Il popolo italiano nella riflessione di Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi, il più grande poeta italiano dell’Ottocento, è apprezzato e amato in tutto il mondo per aver saputo infondere, tanto nei versi quanto nella prosa, la sua profonda visione della vita. Tra gli straordinari scritti, costantemente soggetti a revisioni e interpretazioni in ogni angolo del globo, spicca un Discorso davvero singolare sugli usi e i costumi del popolo italiano. Questo, probabilmente redatto tra il 1824 e il 1827,  sembra ancora oggi poterci dire molto sulla storia del nostro popolo e sulla nostra identità nazionale.

Il valore storico e letterario del Discorso di Leopardi

Leopardi
La copertina del Discorso

Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, tra l’altro rimasto incompiuto, può essere considerato un vero e proprio documento storico. Infatti esso ritrae l’Italia dell’epoca a partire dagli eventi che interessarono l’Europa del primo Ottocento. Mentre in Europa iniziavano a prendere vita i primi movimenti di indipendenza, in Sicilia, Napoli e Piemonte i moti degli anni ‘20 si rivelarono un fallimento. L’opinione di Leopardi a riguardo non  lascia spazio a fraintendimenti. Egli attribuisce a tale insuccesso cause ben precise: la scarsa predisposizione degli italiani a comprendersi e conoscersi l’un l’altro, la mancanza di  amor nazionale.

La riflessione del filosofo, però, si inserisce anche al centro di un dibattito che coinvolse tutti i maggiori letterati dell’epoca, cioè la polemica tra classicisti e romantici. La polemica fu sollevata da un articolo in cui Madame de Staël sosteneva l’incapacità degli intellettuali italiani di aprirsi alle novità della letteratura straniera, in quanto eccessivamente legati alla loro tradizione. Il poeta, mettendo in risalto il valore degli antichi e della loro straordinaria indole creativa, difendeva la  tradizione letteraria italiana. D’altra parte, anche nel Discorso in questione, Leopardi non manca di riconoscere l’assenza di una letteratura nazionale moderna, che nelle altre nazioni ha avuto invece un ruolo strategico, divenendo, a suo dire, fonte di conformità di opinioni, gusti, costumi, maniere e caratteri individuali.

L’importanza della società stretta

Leopardi
Giacomo Leopardi nel ritratto di A. Ferrazzi

Per Leopardi tanto la scarsa fantasia, che non favoriva la letteratura moderna, quanto la scarsa coordinazione, responsabile dell’insuccesso delle insorgenze, erano ascrivibili alla mancanza di una società stretta. Infatti a seguito della dissoluzione dei principi sociali, che egli attribuiva alla civilizzazione, gli altri popoli europei erano riusciti ad ammortizzare la crisi e a preservare un equilibrio interno. La soluzione escogitata era appunto la nascita di queste piccole società che, pur avendo per fine il diletto, accrescevano il senso di comunità e appartenenza al luogo. Con l’espressione “società stretta” Leopardi sembra riferirsi a quella cerchia di uomini che non debbono affannarsi nel lavoro per vivere e, anzi, hanno bisogno di colmare il vuoto delle loro noiose giornate. Si tratta di piccoli gruppi di persone che intrattengono tra loro rapporti esclusivi. Il poeta infatti scrive:

Per mezzo di quella società più stretta, le città e le nazioni intiere […] divengono quasi una famiglia, riunita insieme per trovare nelle relazioni più strette e più frequenti che nascono da tale quasi domestica occupazione, un pascolo, un intrattenimento alla vita.

I benefici che scaturiscono da tali aggregazioni sono davvero molteplici, poiché la società stretta detiene quei valori che risultano rappresentativi anche per coloro che ne sono esclusi. D’altra parte essa accresce la stima reciproca, favorisce una maggiore cognizione dell’altro e arriva a sostenere l’idea che tutte queste cose risultino importanti per il raggiungimento della felicità. Leopardi afferma:

Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.

Senza l’amor proprio, che si acquisisce solo per mezzo della conversazione con l’altro e dall’emulazione che ne deriva, la società stessa si predispone a diventare sede di odio e disunione.

Il popolo italiano tra cinismo e scarsa immaginazione

Per Leopardi l’immaginazione e il valore che per natura attribuiamo alla vita viene inevitabilmente meno quando l’uomo vive in uno stato di perenne solitudine. È proprio a partire da questa condizione che Leopardi analizza i caratteri peculiari del popolo italiano, riscontrandovi anche delle differenze interne. L’assenza di società stretta comporta la mancanza di vincoli e la predisposizione a vagare per conto proprio senza alcuna prospettiva di incontro, fatta eccezione per la messa, gli spettacoli o il passeggio. Il popolo italiano risulta inoltre essere poco filosofo per intelletto e molto per ciò che concerne la pratica. Dediti al presente e amanti dei proverbi, gli italiani non si preoccupano del futuro e ancor meno dell’opinione pubblica, che “lascia il tempo che trova”. In Italia non vi sono costumi ma solo usi, che tra l’altro vengono portati avanti per abitudine e non per una reale credenza.

Leopardi arriva così a definire quello degli italiani il più cinico dei popolacci, ma traccia  anche una distinzione netta tra i settentrionali e i meridionali.  Se infatti nell’antichità l’immaginazione faceva in modo che fosse il Sud a dominare, grazie alla maggiore forza d’animo, oggi paradossalmente sono i settentrionali a conservare un residuo di immaginazione, perché più inclini a farsi padroneggiare. A fronte di ciò, è indubbio che si siano fatti dei progressi per quel che riguarda l’identità nazionale, ma la riflessione rimane aperta sul perché alcune caratteristiche che Leopardi attribuiva al popolo italiano, come il disincanto, il cinismo e il disinteresse per l’opinione pubblica, siano riscontrabili ancora oggi e si siano addirittura consolidati nel corso dei secoli come dei veri e propri stereotipi.

Giuseppina Di Luna

Bibliografia

Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, ed. Bur Milano 2012.