Maudit, il poeta maledetto: genesi del mito

Il Maudit, il poeta maledetto, è una figura tragica della letteratura dal carattere estremo, cupo e provocatorio. La Maledizione del poeta è un concetto che esprime il rapporto problematico tra i poeti e la società. Tal figura caratterizza ampliamente la poesia della seconda metà del XIX secolo dando una scossa, con il suo intento abrasivo, alla poesia occidentale.

Il “poète maudit” assume una dimensione mitica e si caratterizza per la tendenza a profanare valori e convenzioni della società in cui vive, e, come gesto di rifiuto, compie deliberatamente la scelta del male e dell’abiezione non mancando di condire la propria vita con abuso di sostanze psicotrope per esperienze intense.

Un intellettuale che, sebbene sia sempre alla ricerca dell’ “assoluto” e di una poesia “oggettiva”, si lascia inghiottire dal vortice tenebroso, distruggendo ogni legame razionale: solo un abbandono totale può garantire l’esperienza del contatto con l’assoluto, la mente deve essere libera dai canoni scientifico-razionali. Vediamo le personalità che hanno incarnato quest’immagine contribuendo alla genesi del poète maudit, scrittore dannato al cui genio si accompagna la sregolatezza.

L’archetipo

“Se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te” (Friedrich Nietzsche)

mauditUn archetipo del poète maudit è proposto già nel 1832-35 da Alfred De Vigny, scrittore e drammaturgo francese, nel dramma “Chatterton”, ispirato, molto liberamente, alla vita del poeta inglese della seconda metà del ‘700, Thomas Chatterton. Questi era noto per i suoi “pastiche” di poesia medievale, che attribuiva ad un monaco immaginario del XV secolo, Thomas Rowley. Chatterton morì suicida ad appena diciassette anni molto probabilmente avvelenandosi. Nel dramma, De Vigny, tramite la figura di Chatterton, sviluppa l’idea del poeta reietto della società moderna.

 « […] dal giorno in cui egli seppe leggere fu Poeta, e d’allora appartenne alla razza sempre maledetta dalle potenze della terra… »

Baudelaire: lo stereotipo del maudit

Quando si parla di maledizione del poeta non possiamo fare a meno di pensare a Charles Baudelaire, maudit per eccellenza innamorato degli eccessi, precursore del Decadentismo, simbolo del ribelle in stilemaudit bohèmien che influenzò fortemente quelli che successivamente sono stati etichettati come “I poeti maledetti” e che lo elessero proprio maestro.

La sua opera significativa è la raccolta di poesie I fiori del male, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1857 e sottoposta a un processo per oltraggio alla pubblica morale.  È considerata una delle opere poetiche più influenti, celebri e innovative non solo dell’Ottocento francese ma di tutti i tempi.

Il lirismo aulico, le atmosfere surreali di un modernismo ancora reduce della poetica romantica, lo sfondo vagamente sinistro, hanno reso Baudelaire lo stereotipo del “poeta maledetto”: chiuso in se stesso, a venerare i piaceri della carne e tradurre la propria visione del mondo in una comprensione d’infinita sofferenza e bassezza.

Il libro di Baudelaire, compendio ed emblema della poesia moderna, risulta atroce e dolcissimo, e in un ventaglio straordinario di toni e registri stilistici dà forma al grido delle passioni e al gelo dell’esilio, alle ferite dell’amore e al sapere del viaggio. Il titolo “I fiori del male” vuole significare la seduzione e la fascinazione che il male può esercitare sull’uomo. Il sapere e l’invenzione, la ferita della vita e l’ebbrezza dell’immaginazione si uniscono nella nuova lingua della poesia.

Temi ed immagini sono spinti all’estremo dal gusto del poeta, temi quali la morte, l’amore e lo slancio religioso vengono estremizzati col gusto dell’orrore, il senso del peccato e il satanismo. A detta dello stesso Baudelaire l’opera va intesa come “un viaggio immaginario” che il poeta compie verso l’inferno che è la vita. I fiori del male sono “i paradisi artificiali” (l’autore dedicherà un’opera, con questo titolo, riguardo l’assunzione di droghe) e gli amori proibiti e peccaminosi che danno l’illusoria speranza di un conforto.

Quando anche questi effimeri piaceri vengono a svanire, al poète maudit non rimane che “La revolte”, il rinnegamento di Dio e l’invocazione di Satana che tuttavia non si rivela utile alla sua fuga. L’ultimo appiglio per lo spirito disperato del poeta è la morte, intesa non come passaggio ad una nuova vita ma come distruzione e disfacimento a cui tuttavia il poeta s’affida, nel disperato tentativo di trovare nell’ignoto qualcosa di nuovo, di diverso dall’onnipresente angoscia.

“Satana, gloria a te, là nell’alto dei cieli,

dove un tempo regnasti, e negli antri infernali

dove pur vinto sogni e attendi silenzioso.

Fa’ che all’ombra dell’Albero della Scienza io riposi

Con te, nell’ora in cui intorno alla tua fronte,

come su un nuovo Tempio, si spandano le fronde.”

La definizione del maudit

mauditIl maudit è vertice insuperabile del pensiero romantico e domina una concezione della poesia caratteristica della seconda metà del XIX secolo. Ma è Paul Verlaine a dare una sistemazione dei criteri generali per la figura del maudit con la sua antologia del 1884 che porta proprio il titolo “Les poètes maudits”. Qui vengono presentati sei poeti che, ispirati dall’incanto di Baudelaire, sono appunto definiti “maledetti” poiché non abbastanza gloriosi in tempi che dovrebbero essere ai loro piedi.

Di questi poeti Verlaine riconosce la grandezza e si lascia trasportare. L’autore diventando egli stesso pubblico, critica, salotto, riscatta dall’oblio i versi spesso inediti dei suoi poeti-idoli, con la cui inclusione nell’antologia compie un’operazione di giustizia letteraria.

Le personalità che presenta Verlaine, e che oggi identifichiamo come i maestri del simbolismo, sono: Tristan Corbière, marinaio bretone innamorato del mare; Arthur Rimbaud famoso anche per la tormentata relazione con lo stesso Verlaine che comunque non gli proibì di apprezzarlo come rimatore; Stéphan Mallarmé poeta dallo stile e linguaggio innovativo; Marcelline Desbordes-Valmore unica donna maudit; Villiers de l’Isle-Adam essenziale per il simbolismo francese; ed infine lo stesso Paul Verlaine, provocatoriamente celato dietro lo pseudonimo fin troppo rivelatore di Pauvre Lelian. Questi poeti sono tutti sotto la definizione fornita dall’autore all’inizio come presentazione dell’opera:

«Avremmo dovuto dire Poeti Assoluti per restare nella calma, ma oltre al fatto che la calma poco si addice di questi tempi, il nostro titolo ha questo, che risponde in modo adeguato al nostro odio e, ne siamo sicuri, a quello dei sopravvissuti tra gli Onnipotenti in questione, per la volgarità dei lettori elitari – una rude falange che ben ce lo rende. Assoluti per l’immaginazione, assoluti nell’espressione, assoluti come i Rey-Netos dei migliori secoli. Ma maledetti! Giudicate. »

Dunque, “il poète maudit” è un artista che sceglie l’autodistruzione non riconoscendo i valori della società che non lo comprende, vive una vita misera caratterizzata dal vizio della carne, dall’abuso di droghe e alcool e da ogni tipo di sregolatezza. La definizione “maudit” indica indica proprio il disagio di questi poeti nei confronti della società che si traduce in isolamento, ribellione e provocazione.

L’appellativo di maledetto lo attribuì Verlaine a se stesso, ma esso avvolge in un alone indefinibile autori di epoche diverse, anche precedenti. Elementi che contraddistinguono questa figura mitica sono gli impulsi distruttivi, l’attrazione per la morte e il rifiuto per la società, ma la poesia per quanto maledetta, decadente, disperatamente oscura è pur sempre comunicazione, trasferimento di emozioni da un cuore all’altro.

Maurizio Marchese

Bibliografia:

Paul Verlaine, “I poeti maledetti”, il Saggiatore S.P.A, Milano 2010

Charles Baudelaire “I fiori del male”, Feltrinelli, Stampa Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche – BG 2010

Sitografia:

https://fr.wikipedia.org/wiki/Thomas_Chatterton#Le_po.C3.A8te_maudit