Carlo Emilio Gadda: il plurilinguismo gaddiano

Uno stile sorprendente

Ciò che prima di ogni altra cosa colpisce il lettore delle opere di Gadda, lasciandolo sbalordito e affascinato, è il suo stile straordinario: Gadda non usa la lingua della comunicazione corrente, ma un linguaggio originale e personalissimo, definito dalla critica “plurilinguismo gaddiano”.

Esso è il risultato dalla mescolanza di molteplici ingredienti: i dialetti (il milanese, il vernacolo fiorentino, il napoletano, il romanesco…), il linguaggio quotidiano standardizzato, i gerghi, la terminologia delle scienze e delle tecniche, i vocaboli arcaici ed aulici. Non mancano citazioni letterarie dalla letteratura latina (soprattutto catulliane) e dalla letteratura italiana (in particolar modo Parini), parole straniere (francesi, spagnole, tedesche, inglesi) e neologismi coniati dallo scrittore stesso.

I vari livelli linguistici non solo coesistono ma si mescolano e si intrecciano sistematicamente nella pagina dando vita ad un linguaggio completamente inedito.

Richiami cinquecenteschi

Il linguaggio gaddiano è stato accostato, da una parte della critica, alla lingua maccheronica del ‘500 che aveva una funzione di rottura nei confronti delle istituzioni letterarie. Alcuni critici e, in particolar modo, Gianfranco Contini sostengono l’esistenza di una presunta linea lombarda che andrebbe dai maccheronici, agli scapigliati e infine a Gadda, considerato un raffinatissimo funambolo della parola.

Che cos’è il plurilinguismo?

Per non restare fermi alla teoria, prendiamo un breve esempio tratto da “L’Adalgisa”:

“Lo stomaco era tutto messo in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e peptonizzare l’ossobuco” [1]

In una singola frase possiamo individuare un’espressione dialettale lombarda (“andava dietro”), termini di ambito scientifico (“ameboide”, “peptonizzare”) e un termine vernacolare toscano (“giulebbe”). Possiamo inoltre riconoscere un termine arcaico e prezioso (“mantrugiare”).

Un’accumulazione caotica

Oltre alla mescolanza di vari elementi linguistici, tipicamente gaddiano è il processo dell’accumulazione caotica, ovvero lunghe elencazioni di realtà tra loro disparate.

Per esempio:

“Non voleva ancora ridursi a credere che il proprio mondo e i cavalli e le case e i cigni de’ giardini e le bimbe; che le guardie, i generali, i paralitici, i sacerdoti, i biglietti da cento, gli scrittori celebri, le pere e i capistazione e la prosa degli scrittori celebri, e tutto, sia proprio tutto un brutto sogno.” [2]

Gioco metaforico e gusto per la deformazione

Non manca un gioco pirotecnico di metafore, di paragoni bizzarri, improbabili ed eccentrici. Ad esempio il campanile che “ lascia cadere sull’asfalto notturno i dodici goccioloni di bronzo, fesso”.

È proprio la mescolanza e l’accumularsi di diverse tecniche stilistiche ad esprimere il gusto per lo sperimentalismo linguistico che rappresenta la principale cifra stilistica gaddiana, a cui si aggiunge il gusto per la deformazione delle parole (di ispirazione barocca) caricandole di doppi sensi e di allusioni e per l’espressionismo linguistico.

Lo stile gaddiano: puro virtuosismo?

Naturalmente, il linguaggio e lo stile di Gadda non sono puri artifici formali fini a se stessi; la scrittura gaddiana, infatti, rispecchia fedelmente il complicato e traumatico rapporto dell’autore con la realtà e la sua complessa visione del mondo che sfociano in una vera e propria filosofia, lucidamente elaborata dall’autore.

Aspirazione all’ordine ma

Paradossalmente, alla base della scrittura gaddiana vi sono una forte aspirazione all’ordine e un’esigenza di chiarezza, probabilmente derivanti dalla formazione tecnico-scientifica dell’autore, definito “l’ingegnere della letteratura”. La sua intenzione costruttiva si esprime soprattutto nella volontà ( o meglio, nel bisogno) di rifarsi ai modelli illustri del romanzo ottocentesco.

Ispirazione ottocentesca ma

Gadda nutriva, infatti, una sconfinata ammirazione per Alessandro Manzoni e per Émile Zola. Non a caso, questi due autori sono perfetti esempi di scrittori di opere compatte, ordinate, con eroi centrali, intrecci solidi e narratori onniscienti che, conoscendo pensieri e sentimenti dei propri personaggi, li guidano e li indirizzano nel corso della vicenda, spesso ritagliandosi degli spazi per esprimere la propria visione delle cose e ripristinare l’ordine perduto, esprimendo una visione organica del mondo.

Gadda aspirava alla composizione di un romanzo “ben fatto” (aspirazione che non si evince soltanto dalle sue opere ma che è stata anche confermata da varie dichiarazioni dello scrittore) ma il suo rapporto sofferto e tragico con la realtà gli impediva di realizzare i suoi propositi.

Il mondo come “pasticcioil-caos-03-1000

Per Gadda la stessa ricerca dell’ordine è, di per sé, impossibile: il mondo è un “pasticcio”, ovvero caos puro, un garbuglio, un gomitolo inestricabile (per utilizzare un’espressione cara al Manzoni “la storia è guazzabuglio”) come un vortice di concause convergenti che non si lasciano comprendere.

Essendo il mondo in preda al male assoluto, è impossibile individuare la causa originaria della sua degenerazione. Gadda, infatti, rifiuta la concezione aristotelico-kantiana della causa originaria (o causa prima).

Un caos anche narrativo

Nelle opere gaddiane, il disordine della realtà si manifesta nell’esplosione delle strutture narrative: oltre al plurilinguismo, si assiste alla presenza di numerosissime digressioni che spesso riguardano un dettaglio apparentemente insignificante che, però, cattura l’attenzione dell’autore.

Si riscontrano casi in cui Gadda, rapito dalla descrizione di un dettaglio, non termina ciò che stava dicendo precedentemente, come se stesse deviando dalla strada principale per imboccare un sentiero secondario che non lo ricondurrà mai più sulla via principale.

Gadda “Non conclude” [3]

L’immagine di una strada chiusa, senza sbocco, si riflette anche nell’intreccio: molte opere gaddiane, infatti, sono prive di conclusione proprio perché, essendo impossibile districarsi nel labirinto del reale, è di conseguenza impossibile trovare una soluzione: l’indagine poliziesca raccontata nelle sue opere non arriva mai alla scoperta del colpevole.

Una classificazione approssimativa

Secondo alcuni critici è possibile suddividere le opere di Gadda in due filoni fondamentali: opere in cui viene raccontata la nevrosi dell’io, costretto a rapportarsi con una realtà disordinata e caotica, e opere in cui viene messo in scena il disordine stesso della realtà.

Esempi di opere appartenenti a tali filoni sono, rispettivamente, “La Cognizione del dolore”(1963) e “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”(1957). Naturalmente, tale classificazione è approssimativa perché, sistematicamente, i due filoni si intersecano e si confondono.

La nevrosi dell’io

La Cognizione del dolore”è la storia di don Gonzalo Pirobutirro (personaggio dagli inconfondibili tratti autobiografici), un ingegnere quarantenne, scapolo, colto e appassionato di studi filosofici, che vive con una vecchia madre nella villa fatta costruire con dolorosi sacrifici dai genitori già impoveriti che non volevano rinunciare al loro antico lustro signorile.

Don Gonzalo è in preda alla nevrosi, tormentato dal ricordo del fratello morto in guerra e ossessionato da fobie e idee coatte. Un rancore profondo divide don Gonzalo dalla madre, “un sentimento non pio[4] che si manifesta in scenate e minacce.

Nella scena che chiude il romanzo, in cui la vecchia madre viene trovata in casa ferita e morente, il protagonista resta interrotto insinuando il sospetto (mai confermato) che l’autore del crimine sia il “tristo figlio”.[5]

Il “pasticcio” del reale

imgFondendo il giallo di Agatha Christie con quello psicologico, Gadda dà vita al “Pasticciaccio”: è un romanzo giallo (genere che aveva sempre affascinato l’autore) ricco di riferimenti simbolici. L’inchiesta della polizia rimanda alla ricerca gaddiana della causa del male del mondo.

L’investigatore (alter ego dello scrittore) don Ciccio Ingravallo, infatti, deve essere abile nel districarsi tra le diverse prove per risolvere due indagini: un furto di gioielli e un misterioso delitto, l’assassinio di una bella signora borghese trovata sgozzata nel suo appartamento.

Come in altre opere gaddiane, la ricerca va incontro allo scacco, l’assassino non viene scoperto e l’assenza di una soluzione indica la vanità della ricerca, il suo esito inevitabilmente fallimentare. Quando la ricerca inizia a farsi più intensa, il romanzo esplode in una serie infinita di divagazioni che si dipartono ad ogni istante in tutte le direzioni facendo quasi dimenticare il filone centrale della vicenda.

Il giudizio di Calvino

Italo Calvino inserisce Gadda tra i narratori che segnano il moderno romanzo del ‘900 e, sintetizzando il pensiero gaddiano, afferma:

[…] “Non ci si può spiegare nulla se ci si limita a cercare una causa per ogni effetto, perché ogni effetto è determinato da una molteplicità di cause, ognuna della quali a sua volta ha tante altre cause dietro di sé; dunque ogni fatto (per esempio un delitto) è come un vortice in cui convergono correnti diverse, mosse ognuna da spinte eterogenee, nessuna delle quali può essere trascurata nella ricerca della verità”[6]

e, parlando del “Pasticciaccio”, continua dicendo:

“In questo romanzo l’intreccio poliziesco viene a poco a poco dimenticato: forse siamo proprio sul punto di scoprire chi ha ucciso e perché, ma la descrizione d’una gallina e degli escrementi che questa gallina deposita sul suolo diventa più importante della soluzione del mistero”[7]

Claudia Monti

 Fonti

[1] passo tratto da “L’Adalgisa”(1945)
[2] citazione tratta da “La Madonna dei filosofi” (1931)
[3] espressione tratta dal titolo omonimo di un articolo di Luigi Pirandello
[4], [5] citazione tratta da “La Cognizione del dolore” (1963)
[6], [7] citazione tratta da “Perché leggere i classici?”(1991), Italo Calvino