Nome in codice: Caesar – un reportage dalla Siria

Nome in codice: Caesar, la mostra fotografica che ha aperto gli occhi al mondo sulla situazione siriana è arrivata a Napoli. Dal 16 al 18 nella Sala delle terrazze al Castel dell’Ovo è stato possibile vedere alcune delle 55000 foto effettuate dal 2011 al 2013 nel lager del regime di Bashar Assad. L’esposizione è patrocinata dal Comune di Napoli e dall’Università degli studi di Napoli l’”Orientale”, promossa da Amnesty International, FNSI, FOCSIV, Articolo 21, UniMed e Un ponte per…, con la collaborazione della FUCI di Napoli e degli Studenti Unior pro Rivoluzione Siriana.

Alla conferenza d’apertura, avvenuta nella sede della Fuci di Napoli, sono intervenuti Mazen Alhummada, ex prigioniero sopravvissuto alle torture, Tina Marinari di Amnesty International, Nino Santomarino del FOCSIV, Fouad Roueiha, giornalista italo – siriano, Sami Hassad, esperto di lingua araba presso l’Università Orientale, Filomena Annunziata della Fuci e Chiara Cetrulo di Studenti Unior pro Rivoluzione Siriana. Ha moderato Germano Monti del Caesar Team Italia.

Chi è Caesar?

Caesar è il nome, appunto, in codice che nasconde l’identità di un ex fotografo della polizia militare di Damasco. Dal 2011, con l’inizio della Primavera Araba, il lavoro di quest’uomo è consistito nel documentare i risultati delle torture effettuate dal regime.

Nel 2013 Caesar riesce a espatriare e porta con sé, su una chiavetta, tutte le immagini. Le associazioni per i diritti umani che le hanno esaminate sono riuscite a riconoscere almeno 7000 vittime. Le foto erano accompagnate da un cartellino con tre numeri, ovvero la data, il codice del braccio della prigione e il numero del corpo.

L’arrivo della mostra in Italia è stato travagliato: l’intenzione di esporre le foto nelle sale della Camera dei Deputati è stata bloccata dall’On. le Laura Boldrini e dagli stessi Uffici del Senato. L’informazione e il messaggio portato dall’esposizione, fortunatamente,  hanno avuto il via libera in ottobre a Roma e, adesso, a Napoli. L’obiettivo non è da poco, la sola vista delle foto fa cadere ogni velo su ciò che davvero accade e fa sì che non si possa più rimanere indifferente, oltre a costituire una prova al di fuori di ogni dubbio.

Dagli ultimi anni ad oggi: la conferenza

conferenza-caesarIl primo a intervenire è Germano Monti che racconta appunto la storia di Caesar e l’utilità che le sue foto hanno avuto nell’intentare poi i processi contro il regime di Assad.

Presente è l’intervento dei ragazzi, Filomena Annunziata e Chiara Cetrulo danno l’idea di quanto sia in potere per ognuno di noi l’agire per cambiare le cose. Come specifica Annunziata: «I tempi sono maturi per organizzare qualcosa di concreto qui a Napoli!».

Chiari e precisi i dati forniti da Amnesty International, le cui azioni al momento si focalizzano su quattro punti: embargo delle armi, salvaguardia civile, congelamento dei conti bancari della famiglia Assad e invio di osservatori internazionali.

Specifica poi Nino Santomarino: «Sono stati inviati oltre 2000 volontari internazionali. Gli interventi sui territori sono molto delicati e la sensibilizzazione è importante. Su questo qui in Italia dobbiamo fare la differenza, dato che c’è anche una politica molto disattenta». Interessante e chiaro il discorso del professor Sami Hassad, il quale racconta la propria esperienza negli anni 80 durante la manifestazione di Hama. Nonostante la disillusione riguardo un reale cambiamento, dato che dopo trent’anni certe situazioni tornano a ripetersi, la speranza che un cambiamento possa avvenire c’è.

Ribadisce Fouad Roueiha: «Questa guerra prima o poi dovrà finire!». Il giornalista racconta anche dell’appello inviato al primo ministro Gentiloni dai giornalisti di Articolo 21, Grai e Associazione Stampa Italiana per inviare aiuti in vista degli eventi degli ultimi giorni ad Aleppo. La risposta dei giornalisti siriani è significativa: chiedono in particolare il materiale per continuare a documentare ciò che sta avvenendo.

Il coraggio in una testimonianza

Arrestato mentre cercava di portare del latte in polvere in un sobborgo sotto assedio di Damasco, Mazen Alhummada fu arrestato con i nipoti dai servizi segreti dell’aeronautica. Dopo la tipica “festa di benvenuto”, consistente nell’essere picchiati a lungo, sono stati spogliati completamente dei vestiti; qui potrebbero tornarci vivamente in mente altri lager e altri stermini che il mondo, disgustato, aveva promesso non sarebbero più accaduti.

Mazen racconta le torture, l’igiene inesistente, prigioni che rappresentano una violazione dei diritti umani anche solo per le dimensioni: in 12 mx6 m vi erano 200 persone, in 110 cmx110 cm erano stipati 10 esseri umani.  La testimonianza di quest’uomo si fa sentire anche alla mostra, ove spiega le foto esposte, ci fa comprendere come quelle persone sino morte, quello che hanno subito.

Afferma Mazen Alhummada: «il mio pensiero è stato quello che avevo una missione, avevo promesso ai miei compagni di prigionia di rivelare quello che accadeva. Appena uscito di prigione ho cercato di mettermi in contatto con le organizzazioni per i diritti umani, con le grandi tv panarabe, tuttavia quando sono uscito di galera quello che ho trovato dopo un anno e sette mesi era un paese distrutto, il regime aveva bombardato il paese. Era anche arrivato l’Isis».

Se quest’uomo ha trovato il coraggio di denunciare e rivivere ogni orrore affinché noi sapessimo, se Caesar ha rischiato la vita per divulgare quelle foto, se moltissimi altri, tra cui i giornalisti, affrontano pericoli e sofferenze per urlare al mondo ciò che accade, il minimo che noi possiamo fare è ascoltare quelle voci, comprendere e, soprattutto, agire.  Conclude Mazen: «il diritto del popolo siriano a non morire con le braccia conserte è qualcosa che è garantito dalla Torah, dal Vangelo, dal Corano nonché dal Diritto Internazionale».

Francesca Lomasto