La Nouvelle Vague francese, gli autori e gli stili

Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta viene alla luce in Francia un fenomeno cinematografico generazionale: la Nouvelle Vague.

Il termine Nouvelle Vague (nuova onda) appare per la prima volta sul settimanale L’Express, il 3 ottobre del 1957, in un articolo sui giovani francesi firmato da Françoise Girous (e ripreso poi nel febbraio del 1958 nella rivista Cinéma 58).

Si fa molto spesso riferimento a una determinata data (simbolica), il maggio del 1959, per indicare la nascita di questa felice stagione del cinema francese[1]. In quell’anno, al festival di Cannes fanno il loro esordio e vengono accolti calorosamente sia dal pubblico che dalla critica I quattrocento colpi[2] di François Truffaut e Hiroshima, mon amour di Alain Resnais. È una data che, comunque, viene indicata solo per comodità perché una nuova corrente, per quanto possa essere sovversiva, si sviluppa sempre senza tagliare completamente i ponti con tutto ciò che c’è stato prima.

Questi due film, che fungono da manifesto, sono tuttavia in grado di rappresentare bene gli indirizzi e le strade (per certi versi anche antitetiche) perseguite da tutto il gruppo. Nella Nouvelle Vague stessa, infatti, vi è una grande varietà di stili e di poetiche che si ritrovano insieme solo perché hanno una comune idea di cinema: essi ne intendono reinventare completamente l’estetica, l’etica e anche la morale.

I caratteri stilistici degli Autori della Nouvelle Vague francese

Questi “giovani turchi” (battezzati così dalla stampa a causa della loro giovane età e dalle loro idee rivoluzionarie), si ispirano al cinema del realismo poetico francese (Vigo, Renoir, Bresson) e si riuniscono e allenano per molti anni scrivendo per riviste specializzate, nei cineclub e nella Cinemateque Françaises prima di rapportarsi effettivamente con la macchina da presa, dando vita a una nuova e fruttuosa sintesi tra Teoria e Pratica del cinema. Teoria e Pratica, adesso, diventano inseparabili: la teoria diventa pratica (molti sostituiranno l’apprendistato dietro alla macchina da presa con l’attività di critico) e la pratica diventa teoria.

La critica cinematografica non è più solo una disquisizione tra amici ma diventa un vero e proprio lavoro che trova spazio e si specializza nei Cahiers du Cinéma, la quale diventa la più autorevole rivista cinematografica francese e che potrà vantare tra i suoi collaboratori tutti i principali esponenti della Nouvelle Vague.

nouvelle vague

D’ora in poi, il regista, deve essere in grado di sentire il film che produce come il frutto della sua visione del mondo.

Bazin è stato il primo a dotare di fondamenti teorici il concetto di mise en scene: il nuovo autore cinematografico (imitando i maestri del Neorealismo italiano) deve essere in grado di scendere per strada e cogliere la realtà fenomenica. La maggior parte dei film girati tra il 1958 e il 1962 vengono, infatti, girati per la maggior parte in strada (capita spesso di riconoscere soprattutto le strade parigine) e le immagini della realtà vengono raccolte per essere mischiate con la finzione filmica.

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La Nouvelle Vague, inoltre, è anche caratterizzata da un attento studio del ritmo (e quindi del Tempo cinematografico): da un lato lo si dilatava grazie all’uso del piano-sequenza (teorizzato da Bazin), dall’altro si contraeva grazie a un montaggio che diventa sempre più libero dalle regole del decoupage classico e dal cinema narrativo (attenzione, non seguire le regole non significa non conoscerle affatto, ma in questo caso significa elevare l’errore grammaticale a segno poetico). Con Truffaut, Rohmer, Chabrol e Godard vengono meno i raccordi e spariscono i controcampi.

C’è da aggiungere, comunque, che gran parte dei film della Nouvelle Vague non sono stati girati in presa diretta: ciò è spiegato dal fatto che i registi sentivano la necessità di avere massima libertà nella fase di ripresa e quindi utilizzavano cineprese leggere (l’unica cinepresa leggera in 35mm allora esistente era la Camiflex, che non era in grado di registrare in sincrono immagini e suoni). Non veniva utilizzata una cinepresa a 16 mm (come la Arriflex o la Eclair-Coutant) perché «l’attacco frontale alla cittadella del cinema doveva avvenire dall’interno» e non con le tecniche semi-professionali del cinema veritè o del direct cinema americano.

Tuttavia, nella seconda metà degli anni Sessanta, dopo le forme libere degli esordi, si comincerà a tornare a plot più strutturati e che perseguono determinati generi narrativi (soprattutto thriller e fantascienza) ad esempio: La sposa in nero (1967) e Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut oppure Alphaville (1965) di Godard. Tutto ciò comporterà che i registi della Nouvelle Vague, in questo determinato periodo storico, si allontaneranno dalla realtà e perderanno i diversi appuntamenti che avrebbero potuto avere con la storia contemporanea.

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Nonostante ciò, la Nouvelle Vague riesce a influenzare la cinematografia di mezzo mondo e in breve nascono nuove onde in Gran Bretagna, Germania, USA, Brasile, Italia, Svezia, ecc.

Non meno importante sarà poi il forte impatto teorico che hanno le tesi di Bazin riguardati lo studio dell’arte cinematografica le quali influenzeranno, inevitabilmente, tutti gli studi e le teorie sul cinema successive.

Cira Pinto

Bibliografia:

·         Introduzione alla storia del cinema, Paolo Bertetto.

·         Bazin, che cos’è il cinema.

·         Godard, il cinema è il cinema.

·         Storia del cinema mondiale, Gian Piero Brunetta.

[1] Bisogna sottolineare il fatto che la nouvelle vague non è una corrente cinematografica che ha interessato esclusivamente la Francia, ma ha investito gran parte della cinematografia mondiale sviluppando diversi “focolai”.
[2] Il film è dedicato alla memoria di André Bazin, una figura di fondamentale importanza per Truffaut.