L’ippogrifo tra l’Orlando Furioso di Ariosto e Harry Potter

L’ippogrifo è una creatura fantastica per metà cavallo e per metà grifone. A differenza di altre creature leggendarie che popolano la letteratura, però, l’ippogrifo non trova la sua origine nella mitologia antica, ma è invenzione più recente. Infatti, è stato creato solo nel XVI secolo dalla penna di Ludovico Ariosto, e proprio nell’Orlando Furioso fa la sua prima comparsa. Dopo Ariosto questa creatura non ha avuto una grande fortuna letteraria ed è sempre rimasta legata all’immaginario ariostesco, senza ottenere una vera e propria autonomia. Negli ultimi anni, tuttavia, un grande rilancio dell’ippogrifo tra il grande pubblico è stato offerto dalla sua comparsa (e riscoperta) nella serie di romanzi di Harry Potter scritti da J.K. Rowling.

Da dove è nato l’ippogrifo?

Il ricordo di Pegaso

Sappiamo che alla nascita dell’ippogrifo devono aver collaborato suggestioni diverse, presenti nella memoria letteraria dell’Ariosto. In primo luogo, ha avuto un peso importante la figura di Pegaso, il mitico cavallo alato generato dal sangue di Medusa, cavalcato, durante le loro avventure, da Perseo e Bellerofonte.

Un’immagine virgiliana

Uno spunto importante è stato poi dato da un adynaton di Virgilio presente nelle Bucoliche (Ecl. VIII, 27): “Iungentur iam grypes equis” (“si accoppieranno persino grifoni con cavalli”). La frase, indicata a paragone delle indegne nozze di Nisa con Mopso, sta ad indicare un evento impossibile da realizzarsi perché nella tradizione questi due animali erano notoriamente ostili l’un l’altro (un po’ come il nostro “cane e gatto”). Ariosto, quindi, con la sua fantasia smisurata, inventa una creatura che non solo è impossibile nella realtà, ma che sarebbe impossibile anche nell’immaginario.

Boiardo e Pulci

Sicuramente avranno influito, accanto a suggestioni minori, anche due passi dell’Orlando Innamorato di Boiardo: il primo è un ricordo giovanile di Ruggiero, il quale racconta che il mago Atlante, suo pedagogo, era solito condurlo nelle foreste più impervie, a caccia di “bestie orrende e varie”. Qui il giovane Ruggero avrebbe cacciato perfino “Grifoni e pegasei, benché abbiano l’ali” (III, V, 37, 4). L’altro, invece, ha per protagonista Gradasso, il quale si imbatte in un “gran destriero” e dopo essergli balzato in sella viene trasportato per aria (III, VII, 24-28).

Infine vi si trova un’eco anche nel Morgante di Pulci: “un gran caval co’ denti e colle penne” (XIII, 51, 6).

Com’è fatto l’ippogrifo?

Ariosto descrive l’Ippogrifo come un animale doppio. Figlio di una giumenta e di un grifone, coniuga nella sua nuova forma elementi paterni e materni: del grifone ha la testa, il becco e tutta la parte anteriore del corpo (zampe davanti comprese) piumata e fornita di ali; mentre del cavallo ha la metà posteriore (groppa, zampe di dietro e coda). Esso nasce nei monti Rifei, forse gli antichi iperborei, oggi Urali.

Non è finto il destrier, ma naturale,
ch’una giumenta generò d’un grifo:
simile al padre avea la piuma e l’ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l’altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di lá dagli aghiacciati mari.

[IV, 18]

È un animale di grandi dimensioni, “un gran destriero alato” (II, 37, 8; IV, 4, 7); in particolare le ali sono grandi, e di uno strano colore (forse multicolori): “Grandi eran l’ale e di color diverso” (IV, 5, 1).

La natura indomabile dell’animale è poi sottolineata nell’ottava successiva, dove si dice che il mago Atlante lo portò nel suo castello servendosi di un incantesimo e che faticò molto per riuscire a cavalcarlo.

Quivi per forza lo tirò d’incanto;
e poi che l’ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
ch’a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch’in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzïon d’incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.

[IV, 19]

Le varie definizioni del poema insistono sulla sua natura duplice. Tuttavia, si tratta, a rigore, di un animale triplo, in quanto il grifone è già un animale doppio (metà aquila e metà leone). Si può quindi affermare che l’ippogrifo è una creatura fantastica di secondo grado.

Ecco ciò che, a tal proposito, dice Borges nel suo Manuale di zoologia fantastica:

[…] Aquila e leone convivono nel grifo degli antichi; cavallo e grifo nell’ippogrifo ariostesco, che è un mostro fantastico di secondo grado.

L’ippogrifo nell’Orlando Furioso

Le comparse dell’ippogrifo nell’Orlando Furioso si possono sostanzialmente dividere in tre sezioni, corrispondenti ai tre personaggi che nel corso del poema se ne impossessano e lo cavalcano. Questi sono in ordine: il mago Atlante, suo legittimo proprietario, Ruggiero, il cavaliere africano giunto al seguito del re Agramante, e il paladino Astolfo.

Atlante

La prima apparizione

Intravediamo per la prima volta l’ippogrifo nel II canto del poema ariostesco. L’animale fa la sua prima apparizione, senza essere chiaramente identificato, all’interno del racconto di Pinabello, il quale, interrogato da Bradamante (che lo incontra mentre vaga in cerca del suo Ruggiero) narra che durante il suo viaggio verso l’accampamento di Carlo Magno, un cavaliere armato (il mago Atlante) in sella a “un gran destriero alato”, era piombato dall’alto rubandogli la donna amata. Pinabello lo insegue per sei giorni, finché non giunge al suo castello. Qui assiste al combattimento fra il mago in groppa all’ippogrifo e i cavalieri Gradasso e Ruggiero, che intanto erano giunti sul posto. Il duello dura fino a sera, quando Atlante, servendosi del suo scudo magico, abbatte gli avversari. Anche Pinabello, alla vista dello scudo, cade a terra tramortito e al suo risveglio non trova più nessuno, pensando che i due cavalieri siano stati fatti prigionieri dal misterioso incantatore.

La prima identificazione

L’ippogrifo ricompare nel canto IV. Bradamante, diretta verso il castello di Atlante per liberare Ruggiero, si era fermata in un albergo. Qui, dopo aver udito un pauroso rumore esce fuori e, insieme alla folla affacciata agli usci e alle finestre, vede passare Atlante in sella all’ippogrifo:

[…]
vede passar un gran destriero alato,
che porta in aria un cavaliero armato.
 
Grandi eran l’ale e di color diverso,
e vi sedea nel mezzo un cavalliero,
di ferro armato luminoso e terso;
[IV, 4-5]

L’oste racconta che quell’uomo è un negromante che più volte passava da quelle parti portando via le donne più belle. Qui per la prima volta si fa una descrizione accurata dell’ippogrifo e lo si chiama per nome.

Rivediamo poi per l’ultima volta Atlante in sella all’ippogrifo durante il combattimento del mago contro Bradamante, la quale riesce a sconfiggerlo. Ella, dopo aver liberato Ruggero, ritorna con quest’ultimo dall’ippogrifo, che, però, per la sua natura indomabile, non si lascia prendere, finché Ruggiero non riesce a montargli in sella, e viene portato via in volo.

Ruggiero

Verso l’isola di Alcina

A questo punto inizia la seconda sezione, in cui troviamo l’ippogrifo governato da Ruggiero, che, lasciandosi trasportare dal destriero, giunge sull’isola di Alcina, un’isola amena nell’oceano oltre le colonne d’Ercole. Una volta atterrato, Ruggiero lega l’ippogrifo a un mirto che si lamenta dello strazio procuratogli dall’animale. Perciò il cavaliere decide di liberarlo e chiede all’albero di raccontargli la sua storia. Il mirto dice di essere Astolfo, paladino di Francia e cugino di Orlando e Rinaldo, tramutato in mirto dalla maga Alcina.

Ruggiero, caduto anch’egli, poi, nelle grinfie di Alcina, riesce a liberarsi e a raggiungere il regno di Logistilla, alla quale la maga Melissa chiede di aiutare Ruggiero e Astolfo a ritornare in Francia. La maga suggerisce a Ruggiero di dirigersi verso i paesi aquitani in groppa all’ippogrifo, ma prima fa adattare un morso all’indomito animale ed insegna al guerriero come guidarlo a suo piacimento.

La liberazione di Angelica

Ruggiero in sella all’ippogrifo giunge sull’isola di Ebuda per liberare Angelica che era stata legata ad uno scoglio dai corsari ed esposta all’orca. Giunti in Bretagna, Angelica, in possesso dell’anello magico scompare alla vista di Ruggiero, mentre egli la cerca invano tutt’intorno. Dopo essere tornato nel luogo dove aveva lasciato l’ippogrifo, si accorge che questi, liberatosi dal morso che gli aveva posto Logistilla, era volato via.

Astolfo

Da questo momento in poi l’ippogrifo scompare per un po’, per ricomparire nel canto XXII, in cui Astolfo distrugge il palazzo di Atlante e trova l’ippogrifo legato a una catena d’oro. L’animale, infatti, dopo essere sfuggito a Ruggiero, era tornato spontaneamente dal mago. Astolfo gli mette una sella e gli costruisce un morso a lui adatto. Nel canto seguente il paladino viene raggiunto dalla cugina Bradamante, alla quale consegna il cavallo Rabicano, la lancia d’oro di Argalia e le altre sue armi, per poi innalzarsi in volo e scomparire in lontananza.

Astolfo sulla Luna

Ritroviamo Astolfo più avanti, nel canto XXXIII, dove, in sella all’ippogrifo giunge in Nubia per liberare il re Senàpo dalle arpie. Nel canto successivo, invece, Astolfo raggiunge, a cavallo dell’ippogrifo, il paradiso terrestre, dove incontra San Giovanni evangelista, il quale conduce il paladino sulla Luna a bordo del carro di Elia trainato da quattro cavalli fiammeggianti. Qui Astolfo recupererà l’ampolla contenente il senno di Orlando, ma prima di lasciare il paradiso terrestre riceve dall’Evangelista un’erba prodigiosa per restituire la vista al re Senàpo e, montato sull’ippogrifo, vola di nuovo verso la Nubia.

La liberazione dell’ippogrifo

Dopo aver risanato la vista a Senàpo, e aver prelevato con un otre il vento dalla caverna che lo produce, si congeda dai Nubi e, presi alcuni provvedimenti per le terre africane da lui conquistate, sale sull’ippogrifo e si dirige verso la Francia atterrando in Provenza. Qui, secondo le prescrizioni dell’Evangelista, lascia per sempre in libertà l’ippogrifo.

Le ali dell’ippogrifo di Massimo Bontempelli

Una scarsa fortuna letteraria

Stranamente l’ippogrifo, dopo l’Orlando furioso, non ha avuto una grandissima fortuna nella letteratura e le sue apparizioni resteranno sempre legate al poema di Ariosto (ne riparlerà Calvino nel suo Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino o il già citato Borges che gli dedicherà una voce nel suo Manuale di zoologia fantastica). Altre apparizioni non se ne trovano, e se esistono stanno ai margini della grande letteratura (compare ad esempio nelle Leggende di Carlomagno di Thomas Bulfinch, 1863, nelle opere di Edith Nesbit, ne Il serpente Ouroboros di E.R. Eddison, 1922, e più recentemente nella saga fantasy per ragazzi Le sfide di Apollo dello scrittore americano Rick Riordan, 2016).

L’ippogrifo di Bontempelli

Tuttavia, lo scrittore italiano Massimo Bontempelli nella sua raccolta dal titolo Giro del sole (1941) se ne ricorderà, scrivendo un racconto dal titolo Le ali dell’ippogrifo.

Lo spunto per questo racconto viene dato, ancora una volta, da reminiscenze ariostesche (e infatti è sempre Ruggero che cavalca il destriero), ma la storia narrata si sviluppa in modo del tutto originale. Qui Ruggero si lascia trasportare dall’ippogrifo (perché “non gli avevano ancora dato le briglie”) attraversando l’Oceano Pacifico e volando dai Pirenei fino a un’isola fantastica e misteriosa piena di statue colossali, i cui abitanti svolgono il culto del sole. Tra di loro vi è la giovane Argentina, che si distacca dal gruppo per restare insieme a Ruggero, il quale, alla fine, la abbandona. Anche qui viene più volte messo in rilievo il carattere libero e indomabile dell’animale.

L’ippogrifo in Harry Potter

In tempi recenti l’ippogrifo riesce a ottenere una certa autonomia. La creatura, infatti, compare, libera dal giogo ariostesco, nella fortunatissima saga fantasy di Harry Potter. In particolare lo troviamo per la prima volta nel terzo volume della saga, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Hagrid è diventato il nuovo insegnante di “cura delle creature magiche” a Hogwarts e, durante la sua prima lezione, presenta ai suoi studenti queste strane creature:

Avevano i corpi, le zampe posteriori e le code da cavallo, le zampe anteriori, le ali e la testa di aquile giganti, becchi feroci color dell’acciaio e grandi occhi di un arancione squillante. Gli artigli sulle zampe davanti erano lunghi più di quindici centimetri e avevano l’aria letale.

Nella descrizione che se ne fa, la triplice natura dell’animale sembra essere semplificata. Non abbiamo più una creatura metà cavallo e metà grifone, ma la parte anteriore è semplicemente quella di un’aquila gigante. Vengono aggiunti dei dettagli come gli occhi arancioni e i lunghi artigli.

Fierobecco

Tra gli ippogrifi, Hagrid sceglie di presentare Fierobecco (Buckbeak) e usare Harry come “cavia”. Egli spiega che gli ippogrifi sono molto orgogliosi e facili da offendere, bisogna sempre lasciar fare loro la prima mossa. Dopo aver stabilito con Fierobecco il contatto visivo e aver ricevuto l’inchino di approvazione, Harry viene spinto da Hagrid ad accarezzargli il becco e a montare, un po’ forzatamente, in groppa alla bestia che si innalza in volo con il giovane mago.

Al loro atterraggio una spacconeria di Draco Malfoy induce l’ippogrifo ad attaccarlo, procurandogli una ferita. Questa sarà la causa che porterà alla condanna a morte dell’animale, che effettivamente avverrà. Grazie ad una “giratempo”, tuttavia, Harry ed Hermione riescono a tornare indietro nel tempo e a liberare Fierobecco, che, alla fine, verrà usato dal padrino di Harry, Sirius Black, per fuggire da Hogwarts.

Da questo momento in poi l’ippogrifo vivrà insieme al suo nuovo padrone. Alla morte di Sirius (nel quinto libro della saga) Fierobecco diviene parte dell’eredità destinata ad Harry, il quale però, su suggerimento di Silente, lo riaffida alle mani più esperte di Hagrid, che, per tutelare l’ippogrifo, lo ribattezza con il nome di Alisecco (Witherwings).

Gli animali fantastici: dove trovarli

Da questo momento in poi ritroviamo l’ippogrifo in molta della paraletteratura dedicata al mondo di Harry Potter e delle creature magiche. Una voce gli viene dedicata nel manualetto, scritto dalla stessa J.K. Rowling, Gli animali fantastici: dove trovarli, che ripropone una breve descrizione dell’animale (anche qui descritto come unione di aquila e cavallo) aggiungendo alcune informazioni nuove:

L’ippogrifo è ghiotto di insetti ma si nutre anche di uccelli e piccoli mammiferi. All’epoca della riproduzione costruisce il nido sul suolo e vi depone un solo grosso uovo fragile, che si schiude da lì a ventiquattr’ore. L’Ippogrifo implume è in grado di spiccare il volo entro una settimana, anche se ci vorranno mesi prima che possa accompagnare i genitori nei viaggi più impegnativi.

Per il suo status di animale “giovane” e troppo poco diffuso, l’ippogrifo è una creatura ancora tutta da scoprire e da valorizzare, ricca di un potenziale che, se ben sfruttato (come nell’intelligente uso che ne ha fatto la Rowling), potrà portare nuova linfa alla futura produzione letteraria.

Rosario Carbone

Bibliografia:

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, a cura di Lanfranco Caretti, Torino, Einaudi, 2015.

Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato, a cura di Andrea Canova, Milano, BUR, 2011.

Massimo Bontempelli, Opere scelte, Milano, Mondadori, «I Meridiani», 1997.

Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero, Manuale di zoologia fantastica, traduzione di Franco Lucentini, Torino, Einaudi, 1962.

Silvia Longhi, Il cavallo dell’Ariosto, in Fra satire e rime ariostesche. Atti del Convegno di Gargnano del Garda [14-16 ottobre 1999], a cura di Claudia Berra, Milano, Cisalpino, 2000, pp. 515-528.

Luigi Pulci, Morgante e opere minori, a cura di Aulo Greco, Torino, UTET, 2006.

Pio Rajna, Le fonti dell’Orlando Furioso. Ristampa della seconda edizione 1900 accresciuta d’inediti, a cura e con presentazione di Francesco Mazzoni, Firenze, Sansoni, 1975, pp. 114-120.

J. K. Rowling, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Milano, Salani, 2003.

J. K. Rowling, Gli animali fantastici: dove trovarli, Milano, Salani, 2014.

Virgilio, Bucoliche, traduzione e note di Luca Canali, Milano, BUR, 1993.