l’importante figura del suo fondatore Enrico Mattei, fu legata al finanziamento ai partiti ed arrivò a controllare anche la testata giornalistica “Il Giorno”.

Quali furono i fattori di crescita durante il boom economico?

Come in molti contesti economici, anche nella penisola, la base per un aumento dei profitti delle aziende era il basso costo della manodopera, legata indissolubilmente ad una crescita della domanda interna sia di prodotti che di lavoro. Aumentarono, tra il 1958 ed il 1963, le immissioni di capitale in molte aziende, con forti investimenti per l’acquisto di macchinari che contribuirono ad una produzione sempre più efficiente (+ 14 % nel settore metalmeccanico e chimico).

Non sempre ciò fu accompagnato da un miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche, anche se gli operai della FIAT potevano dirsi avvantaggiati dal punto di vista salariale e quelli della OLIVETTI, produttrice di macchine da scrivere e calcolatori, per volere del patron Adriano, vivevano in condizioni di rispetto dei diritti del lavoratore (mirabile è il caso dello stabilimento di Pozzuoli). Nel 1961, nel pieno del boom economico, le percentuali degli occupati erano:

  • 38 % nell’industria, soprattutto tessile, metalmeccanica, chimica;
  • 32 % nel settore terziario, quindi nei servizi di vario genere;
  • 30 % nell’agricoltura, con percentuali ancora molto alte nel sud.

Il piano Vanoni

Nel 1954 il Ministro delle Finanze Ezio Vanoni promosse, dopo la legge tributaria di tre anni prima, un pacchetto di riforme, noto come Piano Vanoni, per livellare lo sviluppo del nord e del sud del Paese. Ma, complice la sua morte, esso non fu mai portato a termine ed anzi il divario aumentò sensibilmente.

Cominciava a cambiare lo stile di vita delle persone e anche la cultura subiva devastanti mutamenti. Inoltre gli investimenti statali per l’industria, non lo era per settori come sanità, istruzione e trasporti, creando, sul lungo periodo, un danno enorme, anche per il perpetuarsi dello sviluppo capitalistico, come nota nei suoi studi lo storico Emanuele Felice.

Quali erano le condizioni dei lavoratori durante il boom economico?

L’emigrazione è il fattore sicuramente più noto ed evidente del periodo del cosiddetto boom economico. I dati per il periodo 1955-1971 ci dicono che dal sud partirono 140.000 persone, quasi del tutto uomini, dirette verso il nord Italia o verso Paesi esteri come la Germania ed il Belgio. I luoghi più gettonati erano sicuramente le realtà urbanizzate del triangolo industriale MILANO-TORINO-GENOVA, città in cui era alquanto facile trovare un’occupazione in fabbrica.

Negli anni ’60 le migliori condizioni di vita e prospettive di guadagno erano sicuramente un’attrattiva per chi abbandonava fisicamente la propria famiglia per cercare fortuna al Nord. Ma nelle fabbriche del triangolo il lavoro era comunque duro. Alcuni minimi comuni denominatori erano:

  • giornate lavorative oscillanti tra le 10 e le 12 ore per 6 giorni settimanali;
  • salari bassi, che crescevano poco rispetto ai profitti dei padroni;
  • contratti quasi mai stabili, con una durata oscillante fra i 3 ed i 6 mesi.

Numerose erano le difficoltà abitative. Chi aveva la fortuna di avere parenti già residenti andava a vivere da loro, diversamente ci si arrangiava come si poteva, trascurando qualsiasi norma di sicurezza: era il caso delle coree, strutture abusive costruite su terreni acquistati in modo non trasparente.

Gli investimenti al Sud

Ma il Sud? Da un’idea dell’economista Pasquale Saraceno, nacque la CASMEZ (Cassa per il Mezzogiorno), la quale aveva il ruolo di finanziatore pubblico dell’industrializzazione meridionale. Nella sua quarantennale storia avrebbe esborsato miliardi di lire ma, senza una precisa pianificazione, le fabbriche costruite in città come Salerno, Bagnoli, Taranto, Gela rischiavano di essere cattedrali nel deserto.

Si trattava, cioè, di poli industriali, anche avanzati, che però non riuscivano a creare una rete di sviluppo dell’economia del territorio. Ne derivò che le carenze sociali (sanità, trasporti, istruzione) erano ancora più esasperate nel meridione che nel settentrione, divaricando la forbice tra il Nord ed il Sud Italia.

Boom economico
La FIAT festeggia 1 milione di auto prodotte

Come mutò la cultura di massa durante il boom economico?

Eloquente, in questo discorso, è il film del 1961 “Il posto” di Ermanno Olmi: narra dell’esperienza lavorativa a Milano di Domenico, originario di Meda, in provincia di Monza. Il tema è il paradigma della ricerca del posto fisso, tipico del periodo del boom economico ed ancora oggi molto influente in una certa cultura italiana.

Nei primi anni ’60 vi fu un aumento notevole del numero degli occupati nel settore terziario. Emanuele Felice parla di Italia tripartita,con un Nord molto sviluppato, un Centro mediamente avanzato, con industrie ed una media proprietà terriera nata dalla fine del fenomeno della mezzadria, un Sud con picchi di sviluppo nel terziario ed una piccola crescita del settore agricolo, ma con un’industrializzazione pessima e poco pianificata.

Consumismo e televisione

Ne derivarono diverse percezioni di quello che già allora veniva definito boom economico. Gli italiani erano spinti al consumo sempre più sfrenato, dando vita ad un fenomeno che ancora oggi si perpetua.

Evitando stereotipi di sorta, i nuovi bisogni erano legati all’acquisto di elettrodomestici, vestiario, accessori, secondo un modello conformista che tendeva ad appiattire le personalità e a spingere all’omologazione generale, come l’immagine classica delle donne casalinghe. Fulcro della diffusione di tale modello era la televisione, attraverso la pubblicità sui canali RAI.           

La critica intellettuale

Era questo il senso della critica che, nel 1975, Pier Paolo Pasolini mosse alla società italiana attraverso le sue “Lettere luterane”:

… ciò che ho detto a proposito della scuola d’obbligo va moltiplicato all’infinito, dato che non si tratta di un insegnamento, ma di un esempio: i modelli cioè, attraverso la televisione, non vengono parlati ma rappresentati. E se i modelli sono quelli, come si può pretendere che la gioventù più esposta e indifesa non sia criminaloide o criminale?”

Boom economico
Il figlio di Corrado Mantoni guarda il padre in tv

Conflittualità sociale e scioperi durante il boom economico

Diverse tendenze portarono al malcontento di parte della popolazione. La componente cattolica era sempre minore, quindi i democristiani dovevano meglio controllare il loro elettorato, mentre i comunisti rappresentavano circa il 1/4 degli elettori. L’edilizia popolare promossa dall’IRI e dalla GESCAL, fondo operaio per la costruzione, non sempre rispettava gli standard di sicurezza, provocando crolli e morti, specialmente al sud.

I “Quaderni del carcere”

Gli operai meridionali delle aziende del nord erano sempre più emarginati, data la crescente pretesa sindacale di maggiori diritti a cui anche loro aspiravano (come la richiesta delle 40 ore settimanali).

La lettura e diffusione dei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci diede forte impulso alla componente socialista e comunista dei sindacati come CGIL, FIOM E FIM, che indissero numerosi scioperi come quelli Torino tra giugno e luglio 1962.

Cosa fece la politica negli anni ’60?

Il ruolo della DC durante il boom economico fu cruciale. Nel 1959 Amintore Fanfani, erede della linea di De Gasperi, era premier e segretario del partito e promuoveva un’alleanza col PSI di Pietro Nenni in funzione anticomunista.

Il partito era diviso tra una destra, formata da Giulio Andreotti e Mario Scelba, una sinistra guidata da Aldo Moro ed infine dai cosiddetti dorotei: Mariano Rumor, Carlo Russo, Emilio Colombo, Paolo Emilio Taviani. Nello stesso ’59 Aldo Moro fu eletto nuovo segretario.

Nel 1960 il breve governo di Fernando Tambroni si alleò con il Movimento Sociale Italiano, partito neofascista, scatenando le ire della componente di sinistra del Paese, da cui derivarono gli scontri di Genova durante il congresso del MSI, i quali provocarono la caduta del governo.

La svolta

Due fattori permisero la formazione di governi di centro-sinistra: l’elezione di J.F. Kennedy in USA e quella di papa Giovanni XXIII (Roncalli). Nel primo caso gli americani permisero un’apertura ai socialisti, comprendendo il loro ruolo di argine al comunismo di ispirazione sovietica. Nel secondo il pontefice attuò una politica di estraniamento della Chiesa dalla vita politica italiana, ufficializzata nel Concilio Vaticano II.

La linea di Moro fu approvata anche da Andreotti, mentre Pietro Nenni si impegnava a convincere i suoi ad appoggiare le politiche della NATO. Si proposero tre correnti:

  • capitalistica, con La Malfa, Fanfani, Saraceno;
  • riformismo strutturale di PSI e PCI
  • moderatismo, la corrente che infine prevalse.

Prove di governo

Un primo governo Fanfani, con Antonio Segni capo dello Stato, dopo una serie di riforme, fallì, facendo posto al provvisorio di Giovanni Leone. Seguì una frattura interna al PSI, risanata poi da Nenni, ma solo dopo la fondazione del PSIUP di Lelio Basso. Ciò non permise una compattezza nella linea socialista riformista nel primo governo a guida Aldo Moro.

Il centro sinistra

Il Piano Solo

Il 1964 fu un anno cruciale. I servizi segreti italiani (SIFAR) e la CIA collaborarono nel cosiddetto Piano Demagnetize: esso consisteva in un indebolimento più o meno diretto delle forze socialiste nei Paesi europei, in funzione chiaramente anti-sovietica.

In Italia si rischiò il colpo di Stato quando, nel mezzo della crisi del primo esecutivo di Moro, il presidente della Repubblica Antonio Segni, democristiano, progettò con il generale dei Carabinieri (ed ex SIFAR) Giovanni de Lorenzo il rovesciamento dell’ordine vigente per evitare l’ulteriore rafforzamento dei socialisti ed, eventualmente, dei comunisti.

Il PIANO SOLO, così chiamato perché contemplava il solo intervento dell’Arma dei Carabinieri, stava per attuarsi il 2/6/1964, durante i festeggiamenti a Roma, ma fu bloccato. In seguito Segni fu colpito da ictus ed il piano accantonato, per poi essere scoperto nel 1967. Ad esso aveva collaborato anche Licio Gelli, esponente di spicco della loggia massonica P2.

Il clientelismo

Seguirono altri due governi Moro tra 1966 e 1968. Questo periodo fu caratterizzato da un forte immobilismo, per cui le riforme previste da Nenni non vennero mai attuate, complice la volontaria passività del segretario DC, sempre alla ricerca di soluzioni alternative.

L’industria pubblica, terminato il periodo d’oro delle costruzioni, andò quasi subito in perdita: si vennero a creare, di contro, poteri magnatizi non indifferenti, come quelli di Eugenio Cefis, prima capo dell’Eni, poi della Montedison, azionista di maggioranza delle testate giornalistiche e finanziatore di partiti.

Nel Mezzogiorno la situazione economica peggiorò anche a causa del forte clientelismo di esponenti democristiani come Ciriaco De Mita, attraverso una indiscriminata speculazione edilizia su demanio pubblico ed una urbanizzazione mal organizzata. Una discussione a parte meriterebbe il discorso sulla solidarietà delle classi politiche regionali con la Mafia siciliana e le altre forme di criminalità organizzata.

Com’era l’Italia alla vigilia del 1968?

Il boom economico fu un fenomeno di lungo periodo che ebbe propaggini anche negli anni ’70. C’è da ribadire che se dal punto di vista economico l’Italia aveva bruciato le tappe e, anche attraverso la CECA e poi la CEE, si era avvicinata alle altre potenze europee, non si può avere un organico e positivo giudizio della sua classe politica.

Inoltre, se i salari erano cresciuti dal dopoguerra in poi, il declino cominciò proprio all’alba delle rivolte sociali del ‘68 e con l’inizio degli anni ’70. Dopo la morte di Palmiro Togliatti nel 1964, il PCI si era riorganizzato attorno alla linea di destra di Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano, mentre la corrente filosovietica era guidata da Pietro Ingrao.

Il polo “amendoliano” fu il contesto in cui si formò la figura di Enrico Berlinguer, futuro leader comunista e grande interlocutore politico nel decennio degli anni di piombo.

Giuseppe Barone

BIBLIOGRAFIA:

  • Ginsborg P., Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, 2006
  • Pasolini P.P., Lettere Luterane, Garzanti, 2015
  • Felice E., Il Sud, l’Italia, l’Europa. Diario civile, Il Mulino, 2019