L’inno “Prometeo” di Goethe: l’analisi

L’inno “Prometeo” di Goethe affronta l’eterno conflitto tra il poeta “creatore” e Dio, inteso dall’autore tedesco come forza creatrice suprema.

“Prometeo”, l’ultimo inno prima di Weimar

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Jean-Louis-Cesar Lair, La tortura di Prometeo

A quasi trent’anni, fra il 1773 e il 1774, un giovane e appassionato Goethe, che ancora risentiva dell’influenza dei valori e dei principi del movimento dello Sturm und Drang, compone un inno destinato a illustrare anche in seguito la lotta senza fine tra il poeta/genio e una divinità creatrice suprema.

La scelta del titolo e della “voce narrante” non è casuale: Prometeo, infatti, è una delle figure principali dello Sturm und Drang. Egli incarna il coraggio dei sentimenti, la determinazione, la forza delle passioni: secondo il mito, il suo amore per l’umanità l’ha condotto, contro il volere divino, a rubare il fuoco e a donarlo agli uomini.

Inoltre, in questo componimento Goethe affronta anche un altro tema, molto delicato e particolarmente sentito dai suoi contemporanei sturmunddranghiani, ossia il difficile rapporto dell’intellettuale con la religione.

L’importanza del componimento

Nemo contra Deum nisi Deus ipse.

Nessuno contro Dio se non Dio stesso.

(Johann Wolfgang von Goethe, Dalla mia vita. Poesia e verità)

Quando lo scrittore originario di Francoforte sul Meno compose tale inno, egli aveva in mente un dramma che celebrasse l’eroe della tragedia di Eschilo, purtroppo mai completato.

Nonostante ciò, questo componimento è importante non solo perché offre al lettore un’inedita espressione del periodo sturmundranghiano di Goethe, ma anche perché l’autore, attraverso le due figure mitiche di Prometeo e Giove, affronta temi differenti e contemporaneamente profondamente sentiti, specialmente nel periodo che precede il trasferimento a Weimar. Ciò che in primo luogo si può notare è il fatto che questo inno non si ponga in nessun modo come un’ode a Giove, bensì rappresenti un atto di ribellione nei confronti di quest’ultimo.

L’atto di ribellione di Prometeo

Prometeo insorge non solo contro la divinità suprema, ma anche contro tutto ciò che questa rappresenta ai suoi occhi: inganno, falsità, menzogna:

Miseramente nutrite

d’oboli e preci

la vostra maestà

ed a stento vivreste,

se bimbi e mendichi

non fossero pieni

di stolta speranza.

(J. W. von Goethe, Prometeo, strofa II, vv 15-21)

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Heinrich Friedrich Füger, Prometeo ruba il fuoco

Qui Goethe, che si rivede e si rispecchia nella figura dell’eroe della mitologia greca, sfida apertamente Giove, ponendosi al suo stesso livello e rivelando contemporaneamente la sua forte tendenza all’autodeterminazione e all’indipendenza nei confronti della divinità.

Quindi, Goethe/Prometeo si oppone a colui che il filosofo inglese Shaftesbury – che nella sua opera del 1710 Advise to an Author, letta e commentata da Goethe, riprende la figura di Prometeo – definisce un creatore supremo che vuole imporre la sua volontà al poeta (a second maker). Già dalla prima strofa si può leggere dell’atto di insubordinazione e di ribellione del giovane Goethe/Prometeo nei confronti di Giove, invidioso della forza creatrice del suo “subordinato”:

Ché nulla puoi tu

Contro la mia terra,

contro questa capanna,

che non costruisti,

contro il mio focolare,

per la cui fiamma tu

mi porti invidia.

(J. W. von Goethe, Prometeo strofa I, vv 6-12)

La “fiamma” dello Sturm und Drang

È importante notare come molte volte Goethe in questo componimento utilizzi la parola “fiamma” e tutte quelle che si riferiscono al suo campo semantico. Ciò non avviene per puro caso: il riferimento al fuoco, a ciò che brucia, arde è tipico dei componimenti degli autori dello Sturm und Drang che, più di tanti altri intellettuali e scrittori, sentono divampare dentro di loro la scintilla della creazione poetica.

La presa di coscienza

Abbandonati i sogni che “fiorirono della mia infanzia” e placate quelle angosce e quegli affanni tipici della giovinezza (basti pensare, ad esempio, al contemporaneo I dolori del giovane Werther), quasi successivamente a una sorta di presa di coscienza, Prometeo decide di ribellarsi a Giove creando un nuovo genere umano  che non viva più nella paura della “tracotanza dei Titani”, della “morte” e della “schiavitù” e che si affidi solo al “sacro ardente cuore”.

Solo questa fiamma renderà possibile la nuova stirpe creata “a mia immagine e somiglianza” e “fatta per soffrire e per piangere, / per godere e gioire”. Un vero e proprio inno alla vita, dunque, che Prometeo contrappone alla sterilità e all’aridità delle divinità:

Io non conosco al mondo

nulla di più meschino di voi, o dèi.

(J. W. von Goethe, Prometeo, strofa II, vv 13-14)

Diverse divinità, stesso destino

Nonostante ciò, Prometeo è consapevole del fatto che lui e tutte le divinità sono legate e sottomesse ad una forza ancora più potente, ossia all’azione del tempo onnipotente e dell’eterno destino. Ed è a quel carattere divino che Prometeo (e con lui Goethe) si sente legato:

Non mi fecero uomo

Il tempo onnipotente

E l’eterno destino,

I miei e i tuoi padroni?

(J. W. von Goethe, Prometeo, strofa VI, vv 42-45)

Pia C. Lombardi

Bibliografia

Eschilo, Goethe, Shelley, Gide, Pavese, Prometeo. Variazioni sul mito, Marsilio, 2012