Francesco Rosi: il regista che cerca con un film la verità

Uno spazio di riguardo, nella produzione cinematografica successiva alla fine degli anni Cinquanta, è da dedicare a Francesco Rosi (Napoli, 15 novembre 1922 – Roma, 10 gennaio 2015).

Nel 1940 Francesco Rosi si iscrive alla facoltà di giurisprudenza e nel 1944 collabora con Radio Napoli (diretta da Italo De Feo), successivamente, si trasferirà a Milano dove lavorerà al Milano Sera e nel 1946 entra nella Compagnia del Teatro Quirino a Roma (diretta da Orazio Costa).

Dal 1947 si dedicherà al cinema e prepara uno studio sui Malavoglia per partecipare al concorso di ammissione al Centro sperimentale di cinematografia. Luchino Visconti, però, lo chiamerà come assistente alla regia (insieme a Franco Zeffirelli) per il film La terra trema.

«L’occasione mi venne fornita dal mio amico Achille Millo, a cui Visconti aveva proposto di fargli da assistente per La Terra Trema. Millo volle invece continuare a fare l’attore, così parlò di me a Visconti, che non ebbe difficoltà ad accettarmi. Visconti, con il gusto che ha sempre avuto per il pioneristico, per la provocazione, aveva messo insieme un gruppo di persone che non avevano mai fatto cinematografo; l’unico era lui, che poi lo aveva fatto una sola volta, sia pure magnificamente, con Ossessione.»

Lavorerà con Visconti anche per Senso (1953) e come sceneggiatore per Bellissima e, per tutti gli anni Cinquanta continuerà l’intensa esperienza di set cinematografici come aiuto-regista, sceneggiatore, regista occulto, ecc.

Francesco Rosi

Il successo

Nel 1958 Francesco Rosi si mette in luce alla XIX Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con il robusto esordio de La sfida, il quale ottiene il consenso della critica e del pubblico. La sfida narra la storia di Vito Polara, un esponente dell’imminente passaggio da una camorra che rispetta un ordine gerarchico interno a una che si fonda sul desiderio impellente del solo soddisfacimento personale. Già in questo film, Rosi, utilizza il metodo che lo renderà uno dei più importanti registi della cinematografia italiana: il metodo storico coniugato a un profondo senso estetico.

Francesco Rosi

Nel 1962, con Salvatore Giuliano, firma il suo capolavoro, uno dei più bei risultati del cinema italiano e «l’opera più vera che il cinema italiano abbia mai dato alla Sicilia» -Sciascia.

Qui, il cronachismo incisivo e asciutto è rafforzato dal particolare utilizzo del bianco e del nero di Gianni Di Venanzo e dal montaggio dialettico di Mario Serandrei. Rosi, in questo film, ricostruisce i fatti e indaga non solo sulla morte di Salvatore Giuliano, ma anche (e soprattutto) sull’intricato rapporto fra attualità e rievocazione e su fatti oggettivi e la loro interpretazione.

«Cercare con un film la verità non significa voler scoprire gli autori di un crimine, ciò spetta ai giudici e poliziotti, i quali lo fanno a volte a prezzo della vita e a loro va il nostro pensiero riconoscente. Cercare con un film la verità significa collegare origini e cause degli avvenimenti narrati con gli effetti che ne sono conseguenza.»

Salvatore Giuliano apre la strada a quel cinema politico di cui Rosi resterà sempre il più significativo esponente.

Francesco Rosi

Francesco Rosi in Le mani sulla città

L’anno successivo a Salvatore Giuliano, dirige Le mani sulla città, con il quale si interessa della camorra e della speculazione edilizia denunciando gli intensi legami esistenti tra i diversi organi dello Stato e lo sfruttamento edilizio a Napoli.

Francesco Rosi

Le mani sulla città vincerà il Leone d’Oro veneziano del 1963, imponendosi come film saggio e intenso correlato da non infrequenti sprezzature estetiche con cui Rosi applica quell’etica dell’estetica neorealistica su cui si è formato.

Nel 1967 si dedicherà invece alla lettura del Pentamerone di Gianbattista Basile, dal quale trarrà spunto per C’era una volta (interpretato da Sophia Loren e Omar Sharif) nel quale, nonostante le apparenze, non si allontanerà poi molto dalla poetica precedente, analizzando elementi storici e reali come la povertà e la superstizione.

Nel 1970 realizza Uomini contro, un film che gli causerà anche una denuncia per vilipendio. Il film è tratto dall’opera Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu ed è un film che si scontra con l’immagine della guerra: «Ho descritto la guerra in modo quasi biologico per farne risaltare meglio l’orrore e l’assurdità» e segna il sodalizio con Gian Maria Volonté, attore meticoloso almeno quanto lo stesso Rosi.

Dalla seconda metà degli anni Settanta Francesco Rosi continuerà a raccogliere successi con Cadaveri eccellenti (1976), Tre fratelli (1981) e lavorerà a Cronaca di una morte annunciata (1987) tratto dal romanzo di Gabriel García Márquez.

Francesco Rosi a teatro

Dal 2003 al 2010 Rosi torna a teatro allestendo una trilogia dedicata ad Eduardo De Filippo per La Compagnia di teatro di Luca De Filippo.

«Mi venne in mente di chiedergli di occuparsi di usta regia una notte di tre anni fa, quando, in omaggio a Eduardo, fu proiettato il film omonimo, tratto dalla commedia. Pensai che sarebbe stato bello unire, sui temi trattati in Napoli milionaria!, una coppia di grandi napoletani, mio padre e Rosi. Due uomini e due artisti che hanno sempre lavorato alla luce dell’impegno civile e morale.»

Dopo il successo di Napoli milionaria! nel 2006 metterà in scena Le voci dentro e nel 2008 Filumena Marturano sempre con Luca De Filippo.

Cira Pinto

Bibliografia:

–       Introduzione alla storia del cinema, P. Bertetto.

–       Io lo chiamo cinematografo, Tornatore – Rosi.