Come si è detto nello scorso articolo, tra il 1967 e il 1969 escono tre film che possono essere considerati come i manifesti della nuova generazione cinematografica: Il laureato (The graduate, 1967 – Mike Nichols), Gangster Story (Bonnie and Clyde, 1967 – Arthur Penn) e Easy Rider (id., 1969 – Dennis Hopper). Per i temi che trattano (il sesso,la ribellione, la violenza gratuita…) e per gli eroi che propongono (giovani in crisi, hippie e fuorilegge) è evidente che sono dei film che segnano il profondo cambiamento che sta attraversando Hollywood. Tuttavia, non si tratta di una vera e propria frattura con i canoni classici (come, ad esempio, è avvenuto in Europa) ma, facendo proprio riferimento ai tre film citati, si rifanno ai generi hollywoodiani canonici: la commedia, il gangster movie e il western.
Per come sono organizzati i livelli narrativi, di fatto, questi film sono molto più vicini alla linearità classica hollywoodiana che alla modernità europea degli stessi anni.
Lo stesso si può dire dei personaggi: quelli scelti dalla Nuova Hollywood sono ancora dei personaggi dediti all’azione (il protagonista de Il laureato, se anche ha perso gran parte del tempo in attività poco utili, alla fine finalmente sceglie di agire scappando con la donna che ama) e, invece, il nuovo eroe descritto dalla cinematografia europea è dedito all’erranza, allo andare a zonzo senza una meta precisa (si pensi al protagonista di Prima della rivoluzione, 1964 – Bernardo Bertolucci).
Il rinnovo dei generi cinematografici: il western di Sam Peckinpah
Come si è detto, con la Nuova Hollywood, i generi vengono rinnovati e non abbandonati.
Nel dettaglio, prendendo in considerazione il western (che si basa su uno dei miti della fondazione della nazione americana) non si può non notare come questo cambiamento riesce a mettere in discussione uno dei capisaldi delle nazioni unite: l’american way of live.
Se già una “crisi” dell’eroe classico sia stata già preannunciata da western crepuscolari come L’uomo che uccise Liberty Valance (1962 – John Ford) un allontanamento definitivo è rappresentato dal cinema di Sam Peckinpah.
Peckinpah rappresenta il processo di “civilizzazione” del West come una spietata operazione di conquista e di rapina, una vera e propria imposizione violenta delle leggi dell’Est.
Anche se Peckinpah parla del mito della frontiera, i riferimenti all’America di Nixon e alla guerra del Vietnam sono frequenti. La violenza presente ne Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969) ricorda le scene di morte dei servizi giornalistici dedicati al Sud-Est asiatico.
«Quando la gente impreca contro il mio modo di trattare la violenza, in pratica dice: “Non mostratemela, non voglio sapere, e prendetemi un’altra birra dal frigorifero…”. Credo che sia sbagliato, e pericoloso, rifiutare di riconoscere la natura animale dell’uomo»
– Sam Peckinpah
E, ancora, il covo dei fuorilegge di Pat Garrett e Billy the Kid (1973) somiglia a una comune di hippie – non è un caso, infatti, che al film partecipa uno dei protagonisti della contro-cultura come Bob Dylan – in cui Pat Garrett fa irruzione in qualità di sceriffo per uccidere l’ex amico Billy.
Come si può intuire, non solo viene rappresentata la crisi della classicità e dell’idea stessa di America attraverso dei nuovi stili e dei nuovi eroi, ma viene anche preannunciata la fine fallimentare che avrà la rivoluzione stessa[1].
«Mama take this badge off of me
I can’t use it anymore.
It’s gettin’ dark, too dark for me to see»
Bob Dylan – Knockin’ On Heaven’s Door
Cira Pinto
Bibliografia:
– P. Bertetto, Introduzione alla storia del cinema.
– Geoff King, La Nuova Hollywood. Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster.
– Gian Piero Brunetta (a cura di), Il cinema americano II.
– Franco La Polla, Il nuovo cinema americano.
[1] Un fallimento preannunciato anche dagli scritti di H. Marcuse che, nonostante sia stato più volte indicato come uno dei promotori delle ribellioni giovanili, ne ha più volte espresso la sua distanza intellettuale.