Il buono, il brutto, il cattivo: analisi del film di Sergio Leone

Il western all’italiana, passato alla storia con l’epiteto di spaghetti western, riscuote notevole successo a cavallo del ventennio dorato ’60-’70. Indiscusso maestro ne è Sergio Leone, regista di pellicole che hanno fatto la storia del genere. Il buono, il brutto, il cattivo debutta nelle sale cinematografiche nel 1966. La pellicola è il capitolo finale della cosiddetta trilogia del dollaro, inaugurata nel 1964 con Un dollaro in più e proseguita l’anno successivo con Per un pugno di dollari.

Il trio di attori protagonisti è costituito da Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef, ai quali si aggiungono gli italiani Aldo Giuffré e Mario Brega. I dialoghi tra i personaggi sono limitati al minimo, pochi ma buoni, in tipico stile western. A curare la fotografia l’innovatore Tonino Delli Colli. Epiche e trascinanti come sempre le musiche ad opera di Ennio Morricone. Il film ha durata vicina alle tre ore con scenegirate tra Italia, Spagna e Germania Ovest. Il buono, il brutto, il cattivo risulta ad oggi essere il film western col maggior incasso mai registrato.

Tre abili pistoleri e un tesoro in un paese flagellato dalla guerra

Il buono, il brutto, il cattivo

Il buono, il brutto, il cattivo è ambientato nel 1862 in piena guerra di secessione americana. In tale contesto storico si intrecciano le vicende di tre astuti quanto letali pistoleri: il buono (Clint Eastwood detto “Biondo“), il brutto (Eli Wallach che risponde al nome di Tuco Ramirez), il cattivo (Lee Van Cleef soprannominato “Sentenza“). Ciascuno di essi è alla ricerca di una cassa che nasconde duecentomila dollari seppellita in un cimitero abbandonato.

Il Biondo è un cacciatore di taglie in combutta col fuorilegge Tuco Ramirez. I due entrano inizialmente in conflitto per poi ritrovarsi a fare squadra al solo scopo di scovare il tesoro. A questi si aggiunge Sentenza, sicario senza scrupoli che si serve delle fonti raccolte per mettersi anch’egli a caccia dello scrigno. I protagonisti incrociano anche gli eserciti impegnati ad affrontarsi nella guerra civile, giungendo addirittura ad arruolarsi pur di poter proseguire la loro caccia al tesoro.

Arrivati al piazzale centrale del cimitero si viene a creare una situazione di stallo alla messicana. Il Biondo colpisce a morte Sentenza. Tuco è disarmato poiché il socio d’affari ha in precedenza provveduto a levare i proiettili dalla sua arma. Biondo obbliga il bandito ispanico ad afferrare la pala e scavare nel terreno prima di legarsi una corda attorno al collo. Trovato il tesoro, l’uomo armato rimonta a cavallo fuggendo con la sua metà di bottino. Tuco strepita disperato implorando pietà, poco dopo Biondo spara un colpo di pistola spezzando la fune che teneva il collo del socio al ramo dell’albero. Il brutto rimane così in vita con la propria parte di ricompensa.

Il Buono, il brutto, il cattivo e la demitizzazione della guerra civile americana

Il buono, il brutto, il cattivo

In Il buono, il brutto, il cattivo Sergio Leone demitizza l’alone di eroismo costruito attorno alla guerra civile americana. Il regista è consapevole del fatto che la storia viene scritta e narrata dai vincitori, eppure non indugia a discostarsene per poter mostrare allo spettatore una realtà assai più cruda.

I soldati di entrambe le fazioni combattono senza mostrare alcun attaccamento alla causa e soggiornano in enormi accampamenti disastrati. Bevono, frequentano meretrici, sono essi stessi vittime e carnefici di un atroce conflitto tra fratelli che nessuno sembra realmente comprendere né volere. Tra gli obiettivi del regista romano, a sua detta, vi era non a caso evidenziare come la guerra enfatizzi al massimo l’imbecillità umana.

I tre protagonisti sono tutti a loro modo buoni, brutti e cattivi. Il Biondo, di professione cacciatore di taglie, tanto buono di fatto non è, in quanto si allea con un fuorilegge truffando gli sceriffi locali per riscuotere la taglia del catturato e liberarlo solo in punto di impiccagione. Sentenza è un cattivo a tutti gli effetti, ma uccide solo a fini di lucro, non per mero diletto personale. Il brutto, ovvero Tuco Ramirez, nonostante le evidenti incongruenze caratteriali e la spiccata propensione criminale, risulta essere il più umano del trio. Un farabutto incallito capace però di compiere gesti altruistici, sempre fedele alla parola data, l’unico del quale se ne conoscano nome e passato. Il suo modo di fare poco impostato ed alle volte goffo ne fa a tratti un personaggio caricaturale che ben figurerebbe anche nel parodistico fagioli-western.

Tuco fa breccia sin dalle prime battute nel cuore dello spettatore. Le varie sfaccettature caratteriali lo rendono il personaggio più carismatico del racconto. Ciò è in buona parte da attribuire alle straordinarie doti comico-recitative e comunicative di Ely Wallach. Il brutto è di fatto l’unico a mostrare la propria fragilità emotiva, mettendo in risalto il lato umano celato sotto la maschera del bounty killer. Egli è conscio di essere un farabutto peccatore, ma crede ugualmente al rispetto di valori quali coerenza e amicizia.

Nel film Sergio Leone evidenzia la versatilità comportamentale di ogni uomo a seconda delle situazioni che ci si ritrovi a dovere affrontare. Prendendo spunto da Primo Levi, il quale affermava ogni uomo essere un’isola per via della molteplicità insita nell’animo umano, analogamente nessuno potrà definirsi totalmente buono, brutto, o cattivo. È il contesto sociale circostante a determinare carattere e stile di vita di ciascuno.

Davide Gallo