Mameli: storia e criticità dell’inno nazionale

La nostra serie di articoli sugli inni nazionali si chiude con quello che ci riguarda più da vicino: ci riferiamo al “Canto degli italiani”. Popolarmente noto come inno di Mameli, dal nome del suo autore, esso è uno dei simboli più noti del nostro Paese. Il suo incipit, “Fratelli d’Italia”, è facilmente riconoscibile anche per gli stranieri. Eppure, nonostante il suo successo, anche il “Canto degli italiani”, come moltissimi altri inni nazionali, non è esente da critiche. Alcune sono relative alle sue origini e alla sua paternità (discussa, come vedremo), altre alla sua adeguatezza, altre ancora alla sua bellezza. Tralasciando questi ultimi aspetti, che possono essere valutati soltanto su base soggettiva, ci soffermeremo sulla storia del “Canto degli italiani” e le sue criticità.

Goffredo Mameli

Se per comprendere un’opera qualunque è importante conoscerne in primis l’autore, ciò è tanto più vero per l’inno nazionale italiano. Esso, infatti, caso molto raro (se non addirittura unico), è più noto con il nome di chi lo ha composto che con il suo titolo esatto. “Inno di Mameli”, infatti, è sicuramente un riferimento più immediato, per il grosso pubblico, di “Canto degli italiani”. Ma chi è questo Mameli?

Mameli
Goffredo Mameli (1827-1849)

Goffredo Mameli dei Mannelli, questo il suo nome completo, nasce nel 1827 a Genova, allora parte del Regno di Sardegna, e muore ventidue anni dopo difendendo la Repubblica Romana contro le truppe francesi. In questa breve vita, fa in tempo a scrivere, nel 1847, una poesia che intitola, per l’appunto, “Canto degli italiani”. Nel farlo, è ispirato dai moti liberali che imperversano in Italia quell’anno e il seguente, e che culmineranno nella seconda guerra di indipendenza. Il suo testo verrà poi messo in musica da un altro genovese, Michele Novaro, che aveva già fatto lo stesso con decine di altri canti patriottici.

Così nato, il brano riscuote subito un grande successo, diventando uno dei simboli del Risorgimento. Giuseppe Verdi, ad esempio, già nel 1862 lo sceglie per simboleggiare l’Italia nel suo “Inno delle nazioni”, legandolo a “God save the Queen” per l’Inghilterra e aLa Marseillaise” per la Francia. Dopo la nascita dell’Italia unita, tuttavia, l’inno nazionale resterà per tutto il periodo monarchico la Marcia Reale sabauda. Sarà solo dopo la fondazione della Repubblica, per la precisione il 12 ottobre 1946, che l’Assemblea Costituente adotterà il componimento di Mameli. Ciò, però, solo in modo provvisorio. L’ufficializzazione arriva, incredibilmente, solo dopo settantun anni: il 4 dicembre 2017, con la legge numero 181.

Lo stile

Proprio la legge in questione, all’articolo 1, ci dà un’informazione importante: l’inno nazionale è tutto il testo del “Canto degli Italiani”. Non, quindi, solo la prima strofa. Naturalmente, poi, di solito viene intonata solo questa per brevità. Il componimento, però, continua per altre quattro, per un totale di cinquantacinque versi. Il loro contenuto è, da sempre, uno dei più feroci motivi di polemica. Comuni sono, infatti, le gogne mediatiche cui vengono sottoposti personaggi pubblici accusati di non cantarlo per ignoranza. Questa, però, è un problema più diffuso di quanto sembri. Basti pensare che addirittura, per combatterla, c’è una legge dello Stato del 2012 che impone di insegnarlo nelle scuole. Perché sembra così difficile ricordare il testo di Mameli o comprenderne il significato?

Un buon motivo è sicuramente il suo stile particolarmente ricercato. Anche per un’opera del 1847, infatti, il “Canto degli italiani” abbonda di espressioni non proprio di immediata comprensione. I problemi cominciano già dalla prima strofa, quella che ci è più familiare:

Fratelli d’Italia/ l’Italia s’è desta [svegliata]/ dell’elmo di Scipio [Scipione l’Africano]/ s’è cinta la testa./ Dov’è la Vittoria?/ Le porga la chioma/ ché [perché] schiava di Roma/ Iddio la [la Vittoria] creò/.

Tutte le strofe terminano, poi, col coro “Stringiamoci a coorte/ siam pronti alla morte/ l’Italia chiamò/!”.

Come si vede, i versi sono pieni di termini arcaici. E anche quando questi vengono tradotti, restano i riferimenti non proprio immediati alla storia romana. Il primo è Scipione l’Africano, celebre condottiero: quindi, l’Italia ha indossato l’elmo del vincitore. Il secondo richiama l’usanza di tagliare i capelli alle schiave. Da qui, il senso di “le porga la chioma”: la Vittoria è, attraverso Roma, schiava dell’Italia. Il terzo è la coorte, un’unità dell’esercito.

Mameli e il nazionalismo

Questo registro così aulico rende adatto il “Canto degli italiani” a fungere da inno nazionale? Per molti, no. Addirittura, ci dicono alcune fonti, il suo primo detrattore sarebbe stato Giuseppe Mazzini, che lo considerava troppo retorico. Alle polemiche sulla ricercatezza del testo si sono sempre accompagnate, specialmente oggi, quelle sulla sua impronta nazionalista. Anche Mameli, come altri autori di inni nazionali, non ci va leggero con quelli che ritiene Paesi oppressori. Leggiamo l’ultima stanza:

Son giunchi che piegano/ le spade vendute/. Già l’aquila d’Austria/ le penne ha perdute/ il sangue d’Italia/ il sangue polacco/ bevé [bevve] col cosacco/ ma il cor [cuore] le bruciò/!

Le “spade vendute” che (si) “piegano” come giunchi sono i mercenari stranieri ormai a un passo dalla sconfitta. Il “cosacco” è l’Impero Russo, oppressore della Polonia come l’Austria lo era dell’Italia.

La strofa più “nazionalista”, però, è sicuramente la precedente:

Dall’Alpi a Sicilia/ dovunque è Legnano/. Ogn’uom di Ferruccio/ ha il core, la mano/. I bimbi d’Italia/ si chiaman Balilla/ il suon d’ogni squilla [tromba]/ i Vespri suonò/.

Tra gli elementi irrinunciabili di qualunque identità nazionale vi è la costruzione di una storia comune. Determinati eventi e personaggi del passato vengono scelti e mitizzati, per creare una narrazione in cui tutti possano riconoscersi. Ciò è esattamente quello che fa Mameli qui con i suoi riferimenti. Il primo è la battaglia di Legnano: nel 1176, i comuni della Lega Lombarda sconfissero le truppe imperiali. Il secondo è Francesco Ferruccio, condottiero che nel 1530 difese l’indipendenza della Repubblica Fiorentina. Il terzo è Balilla, un undicenne che nel 1746 avrebbe scagliato una pietra contro i soldati austriaci che occupavano la sua Genova. Infine, i Vespri Siciliani sono la rivolta antiangioina dilagata nell’isola nel 1282. Quindi, il testo di Mameli è davvero inadeguato a causa del suo contenuto nazionalista?

Mameli o Canata?

Al rapporto tra inni nazionali e nazionalismo già dedicammo un articolo. In breve, la risposta alla nostra domanda può essere trovata solo nella nostra sensibilità. “Siam pronti alla morte” può essere per alcuni banale patriottismo, per altri un messaggio pericoloso. E tra questi è anche compreso un parlamentare della Repubblica, Gianluigi Gigli. Questi, nel 2017, durante l’iter di approvazione della legge di ufficializzazione, definì l’inno “patriottardo e militarista”. Quale la sua proposta per sostituirlo? “‘O sole mio”. Il capolavoro napoletano, in effetti, è solitamente uno dei candidati più gettonati da chi vorrebbe destituire Mameli. Gli altri sono, in genere, il “Va’ pensiero” di Verdi o “La canzone del Piave” di E.A. Mario. Quest’ultima, del resto, già funse da inno d’Italia tra il 1943 e, appunto, il 1946.

Mameli
Testo de “La Canzone (o Leggenda) del Piave”

Perché, quindi, venne poi abbandonato? Sul tema esiste una leggenda, naturalmente inverificabile, ma confermata da più fonti. De Gasperi non avrebbe riconfermato “La canzone del Piave” perché E.A. Mario rifiutò di comporgli il nuovo inno della DC. È ovvio che una storia simile, per quanto aneddotica, contribuisce a gettare ulteriore discredito su Mameli. Il quale, del resto, stando ad alcune ricostruzioni storiche recenti, potrebbe perfino meritarlo. Molti, infatti, sostengono che avrebbe “rubato” il testo a un suo insegnante, un padre scolopio di nome Atanasio Canata.

Perché costui non denunciò l’appropriazione indebita? Perché, altra questione controversa, il testo sarebbe imbevuto di ideali massonici, sconvenienti per un sacerdote. “Fratelli d’Italia”, infatti, sarebbero solo gli appartenenti all’associazione in questione.

Del resto, a prescindere dalla paternità, molti fanno notare la singolarità di un brano musicale noto attraverso il nome dell’autore del testo, più che di quello della melodia. Come se parlassimo de “L’Aida” di Ghislanzoni. Per inciso, anche la musica di Novaro è spesso contestata e ritenuta troppo poco solenne.

Epilogo

In conclusione, nell’analisi del “Canto degli italiani” ritroviamo il legame controverso tra testi imbevuti di nazionalismo e la cultura civica odierna. Rileviamo, però, anche l’importanza di un componimento che, per quanto convenzionale, simboleggia un’intera comunità immaginata quale è la nazione, dandole concretezza. E proprio su quest’ultimo punto Mameli (o chi per lui) batte moltissimo. La seconda strofa recita infatti:

Noi siamo da secoli/ calpesti [calpestati], derisi, / perché non siam popolo,/ perché siam divisi./ Raccolgaci [ci raccolga] un’unica/ bandiera, una speme [speranza]:/ di fonderci insieme/ già l’ora suonò!

Mentre la terza:

Uniamoci, amiamoci, / l’Unione, e l’amore/ rivelano ai Popoli/ le vie del Signore;/ giuriamo [di] far libero/ il suolo natìo [nativo]:/ uniti per Dio/ chi vincer ci può?

Francesco Robustelli

Sitografia

https://www.quirinale.it/page/inno
https://www.italianopera.org/GuidaAllAscolto/VerdiInnoDelleNazioni.html
https://www.ilroma.net/news/attualit%C3%A0/inno-di-mameli-%E2%80%9Co-sole-mio-polemica-alla-camera
cp

L’immagine di copertina è ripresa da
https://www.youtube.com/watch?v=k2DUnU5zDS0

Bibliografia

Ponticello Maurizio, Forse non tutti sanno che a Napoli…, Newton Compton Editori, 2019.