La guerra del Vietnam e i suoi effetti sulla società USA

Che un violento conflitto possa condurre alla lacerazione di una società sembra quasi banale. Se, però, la società in questione è quella del Paese più potente al mondo, e il suo avversario un nemico infinitamente più debole, allora la situazione ha dell’incredibile. Eppure, è proprio quello che successe agli Stati Uniti d’America con la sanguinosa guerra del Vietnam.

Il conflitto, infatti, ebbe effetti devastanti sul Paese nordamericano non solo dal punto di vista economico o delle vite umane perdute. Esso, per quasi un decennio, divise violentemente il popolo statunitense, come stiamo per vedere. Oltre, naturalmente, al terribile danno d’immagine inflitto dalla sconfitta al mito della sua invincibilità.

Lo svolgimento della guerra del Vietnam

La guerra del Vietnam affonda le sue origini nel passato coloniale della nazione. Fu sulla scia della lotta di liberazione, infatti, che essa si divise in una Repubblica Democratica comunista nel nord e in uno stato filo-occidentale nel Sud. A quest’ultimo fin dal 1955 gli Stati Uniti prestarono assistenza militare in funzione anticomunista. Il suo regime, tuttavia, per la sua corruzione e durezza era inviso a molti dei suoi stessi cittadini, e dal 1960 fu attivo un Fronte di Liberazione Nazionale unionista, supportato dal Nord.

La situazione esplose quando, nell’agosto del 1964, uno scontro nel golfo del Tonchino tra alcune torpediniere nordvietnamite e una nave da guerra degli Stati Uniti fu da questi assunto come casus belli. Da allora e fino al 1973, tre milioni di cittadini statunitensi combatterono in supporto dell’esercito del Sud.

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Mappa del conflitto

Il conflitto, però, diventò ben presto un incubo per i soldati di Washington. I miliziani comunisti, i famosi Viet-cong, li impegnarono infatti in una tremenda e logorante guerriglia. Essi potevano, inoltre, contare sul supporto dell’efficiente esercito del Nord, nonché di URSS e Cina.

Dopo anni inconcludenti, gli Stati Uniti dovettero ritirarsi progressivamente, lasciando il campo ai soldati sudvietnamiti. Questi ultimi, però, non resistettero a lungo, e nel 1975 le armate settentrionali occuparono la loro capitale Saigon. L’anno dopo, i due Paesi furono unificati in una sola Repubblica Socialista del Vietnam. Era proprio lo scenario che gli Stati Uniti avevano cercato di evitare. Si tratta, probabilmente, ancora oggi, della peggiore sconfitta militare della loro storia.

La guerra del Vietnam e il prestigio statunitense

La guerra del Vietnam inferse agli Stati Uniti una ferita che, da soli, né gli oltre 58mila morti né i 120 miliardi di dollari spesi potrebbero spiegare. La sconfitta infranse l’alone di invincibilità che circondava il Paese e il suo esercito, soprattutto per il modo in cui si verificò. Per la prima volta, infatti, venne dimostrato che la più grande potenza militare al mondo poteva essere tenuta in scacco da una guerra di popolo.

Basti ricordare, come episodio simbolo, l’offensiva del Têt: un violentissimo attacco a sorpresa sferrato dalle forze nordvietnamite il 31 gennaio 1968. Anche se i risultati sul campo furono modesti (tutti i maggiori obiettivi furono riconquistati entro un giorno o due) quelli psicologici furono, invece, devastanti. La richiesta di 200mila ulteriori truppe, da parte del generale statunitense Westmoreland, scioccò l’opinione pubblica. Lo stesso anno, il presidente Johnson dovette aprire i negoziati di pace a Parigi.

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Celebre testimonianza dei bombardamenti al napalm

L’immagine degli Stati Uniti crollò anche per la condotta che essi furono costretti a tenere nel tentativo di sconfiggere l’irriducibile nemico. Basti pensare, ad esempio, agli spesso indiscriminati bombardamenti con il famigerato napalm. L’episodio che provocò la maggiore indignazione fu, in questo ambito, il massacro di My Lai del marzo 1968. In questa occasione i soldati statunitensi trucidarono più di quattrocento civili inermi.

I morti non mancarono nemmeno in patria tra i manifestanti pacifisti: ricordiamo, ad esempio, i sei studenti uccisi in scontri con le forze dell’ordine tra il 4 e il 14 marzo 1970. La protesta, d’altro canto, fu viva in tutto il mondo, spesso anche in Paesi alleati degli USA. In effetti, azioni come le aggressioni contro Laos e Cambogia, due Paesi confinanti con il Vietnam, contrarie al diritto internazionale, erano difficilmente difendibili.

La guerra del Vietnam e la società statunitense

Il prestigio degli Stati Uniti crollò agli occhi non solo del mondo, ma soprattutto dei suoi cittadini. La guerra del Vietnam, infatti, apparve un conflitto sporco, profondamente contrario alla propria tradizione democratica e anti-imperialista. Non a caso, essa fu tra i principali motori delle proteste del ’68. Contribuì, inoltre, a radicalizzare problemi preesistenti. Pensiamo, per esempio, alla questione razziale: la percentuale di afro-americani nell’esercito impegnato in Vietnam fu, addirittura, più alta di quella sull’intera popolazione.

Il motivo è semplice: mentre per i giovani borghesi era molto più semplice evitare la coscrizione, per i neri che spesso vivevano ancora in condizioni di segregazione sociale (è di quegli anni l’azione di Martin Luther King) spesso non c’era scelta. Dall’altra parte, i renitenti raggiunsero numeri incredibili: quasi cinquecentomila. A questi si aggiungono le diserzioni o i frequentissimi episodi di insubordinazione tra i combattenti, che spesso si sentivano abbandonati.

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Muhammad Ali, celebre renitente alla guerra

L’esclusione sociale di questi ultimi, del resto, non terminò nemmeno quando fecero ritorno. Gli orrori del conflitto, infatti, comportarono problemi di riadattamento. Il 16% di loro soffrì di disturbo post-traumatico da stress. In aggiunta, vennero ostracizzati sia dai pacifisti sia dagli anticomunisti. Questi ultimi li incolpavano, infatti, della sconfitta.

Le terribili sofferenze inflitte a loro e a tutto il popolo statunitense dalla guerra del Vietnam hanno continuato a ispirare anche la grande industria d’intrattenimento. Per citare solo il cinema, il “Vietnam movie” è un sottogenere hollywoodiano molto fecondo, che comprende capolavori del calibro di Apocalypse Now.

Per non parlare dei film incentrati sulla figura del reduce, quali Rambo o Taxi Driver. Il trauma della sconfitta ha lasciato un’impressione così vivida nell’immaginario collettivo che, quando solo pochi anni dopo fu l’URSS a ritrovarsi impantanata in un conflitto esterno, in Afghanistan, vi fu già chi parlò di “Vietnam sovietico”.

Francesco Robustelli

Sitografia

www.history.com

Bibliografia

Varsori, Storia Internazionale. Dal 1919 ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2015

AA.VV., Nuovi profili storici vol.3. Dal 1900 a oggi, ed. Laterza, 2012

Fonti media

L’immagine di copertina è ripresa da wallpapercave.com

www.ansa.it

www.nationalgeographic.org