Annie Ernaux: chi è la vincitrice del Nobel

Il 6 ottobre 2022 la scrittrice normanna Annie Ernaux è stata insignita del premio Nobel per la Letteratura, assegnatole dall’Accademia Svedese per «il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i limiti collettivi della memoria personale».
Annie Ernaux è la prima donna francese a ottenere il prestigioso riconoscimento, nonostante la Francia vanti il numero maggiore di premi Nobel per la Letteratura: nei centoventuno anni di storia di questa istituzione, sono stati ben sedici i premi assegnati ad autori francesi.

Vita di Annie Ernaux

Annie Duschesne nasce il 1° settembre 1940 a Lillebonne, in Normandia, ma crescerà a Yvetot, dove i genitori – precedentemente contadini e operai – gestiranno un bar drogheria. Svolgerà gli studi in una scuola cattolica privata, per poi proseguirli a Rouen e all’università di Bordeaux. Diventerà così insegnante di lettere, professione che manterrà fino al 2000 – anno in cui inizierà a dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Militante femminista e scrittrice prolifica, Annie Ernaux pubblica nel 1974 il suo primo romanzo, Gli armadi vuoti, in cui, tramite la protagonista Denise Lesur, rievoca la sua infanzia e adolescenza.

Tutto il senso e il contenuto dell’opera di Ernaux è da ricercarsi proprio nelle sue origini e nella sua biografia, in particolar modo nella sua ascesa sociale. Difatti la carriera e il matrimonio, nel 1964, con Philippe Ernaux – da cui avrà due figli – marcheranno il suo ingresso nel mondo borghese. Ella individua nel passaggio da un ceto sociale inferiore a uno superiore il motivo per cui ha reso la scrittura il suo mestiere. Scrivere è stato un mezzo per espiare il tradimento che sente di aver compiuto diventando parte della classe borghese: la classe dominante.

Come dichiarerà, comincia dunque a scrivere per vendicare la sua razza e il suo sesso – un bisogno impellente già all’età di ventidue anni – spinta da un’urgenza di raccontare un mondo poco rappresentato nella letteratura francese, di tramandare la sua eredità sociale e il ricordo dei suoi genitori, oltre che di sanare, in qualche modo, la ferita di quella lontananza creatasi tra lei e la sua famiglia.

Il distacco dalle origini

Difatti, alla graduale crescita intellettuale di Annie ha coinciso un allontanamento dalla sua famiglia e dal loro ambiente. L’inizio della frequentazione di una scuola privata – quella che potesse darle la migliore educazione, così come desideravano i suoi genitori – ha rappresentato anche l’entrata in un altro mondo, un mondo ignoto, in cui persino la lingua era diversa – scevra, per esempio, di locuzioni dialettali. Ciò ha portato Annie a distaccarsi dalle sue radici, talvolta a vergognarsene.

Eclatante, al riguardo, è una scena di vita raccontata in “Retour à Yvetot“, in cui l’autrice, come da titolo, segue il filo dei ricordi che la riporta lì dove è cresciuta. L’aneddoto risale a quando la giovane Annie, a scuola, ode una sua compagna – proveniente da una famiglia ricca e facoltosa – lamentarsi di un cattivo odore di candeggina.

Questa frase di disprezzo pronunciata con leggerezza segna profondamente la scrittrice: in quell’istante avrebbe voluto sparire o tornare al momento in cui, come si usava nella sua famiglia, aveva lavato le mani nell’acqua con la candeggina. Ernaux capisce ben presto che quell’odore – prima innocuo, associato al pulito, mai fastidioso fino all’appunto della sua compagna – è in realtà simbolo di uno status sociale. Questa stessa tematica sarà esplorata più tardi anche dal film premio Oscar “Parasite” (2019), del regista coreano Bong Joon-Ho, in cui vengono affrontati temi di classe. L’odore, come dicevo, funge da indice sociale: ciò viene ripreso più volte nella pellicola ed è esplicativo soprattutto in una scena memorabile e destabilizzante.

Nell’anno della morte del padre vi sarà poi un ricongiungimento con le sue origini, anche grazie a un’alunna proveniente da una famiglia umile, brava a scrivere ma poco propensa a parlare, in cui rivede sé stessa. Tutto ciò, come vedremo, sarà fondamentale per la stesura dell’opera pubblicata nel 1983, “Il posto”, emblema della sua poetica.

Le opere di Annie Ernaux

Edizione francese de "Gli armadi vuoti", opera prima di Annie Ernaux
Edizione francese de “Gli armadi vuoti”, opera prima di Annie Ernaux

I primi tre libri di Annie Ernaux – “Gli armadi vuoti” (1974); “Ce qu’ils disent ou rien” (1977) e “La donna gelata” (1981) – sono racconti romanzati ispirati da fatti autobiografici. A partire dal 1983, invece, Ernaux si focalizza esclusivamente sul reale e sulla sua esigenza di raccontarlo. Consacra così il suo successo e stile con “Il posto“, in cui parla del rapporto con il padre in seguito alla sua perdita.

Ciò che differenzia quest’opera da quelle precedenti è la rimozione completa di elementi di finzione. Il libro fu acclamato e notato anche per l’utilizzo di una prosa semplice e per l’adozione di un punto di vista neutro nonostante i temi trattati fossero autobiografici.

I romanzi successivi seguiranno lo stesso criterio de “Il posto” e in tal modo, negli anni, Annie Ernaux supera il concetto di autobiografia creando un genere letterario senza eguali, che definisce auto-socio-biografico.

Tra le altre opere ricordiamo anche “Una donna” e “La vergogna”, che, come “Il posto”, esplorano la vita dei genitori e dell’ambiente familiare, o ancora i testi che si focalizzano su episodi specifici della sua vita, come “L’evento”, “Passione semplice”, “Memorie di ragazza”, “Il ragazzo”… Ma il capolavoro assoluto di Annie Ernaux è “Gli anni”, libro magistrale in cui, raccontando della sua vita, ripercorre la storia sociale e culturale della Francia dagli anni Quaranta agli anni Duemila.

Le influenze nell’opera di Annie Ernaux: la sociologia

La ricerca e il desiderio di raccontare una memoria collettiva tramite una memoria individuale e lo scrupolo dell’oggettività fa delle opere di Annie Ernaux testi fortemente segnati da un approccio sociologico. Le principali ispirazioni per la sua opera sono infatti il sociologo Pierre Bourdieu, ma anche la filosofa Simone de Beauvoir, fondamentale soprattutto per ciò che concerne la sua coscienza di donna.

Ernaux spiega che ciò che è intimo è anche sociale, perché non esiste un “sé puro”, un sé che non sia intaccato dalle altre persone, dalle leggi o dalla storia. Per cui il racconto di ciò che è individuale è anche universale e deve essere sempre oggettivo. Ernaux fa dunque uso della sua soggettività per svelare fenomeni collettivi generali, diventando un’etnologa di sé stessa, guardando il suo io e il suo trascorso con occhio critico e storico.

Lo stile della prosa

La scrittura di Annie Ernaux è definita dall’autrice stessa “plate“, piatta, nel senso di una scrittura essenziale, minimale. Dietro l’apparente semplicità della sua prosa c’è un importante studio delle parole, la ricerca di uno stile puramente oggettivo e privo di qualsivoglia orpello. La scelta delle parole da inserire in una frase ricade sulla parola più giusta, non su quella più bella – ricerca, questa dell’obiettività e della sola parola adatta nel testo, che ricorda la stessa meticolosità di Flaubert durante la stesura di Madame Bovary.

Il senso della scrittura per Annie Ernaux

Per Annie Ernaux scrivere è un atto politico, un modo di far aprire gli occhi su ingiustizie sociali, come dimostra raccontando con coraggio e franchezza del suo aborto clandestino in “L’evento”: «Se non andassi fino in fondo a riferire questa esperienza contribuirei ad oscurare la realtà delle donne schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo.»

Gli scopi principali dello scrivere, però, per Ernaux sono due: salvare e comprendere – comprendere meglio la sua persona, il suo vissuto. Come Milena per Kafka, la scrittura è per Annie Ernaux il coltello con cui frugare dentro sé stessa.

La funzione del salvare, invece, fa riferimento all’atto di salvaguardare la memoria personale e universale scrivendo anche, per esempio, del quotidiano, di ciò che all’apparenza ci sembra superfluo – una pubblicità, un attore in voga in un determinato momento storico, un modo di dire caduto in disuso. Ernaux cristallizza con la sua scrittura delle immagini che sono altrimenti destinate a scomparire. Ciò è quantomai evidente nel già citato “Gli anni”, il cui incipit indimenticabile è proprio «Tutte le immagini scompariranno»: «[…] svaniranno tutte in un colpo solo come sono svanite a milioni le immagini che erano dietro la fronte dei nonni morti da mezzo secolo, dei genitori morti anch’essi. […] Tutto si cancellerà in un secondo.»

Per sopperire a ciò la scrittrice firma una storia autobiografica – in cui, però, non viene mai detto “io” – e al tempo stesso una storia collettiva, la storia di una vita e la storia di un’epoca.

“Gli anni” è un tentativo, straordinariamente riuscito, di «salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più». Una magnifica testimonianza, dunque, oltre che un commovente rimedio contro l’oblio. L’arte, si sa, rende immortali: tutte le immagini sono destinate a scomparire, ma non le tue parole, Annie Ernaux.

«E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intellegibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri.»

Giulia Gennarelli

Bibliografia su Annie Ernaux

  • Annie Ernaux, Retour à Yvetot, Paris, Mauconduit, 2013
  • Annie Ernaux, L’Écriture comme un cocteau, entretiens avec Frédéric-Yves Jeannet, Paris, Stock, 2003
  • Annie Ernaux, Gli anni, Roma, L’orma editore, 2015
  • Annie Ernaux, L’evento, Roma, L’orma editore, 2019