I valori descritti nell’Iliade e nell’Odissea, i capolavori di Omero, sono stati per secoli al centro della paideia greca: essi hanno continuato a permeare l’atmosfera culturale greca, anche molto dopo la fine dell’età del ferro. Analizzando l’immagine della società omerica che emerge nelle sue opere, possiamo notare come si tratti di una società del dono, come descritta da Marcel Mauss. Di che si tratta?
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La società omerica: una datazione
Prima di tutto bisogna chiarire a che periodo risale la società omerica. La Guerra di Troia è datata, approssimativamente, fra XIII e XII sec.,[1] ma la società ivi descritta sarebbe sicuramente posteriore. Secondo alcuni studiosi la società omerica risalirebbe ai secoli X-IX,[2] per l’assenza di allusioni alle armi in ferro, alla colonizzazione, alla scrittura, alla Ionia.
L’attestazione del termine polis non posticipa questa datazione, dato che quella omerica è la polis micenea, diversa da quella d’epoca arcaica e classica. Secondo altri studiosi,[3] l’Odissea reca tracce dell’organizzazione cittadina di fine VII sec.
Al di là di datazioni precise, l’Iliade descriverebbe una società più arcaica di quella dell’Odissea: la figura di Agamennone ricorda i re micenei, mentre quella di Ulisse è inserita in un contesto dove i greci già si muovevano per mare, e quindi già era presente l’ ”αποικία” (colonia).
Il mondo dei migliori
Il mondo omerico è il mondo degli ”ἂριστοι” (migliori), unici protagonisti delle vicende eroiche, tutti connessi parentalmente a divinità. La principale occupazione è la guerra, scatenata da razzie, furti di greggi o rapimenti di persone.
L’eroe omerico combatte in prima fila, essendo la guerra l’attività nobile per eccellenza, fonte di τιμἡ (onore), concetto al centro di quella che sarà poi definita “civiltà di vergogna”.
Gli eroi sono dediti fra un combattimento e un altro a sacrifici agli dei, unica loro occupazione oltre alla guerra e alla partecipazione ai consigli bellici.
Il resto della popolazione forma il Λαός (popolo), di cui i poemi parlano poco, formato da uomini liberi, pastori, contadini; diverso è il caso dei Δημιουργοί, che indica perlopiù artigiani specializzati, come falegnami e fabbri, ma anche medici, indovini ed aedi.
I non liberi constano soprattutto di donne, dato che si preferisce uccidere il nemico piuttosto che schiavizzarlo; le donne invece sono considerate parte del bottino, e sono vendute come schiave; in teoria, chiunque può diventare schiavo, come nel caso del porcaro di Ulisse Eumeo, originariamente figlio di un principe.
L’oikos
Il fulcro della società omerica è l’οἶκος, a cui tutti, eccetto i cosiddetti teti, sono legati. L’oikos è un’organizzazione familiare, insieme di beni e uomini. Garantisce la sicurezza e i bisogni materiali, indica le norme sociali e religiose. L’individuo esiste solo all’interno della cornice dell’oikos.
Ogni oikos è dotato di un territorio, di un capitale di beni e manodopera più o meno esteso.
A capo dell’oikos c’è il βασιλεύς, termine con cui non si indica ancora il re tradizionale, ma una sorta di primus inter pares. In caso di assenza prolungata del basileus, il suo potere è oggetto di competizione tra i nobili, come nel caso dei Proci. Il potere “regale” non è stabile, è legato alla persona e non ereditario, esercitato con la forza e fondato sulla ricchezza dell’oikos del basileus, ossia sulla quantità di terre e bestiame da lui possedute.
Il re omerico
Il basileus omerico non ha niente della ricchezza del ϝάναξ miceneo. Non c’è presenza di oro, ad esempio. E la reggia di Odisseo è semplice, e vede il padre del basileus vivere a fianco di un porcario.
Ma quali sono le prerogative del basileus? Il basileus si occupa di decidere e dirigere la guerra, oltre che a convocare l’assemblea. Non si occupa invece di esercitare la giustizia. L’assemblea è convocata dal re solo quando lo ritiene opportuno. Il demos è svuotato di qualsivoglia valenza politica significativa.
La base della ricchezza del basileus, la terra, determina la gerarchia fra gli oìkoi. Viene usata come pascolo di cavalli e greggi, mentre la coltivazione di cereali, vite e alberi da frutto è un’attività secondaria. Nell’oikos vige un’autarchia quasi totale, e il basileus deve “importare” solo prodotti d’artigianato come metalli, utensili e armi.
Le derrate alimentari e le manifatture vengono immagazzinate nella casa del basileus, e poi redistribuite secondo necessità tra i membri.
Il basileus può aumentare le sue ricchezze grazie ad un τέμενος, un lotto supplementare nella distribuzione del bottino e soprattutto doni in gran numero.
La società del dono
Il mondo omerico, secondo alcuni studiosi,[4] sarebbe una società del dono: si reggerebbe, insomma, sul meccanismo di dono e controdono così come è stato concepito da Marcel Mauss: tutte le eccedenze dell’oikos vengono tesaurizzate e conservate per essere usate come doni.
Il basileus dispone di un tesoro costituito da oggetti in bronzo, ferro, oro, stoffe, scambiati fra gli eroi. Un esempio sono gli hèdna, regali del maschio fatti alla famiglia della futura sposa, e la dote della femmina.
Il dono è il primo momento di uno scambio continuo fra gli aristoi. L’accumulo della ricchezza, poi tesaurizzata, è finalizzato unicamente a creare e rafforzare legami fra famiglie e comunità politiche: per questo si può parlare di società del dono. Il gesto è più importante dell’oggetto scambiato, il che porta alla svalutazione di baratto e commercio come sono tradizionalmente concepiti. Gli scambi col mondo esterno sono infatti lasciati a βάρβαροι, non greci, e vige una certa diffidenza verso lo straniero-commerciante.
Fra i valori degli eroi spicca il rispetto della religione, che consiste nell’onore degli dei e nell’esercizio dei rituali sacrifici, consultazione degli indovini, preghiere, libagioni, offerte, riti funerari. Lo status dell’eroe dipende dalla memoria della comunità. Dev’essere un guerriero valorosο, buon capo dell’oìkos, ospite generoso, concorrente leale nelle gare. Il valore principale è la sopraccitata timè, che può portarlo alla morte. L’obiettivo dell’eroe della società del dono è infatti conquistare la gloria eterna attraverso i canti degli aedi.
Davide Esposito
Note:
- [1] Erodoto, nelle ”Storie”, propone una datazione intorno al 1250 a.C., Tucidide intorno al 1200 a.C, datazione ripresa da Eratostene e portata in auge da Dionigi d’Alicarnasso nella sua opera ”Antichità romane”
- [2] Moses Israel Finley, ”Il mondo di Odisseo”, 1954
- [3] Claudie Mossè, ”La Grèce archaique d’Homère à Eschyle”, 1984
- [4] Claude Orrieux, Pauline Schmitt Pantel, ”Histoire grecque”, 2004