Ludwig Wittgenstein, il Tractatus e la filosofia del linguaggio

Tra i filosofi del Novecento Ludwig Wittgenstein emerge come colui che ha elaborato in maniera straordinariamente innovativa una serie di problematiche legate al linguaggio.

Le originali riflessioni del pensatore austriaco, risultato di una formazione da autodidatta, costituiscono ancora oggi un punto di riferimento fondamentale per la filosofia analitica.

La filosofia come chiarificazione del linguaggio

Profondamente influenzato dalle teorie di Frege e Russell, Wittgenstein decide di dedicarsi allo studio della matematica e della logica, attraverso una specifica attenzione al linguaggio. Da Frege, infatti, eredita la convinzione che lo studio del pensiero debba partire dall’indagine linguistica e che l’applicazione della logica al linguaggio possa fornire la chiave per la costruzione di un’ideografia, un linguaggio ideale formalizzato. Soltanto un linguaggio logicamente perfetto, privo di ambiguità e insensatezze, può porsi a fondamento delle scienze.
Secondo Wittgenstein anche gran parte dei problemi tradizionali della filosofia, soprattutto in ambito metafisico, si fondano su un cattivo uso del linguaggio. Compito autentico della filosofia, allora, è quello di operare una chiarificazione del linguaggio e di fornire le ”istruzioni” per parlare adeguatamente del mondo.

Wittgenstein: il Tractatus logicus-philosophicus

Il tentativo di indicare le condizioni logiche per la costruzione di un linguaggio formalmente corretto è offerto dal filosofo nel Tractatus logicus-philosophicus – opera che caratterizza tutta la prima fase del suo pensiero. In questo testo del 1922, Wittgenstein si propone di determinare “ciò che intorno al mondo si può dire legittimamente e ciò che invece non si può asserire“. Sebbene il Tractatus nasca dall’intento primario di liberare il linguaggio dai suoi errori, l’opera presenta una complessità tematica che spazia dalla logica a ciò che Wittgenstein chiama il Mistico.
L’incipit del testo, organizzato sistematicamente intorno a 7 proposizioni fondamentali, esprime l’ originale e problematica concezione del mondo dell’autore:

1   Il mondo è tutto ciò che accade.

1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose. […]

2    Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.

2.03 Nello stato di cose gli oggetti sono interconnessi, come le maglie di una catena. […]

2.06 Il sussistere e non sussistere di stati di cose è la realtà.

La realtà, ovvero la rete dei possibili

Per Wittgenstein se il mondo è una rete di relazioni fra oggetti, la realtà è ”lo spazio logico” dei fatti esistenti e dei fatti possibili non esistenti. Essa, la realtà, è presentata fin da subito come qualcosa di più ricco e più complesso di ciò che possiamo constatare coi sensi e siccome la logica è al di là di ogni esperienza, il filosofo le affida l’oneroso compito di delineare le possibili combinazioni di oggetti e di tradurre queste combinazioni in termini formali. Il linguaggio, quindi, deve esprimere non solo la possibilità di un fatto, ma anche e soprattutto la sua effettività in modo rigoroso. Per cui si dice che una proposizione è dotata di senso se descrive un possibile stato di cose e che è vera se lo stato di cose che essa raffigura è anche esistente. 

Il linguaggio dotato di senso secondo Wittgenstein coincide con il linguaggio delle scienze naturali, il cui compito è la descrizione dei fenomeni in generale. Ma accanto al dominio delle scienze, cioè di ciò che è esprimibile in modo chiaro e oggettivo, c’è il vasto ambito di ciò che non può essere formalizzato in maniera rigorosa.

Wittgenstein: i limiti del linguaggio

Inaspettatamente, a metà del Trattato, Wittgenstein mette in luce come l’analisi linguistica riveli soprattutto la limitatezza costitutiva del linguaggio e dischiuda al senso tragico dell’esistenza. Scrive, infatti, il filosofo:

6.41  Il senso del mondo deve essere fuori di esso. […]

6.44 Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è.

6.522 Ma v’è dell’ineffabile. Esso mostra sè, è il Mistico.

La scopo della filosofia è il rischiaramento logico dei pensieri, ma questa attività ”terapeutica” può essere svolta soltanto all’interno del linguaggio stesso. Nessuna proposizione filosofica può porsi al di là delle possibilità logiche del linguaggio, né può rappresentare l’Assoluto, il mondo sub specie aeternitatis. Questo punto di vista globale e assoluto sul mondo coincide con quello che i greci chiamavano thaumàzein, una visione ”meravigliosa” del Tutto chiamata da Wittgenstein Etica (che, proprio alla maniera greca, è ad un tempo anche Estetica).
Viene così tracciata una linea di demarcazione tra la sfera del dicibile e del razionale e l’ambito dell’ineffabile, cioè il Mistico. 

Wittgenstein
M. Rothko, Orange and Yellow, 1956.
Negli ultimi anni della sua vita, Rothko avverte l’esigenza di avvicinare la sua pittura all’esperienza contemplativa. L’artista lavora così ad una serie di tele capaci di offrire allo spettatore l’occasione di smarrire ogni pretesa razionale per perdersi nel silenzio dell’esperienza emozionale del puro colore, ”espressione di una divinità senza Dio.”

Il Mistico: verso un’etica del silenzio

Il Mistico rappresenta una  modalità, alternativa alla logica, di apertura al mondo da parte dell’uomo e rimanda ad un’intuizione del mondo come una totalità finita che implica qualcosa di differente da sé. Il senso del mondo, la sua condizione – ‘che il mondo è, come afferma il filosofo – non può dirsi con gli strumenti della logica.

La comprensione dell’incondizionato è allora affidata allesperienza etico-estetica e religiosa e ad un’intuizione caratterizzata dal silenzio non traducibile linguisticamente.

Le ultime pagine del Tractatus, dunque, testimoniano uno stretto legame del giovane Wittgenstein con il pensiero di Leibniz, di Kant, di Schopenhauer, ma anche di Tolstoj. Attraverso questi autori, il filosofo austriaco si fa portavoce del bisogno di un oltrepassamento che l’uomo manifesta con le sue domande fondamentali ( ”Perchè esiste il mondo anzichè niente?” ) alle cui risposte non può giungere se non ponendosi al di là della parola.

Questo libro, forse, comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi – o, almeno, pensieri simili. […]
Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.

 

Martina Dell’Annunziata

Bibliografia

L. Wittgenstein, Tractatus logicus-philosophicus, a cura di A. G. Conte, Einaudi, Torino 2008.

Fonte media:

l’immagine di copertina è tratta dal sito: http://sapardanis.org/2016/04/02/the-impossibility-of-wittgensteins-ethics-and-a-solution-by-sam-harris/