Già Dante Alighieri, a più riprese, canta la madonna, nella Divina Commedia come in altre opere, come simbolo o metro di paragone per una purezza infinita e un’umiltà inimitabile. È famoso il passo del XXXIII canto del Paradiso in cui San Bernardo di Chiaravalle supplica la Madonna affinché conceda a Dante di proseguire oltre a contemplare la Trinità:
“Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.”
Qui le varie antitesi (Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta) sottolineano come gli elementi divini travalichino la comprensione umana e allo stesso tempo rendano la Vergine una creatura armoniosa, commistione di umano e divino. Ora vediamo solo alcuni dei poeti italiani del Novecento che si sono espressi attraverso una figura piena di significati come la Madonna.
Maria nella poesia del ‘900
“È mezzanotte. Nevica. Alla pieve
suonano a doppio; suonano l’entrata.
Va la Madonna bianca tra la neve:
spinge una porta; l’apre: era accostata.Entra nella capanna: la cucina
e piena d’un sentor di medicina.
Un bricco al fuoco s’ode borbottare:
piccolo il ceppo brucia al focolare.Un gran silenzio. Sono a messa? Bene.
Gesu trema; Maria si accosta al fuoco.
Ma ecco un suono, un rantolo che viene
di su, sempre più fievole e più roco.
Il bricco versa e sfrigge: la campana,
col vento, or s’avvicina, or s’allontana.
La Madonna, con una mano al cuore,
geme: Una mamma, figlio mio, che muore!E piano piano, col suo bimbo fiso
nel ceppo, torna all’uscio, apre, s’avvia.
Il ceppo sbracia e crepita improvviso,
il bricco versa e sfrigola via via:
quel rantolo… è finito. O Maria stanca!
bianca tu passi tra la neve bianca.
Suona d’intorno il doppio dell’entrata:
voce velata, malata, sognata.”
“Si ferma, e già fischia, ed insieme,
tra il ferreo strepito del treno,
si sente una squilla che geme,
là da un paesello sereno,
paesello lungo la via:
Ave Maria…
Un poco, tra l’ansia crescente
della nera vaporiera,
l’addio della sera si sente
seguire come una preghiera,
seguire il treno che s’avvia:
Ave Maria…
E, come se voglia e non voglia,
il treno nel partir vacilla:
quel suono ci chiama alla soglia
e alla lampada che brilla,
nella casa, ch’è una badia:
Ave Maria…
(…)
Si chiude, la casa; e s’appanna
d’un tratto il vocerìo che c’è;
si chiude, ristringe, accapanna,
per parlare tra sé e sé;
e saluta la compagnia…
Ave Maria…
(…)
Il treno già vola e ci porta
sbuffando l’alito di fuoco;
e ancora nell’aria più smorta
ci giunge quell’addio più fioco,
dal paese che fugge via:
Ave Maria…
(…)
Con l’uomo che va nella notte,
tra gli aspri urli, i lunghi racconti
del treno che corre per grotte
di monti, sopra lenti ponti,
vien nell’ombrìa la voce pia:
Ave Maria…”
Nell’opera di Mario Luzi, figura esemplare dell’ermetismo fiorentino, è centrale il tema spirituale e l’interrogarsi dell’uomo nella storia, accanto alla metamorfosi come trasformazione di materia e spirito. Dello scrittore cattolico fa al nostro caso la poesia “Annunciazione” tratta dalla raccolta lirica “La Barca” (1935), componimento ricco di immagini e suggestione ermetica in cui il poeta vede presente in una figura il senso nascosto dell’annuncio.
“La mano al suo tepore abbandonata,
nelle lacrime spenti i desideri,
forse è questo una donna: un tempo esangue,
nell’ombra la bontà opaca d ieri:
tra le voci dirotte dell’infanzia
nei giardini cui fu tetra la vampa
i venti sterminati s’effigiavano
nelle mani con una luce rancia;
le nuvole alternavano la sorte
dai cristalli alle vergini funeste,
nei paesi l’angoscia delle porte
sotto la bianca scia delle tempeste.
Poi fu il tempo che il tuo volto sorrise
Lieve sui luminosi erebi d’ansia,
altrimenti sulle deserte ghise
ora il cielo fingeva le sue ruote.
Poi di luna un inane fianco rosa
Tese al vento gremito del tuo nome
La sua caducità bianca di chiome,
quella povera luce che ci opprime.”
Dopo momenti tetri e angoscianti, con il volto sorridente il poeta vuole indicare qual è l’importanza della Madonna per l’umanità, il sorriso che allevia l’inferno dell’uomo contemporaneo, cioè l’ansia, le deserte ghise, il mondo metallico, innaturale e inospitale.
Pier Paolo Pasolini non era un credente ma era tutt’altro che privo di spiritualità: ai tanti momenti di avversione nei confronti della religione, specie per via della sua omosessualità, alterna una sorta di nostalgia per quell’universo estatico che la religione porta in sé. Nella raccolta pubblicata nel 1958 “L’usignolo della chiesa cattolica”, la poesia “Annunciazione” rivive l’evento all’incontrario: la Madonna anziana è interrogata dai figli nati dopo Gesù, che riempiendola di domande, vogliono sapere che cos’è essere madre di Dio, cosa ha vissuto, gioito o sofferto. Al dialogo partecipa anche l’arcangelo Gabriele
“I figli:
Madre, cos’hai
sotto il tuo occhio?
Cosa nascondi
nel riso stanco?
Domeniche antiche,
fresche di cielo,
antichi maggi
rossi negli occhi
delle tue amiche,
antichi incensi…
Ora, al tuo letto,
tremiamo per te,
madre, fanciulla,
per le domeniche,
gli incensi, i maggi.
Tu eri tanto
bella e innocente…
Madre… chi eri
quand’eri giovane?
E Lui, chi era?
Madre, che muoia…
Ah, sia fanciulla
sempre la vita
nella severa
tua vita fanciulla…L’ angelo:
Non senti i figli?
O lodoletta
canta in un’alba
di eterno amore…Maria:
Angelo, il grembo
sarà candore.
Pei figli vergini
io sarò vergine.”
Tante domande e punti sospensivi, tanta incertezza e uno stupore che si fa strada, ostinato, tra ideologie, vizio, solitudine ed orgoglio. I figli rappresentano l’umanità intera in questo dialogo a cui partecipa anche l’arcangelo: una forte tensione religiosa è espressa da Pasolini che pur non essendo credente resta rispettoso davanti al mistero della verginità della Madonna. Non si tratta affatto di una conversione ma, come spesso accade quando si esprime la genialità, troviamo qui l’esaltazione dell’umano che accetta la ragionevolezza della presenza del divino o del non conoscibile.
“La Madre,
quella che come me
mangiò la terra del manicomio credendola pastura divina,
quella che si legò ai piedi del figlio
per essere trascinata con lui sulla croce e ne venne sciolta
perché continuasse a vivere nel suo dolore.
Potevano uccidere anche Maria,
ma Maria venne lasciata libera di vedere
la disfatta di tutto il suo grande pensiero.
Ed ecco che Dio dalla croce guarda la madre,
ed è la prima volta che così crocifisso
non la può stringere al cuore,
perché Maria spesso si rifugiava in quelle braccia possenti,
e lui la baciava sui capelli e la chiamava «giovane»
e la considerava ragazza.
Maria, figlia di Gesù
Maria non invecchiò mai,
rimase col tempo della croce
nei suoi lunghi capelli
che le coprivano il volto.
«lo credo, madre,
che qualsiasi senso del cuore
sia dentro il tuo sguardo.
(…)
Non ti ha mai levato di dosso quel mantello di luce,
Maria,
con cui Dio ti ha coperta
per non far vedere
che le tue spalle tremavano d’amore.
Ma io, Maria, credo in te,
e credendo in te
credo in Lui.”
Alda Merini va oltre evocando non solo la gioia e il timore di fronte a Dio, ma vede il dolore e le lacrime che purificano l’umanità: con questo dolore e queste lacrime la Madonna è mediazione tra la poetessa e Dio e, ancora una volta, tra l’uomo e Dio.
Comunque venga rappresentata la Vergine Maria, risulta assai difficile farlo in maniera compiuta proprio per la mole di significati che assume e porta con sé: queste liriche sono molto significative della personalità degli autori; chiamando in causa la visione metafisica e religiosa dello scrittore, nonché il suo rapporto col divino, la poesia diviene strumento di conoscenza e auto-conoscenza.
Maurizio Marchese
Bibliografia:
Giovanni Pascoli, Myricae, introduzione di Pier Vincenzo Mengaldo, Note di Franco Melotti, BUR Rizzoli.
Sitografia:
http://www.la-poesia.it/poesie-del-800/giovanni-pascoli-in-viaggio-626-1.html
https://www.academia.edu/1749139/Poesia_mariana_confronto_fra_Dante_e_Pierpaolo_Pasolini
http://digilander.libero.it/mariaoggi/letteratura.htm