Pensiero poetante e poesia pensante in Leopardi

pensiero poetante
“Il pensiero poetante” di Antonio Prete

“Il pensiero poetante” è il titolo di un saggio di Antonio Prete sull’opera e sul modus operandi di Giacomo Leopardi. Il saggio compie un’analisi del laboratorio labirintico del poeta di Recanati partendo dallo Zibaldone; analisi centrale del saggio è, come suggerisce il titolo, il rapporto che sussiste tra poesia e filosofia.

Ne “Il pensiero poetante” Antonio Prete mostra come il pensiero leopardiano sia animato nelle sue forme dall’esperienza poetica, e questa esperienza abbia una forte energia conoscitiva. 

L’immaginazione

Nel pensiero leopardiano il discorso sulla separazione tra poesia e filosofia è la constatazione di un processo in atto che non intacca l’istanza della loro unità: poesia e filosofia sono due attività che si muovono sulla stessa scena con l’immaginazione, che scandisce il loro rapporto; il privarsi di essa produrrebbe un’insanabile divaricazione deleteria per entrambe le attività. Anche nelle riflessioni e negli appunti prosastici dello Zibaldone sussiste il linguaggio poetico.

Al di qua dei procedimenti linguistici, Leopardi è consapevole che il poeta e il filosofo possono scambiarsi i ruoli, e l’immagine può apparire propria della filosofia, come l’analisi può apparire propria della poesia. Parlando del poeta si parla del filosofo, e che Leopardi fosse consapevole dell’unità delle due attività, poetica e filosofica, si ricava chiaramente dello Zibaldone:

 “Or questo è tutto il filosofo: facoltà di scoprire e conoscere i rapporti, di legare insieme i particolari, e di generalizzare.”

Mentre una tradizione classicista aveva lavorato a riportare la poesia nello spazio “naturale” dello stile – tecnica, retorica, modelli – relegando fuori dalla poesia la “novità” del pensiero: riduzione ed esclusione fondate sull’equivoco d’una separazione tra stile e pensiero, d’una formalizzazione assoluta del fare poetico.

 “chiunque non sa immaginare, pensare, sentire, inventare, non può né possedere un buono stile poetico, né tenerne l’arte, né eseguirlo, né giudicarlo nelle opere proprie né altrui.”

Leopardi ritiene ogni fissazione in “facoltà” esclusive, che ha come primo risultato di scoprirsi insufficiente nell’interpretazione della natura: in gioco è proprio l’interpretazione della natura nel pensiero illuminista e leopardiano. È in questo orizzonte che vanno a definirsi il discorso simbolico e il problema della conoscenza.

Come nella critica alla civiltà e del rapporto con il sapere degli antichi, anche nel pensiero poetante, nell’intreccio di poesia e filosofia, per Leopardi ha un ruolo fondamentale l’immaginazione.

“Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d’illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l’immenso sistema del bello, chi non legge o non sente, o non ha mai letto o sentito i poeti, non può assolutamente essere un grande, vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un filosofo dimezzato…non conoscerà mai il vero … L’analisi delle idee, dell’uomo, del sistema universale degli esseri, deve necessariamente cadere in grandissima e principalissima parte, sulla immaginazione, sulle illusioni naturali, sul bello, sulle passioni, su tutto ciò che v’ha di poetico nell’intero sistema della natura… La detta analisi in ordine alla filosofia, dev’esser fatta non già dall’immaginazione o dal cuore, bensì dalla fredda ragione che entri ne’ più riposti segreti dell’uno e dell’altra. Ma come può far tale analisi colui che non conosce perfettamente tutte le dette cose per propria esperienza, o non le conosce quasi punto? La più fredda ragione benché mortal nemica della natura, non ha fondamento né principio, altro soggetto di meditazione speculazione ed esercizio che la natura. Chi non conosce la natura, non sa nulla, e non può ragionare, per ragionevole ch’egli sia. Ora colui che ignora il poetico della natura, ignora una grandissima parte della natura, anzi non conosce assolutamente la natura, perché non conosce il suo modo di essere.”

pensiero poetanteNel cammino della conoscenza di “penetrare nel sistema della natura” la sola ragione non basta. L’analisi è sì una categoria della ragione, ma una ragione che non muove da un soggetto di passioni e di contraddizioni è “fredda”, scorporata, congelata nella sua autosufficienza; la sua analisi non può che frantumarsi sulla complessità della natura.

Sulla scena della riflessione leopardiana Natura e Ragione sono in opposizione, e tuttavia la ragione non ha altro fondamento né principio, altro soggetto di meditazione, speculazione ed esercizio che la natura. Conoscere la natura vuol dire conoscere anche il suo “modo di essere”, cioè il “poetico” della natura,; solo immaginazione e passione rendono possibile tale conoscenza.

Opponendosi alla visione illuminista, si dichiara l’insufficienza della ragione nella conoscenza della natura, e ciò implica che l’aprirsi di tale scontro ha al centro la difesa del simbolico, dei diritti del simbolico, diritti che nella topica del sapere moderno sono contenuti nel nome della poesia, al di là della sua riduzione a “genere” di scrittura, o ad attività propria del ruolo sociale del letterato poeta.

Per Leopardi la filosofia diverrebbe sterile se abbandonasse il “poetico”. E il tema dell’abbandono del poetico ha nello Zibaldone una rilevanza diversa da quella giocata nella polemica col carattere raziocinante della filosofia moderna. L’abbandono del poetico intende la caduta, nella civiltà, del potere delle illusioni, lo spegnersi di passioni forti e vive, la morte delle favole antiche e addirittura la morte di Dio: il pensiero negativo di Leopardi si configura in un continuo racconto della crisi del moderno, in uno sguardo sull’assenza e sull’abisso.

Con abbandono del poetico si intende uno stato di distanza dalla natura, uno stato di chiusura nell’autosufficienza della ragione filosofica, ed è contraddittorio con il compito stesso di tale ragione, cioè conoscere la natura. Tolto il “meccanismo del bello” al sistema della natura, si finisce per ragionare su un sistema dimezzato, non intero. Lo scorporamento dei rapporti, l’abbandono del poetico, la ricomposizione parziale del sistema della natura sono le connotazioni di una filosofia che si presenta come fredda proiezione della ragione.

L’autonomia della ragione è anch’essa un’illusione, una cattiva illusione a cui è legata quella del “preteso perfezionamento dell’uomo mediante la perfezione della ragione e della filosofia”: se la perfezione è perseguita attraverso l’astrazione dei rapporti, essa non è per l’uomo, ma contro l’uomo. È allora ben difficile trovare un vero e perfetto filosofo. Perché è difficile che la filosofia si sappia rapportare alla poesia: eppure questo rapporto è la sola condizione perché la ragione non sia contro l’uomo. Nel seguito delle sue osservazioni, Leopardi ci ha fornito nello Zibaldone l’abito del “vero filosofo”:

“È del tutto indispensabile che un tal uomo sia sommo e perfetto poeta; ma non già per ragionar da poeta; anzi per esaminare da freddissimo ragionatore e calcolatore ciò che il solo ardentissimo poeta può conoscere. Il filosofo non è perfetto, s’egli non è che filosofo… La ragione ha bisogno dell’immaginazione e delle illusioni ch’ella distrugge; il vero del falso; il sostanziale dell’apparente…la geometria e l’algebra della poesia ec.”

Pensiero poetante

Ciò che richiede il tempo della crisi non è né l’invocazione della filosofia, di una nuova filosofia, né della poesia, di una nuova poesia: esso richiede piuttosto l’incontro tra pensare poetante e poesia pensante, perché è in gioco un dominio del simbolico.  Il percorso leopardiano intreccia ricerca poetica e tormento spirituale, nel quale la poesia, pur con tutte le sue ombre, appare forse l’unica strada per raccontare il mistero della natura. Leopardi ha ben chiara l’affinità tra poesia e filosofia, ed elogia il loro scambievole rapporto. Tra gli appunti dello Zibaldone esprime l’importanza dell’una per l’altra, anche se la filosofia muove verso il vero mentre la poesia verso il bello:

 “È tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quale cerca p. sua natura e proprietà il bello, e la filosofia ch’essenzialmente ricerca il vero, cioè la cosa più contraria al bello; sieno le facoltà le più affini tra loro, tanto che il vero poeta è sommamente disposto ad essere gran filosofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta, anzi né l’uno né l’altro non può essere nel gener suo né perfetto né grande, s’ei non partecipa più che mediocremente dell’altro genere, quanto all’indole primitiva dell’ingegno, alla disposizione naturale, alla forza dell’immaginazione. Le grandi verità,..non si scuoprono se non per un quasi entusiasmo della ragione… sì la poesia, come la filosofia sono del pari le più sfortunate e dispregiate di tutte le facoltà dello spirito. Tutte le altre dànno pane, molte di loro recano onore anche durante la vita, aprono l’adito alla dignità ec.: tutte l’altre, dico, fuorchè queste, dalle quali non v’è a sperar altro che gloria, e soltanto dopo la morte”.

Il dialogo tra pensare e poetare, il cosiddetto “pensiero poetante”, comporta in Leopardi lo smembramento del potere di una ratio che, spossessandosi delle passioni e delle illusioni, pretende di perseguire una perfezione della civiltà in nome di un “perfezionamento dell’uomo”. La critica della ratio per il recanatese è la critica di un modo di conoscenza che va profilandosi come forma di potere, dunque esclusivo, scorporante, oppressivo.

La critica della ragione, in nome del pensare poetante e della poesia pensante, è da lui condotta nell’orizzonte della interpretazione della natura. Nello scenario di questa critica compaiono le figure dell’“antico”, il sapere della morte, figure di un discorso che va oltre la linea del Settecento illuminista, e fanno della scrittura leopardiana una critica permanente delle forme del potere.

Tali osservazioni riguardo al pensiero poetante possono parere eccessive nel confronto coi testi leopardiani, ma le domande che investono un frammento provengono da altri frammenti: un testo non è mai chiuso in una scrittura come quella dello Zibaldone, che si tiene sempre lontana dalla trattazione definitiva, dall’ambizione del sistema, dell’opera come cerchio concluso.

Maurizio Marchese

Fonti:

Antonio Prete, Il pensiero poetante – saggio su Leopardi, Feltrinelli, Milano 1980.

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, Biblioteca Donzelli, Roma 2014.