L’io lirico e la natura nell’Alcyone di D’Annunzio

Alcyone è la raccolta poetica più celebre di Gabriele D’Annunzio, composta tra il 1899 e il 1903, è il terzo dei cinque libri delle “Laude del cielo, del mare, della terra e degli eroi” il cui progetto prevedeva sette libri: uno per ogni stella delle Pleiadi. La raccolta raccoglie 88 componimenti e si presenta come un diario dell’estate che delinea un suo percorso narrativo: una raccolta composta d’estate e che ha per tema l’estate, sia dal punto di vista della stagione fisica che della maturità poetica di D’Annunzio.

Nell’Alcyone si realizza un grande inno alla natura e ai luoghi “sopravvissuti vergini” in cui il poeta sembra ricercare una condizione serena o una nuova giovinezza raggiungibile solo con l’aderenza a una natura intatta; infatti i versi di D’Annunzio esprimono un forte panismo, percezione molto profonda del mondo naturale che, come atteggiamento artistico o letterario, esprime il senso di compenetrazione gioiosa dell’uomo con la natura. A riguardo sono emblematici alcuni versi della famosa poesia “La pioggia nel pineto”:

“E immersi noi siam nello spirito Silvestre,

d’arborea vita viventi”

Il naturalismo panico dell’Alcyone

Noto per i suoi riferimenti classici, la sensualità ed erotismo vivido, la maggior parte delle poesie dell’Alcyone sono scritte in uno stile che privilegia allitterazioni e intricati schemi rimici. Nella stesura definitiva la disposizione dei componimenti segue un criterio ben preciso, che tende a riprodurre, condensandole in un’unica estate, le esperienze fortemente legate al mondo della natura che il poeta ha vissuto in compagnia di Eleonora Duse durante le estati trascorse nella loro villa in Versilia.

Dopo il proemio de “La tregua” – che ha la funzione di istituire un collegamento fra Alcyone e i precedenti libri delle Laudi – Il fanciullo apre una serie di sette ballate cui fanno seguito cinque sezioni, ciascuna aperta da una lirica con titolo latino cui segue un ditirambo, vero cardine della struttura poetica. Ai ditirambi sono destinati i cambiamenti di stagione e di approccio al mito, vero tema cardine dell’intero poema dannunziano.

Attraverso un’impostazione classicista, Alcyone si fa eco letterario del repertorio greco, latino ed italiano: la prima sezione, ambientata tra Firenze e la campagna circostante, sviluppa tematiche duecentesche da San Francesco, in “Lungo l’Affrico” e “La sera fiesolana”, a Dante in “Beatitudine”, non trascurando motivi virgiliani.

Dalla seconda sezione si entra nel vivo della celebrazione dell’estate del suo valore simbolico espresso nell’Alcyone: vi sono compresi gli ultimi giorni di Giugno e i primi otto di luglio nello scenario selvaggio del litorale tra le foci dell’Arno e del Serchio. Questa è la sezione in cui alla cultura letteraria si affianca il massimo di naturalismo panico nietzschiano, attraverso i temi dell’ascolto e della visione epifanica della natura.

“Coglierai sul nudo lito,

infinito

di notturna melodia,

il maritimo narcisso

per le tue nuove corone,

tramontando nell’abisso

le Vergilie,

le sorelle oceanine

che ancor piangono per Ia

lacerato dal leone…” (“Innanzi l’alba”)

alcyone
Alcyone: targa commemorativa preso Castello di Romena in Casentino

Nella terza sezione avviene il passaggio da Luglio ad Agosto e si concentra la descrizione spaziale attorno alle pinete alla foce del Serchio. Si rifà al mito ovidiano di Glauco, pescatore della Boezia figlio di Poseidone che come il padre divenne Dio del mare. Nello sviluppo della sezione il poeta si fa personaggio mitico che dialoga con la natura: marittima ne “L’oleandro”, equestre in “Bocca di Serchio”, e di caccia in “Il cervo”.

“..E sedevamo su la riva, esciti

Dalle chiare acque, con beato il sangue

Del fresco sale; e gli oleandri ambigui

Intrecciavan le rose al regio alloro

Sul nostro capo;…” (“L’oleandro”)

Con la quarta sezione si giunge alla fine di Agosto, e continuando la narrazione mitica della precedente e inaugura, dopo la metà, un ciclo scultoreo e allegorico che ha il suo culmine ne “L’arca romana”.

“Alpe di Luni, e dove son le statue?

I miei spiriti desìan perpetuarsi

Oggi sul cielo in grandi simulacri.

O antichi marmi in grandi orti romani!

Stan per logge e scalèe di balaustri,

con le lor verdi tuniche di muschi…”

Notevole, in questa sezione, la serie naturalistica che costituisce  i “Madrigali dell’estate”. Il tema di questa serie di undici componimenti è unico: il lento declinare dell’estate, da cui nasce il sentimento angoscioso del rapido trascorrere del tempo.

“Estate, Estate mia, non declinare!
Fa che prima nel petto il cor mi scoppi
come pomo granato a troppo ardore.

Estate, Estate, indugia a maturare
i grappoli dei tralci su per gli oppi.
Fa che il colchico dia più tardo il fiore

Forte comprimi sul tuo sen rubesto
il fin Settembre, che non sia sì lesto.

Sòffoca, Estate, fra le tue mammelle
il fabro di canestre e di tinelle.” (“Implorazione”)

L’ultima sezione, ambientata nella prima metà di settembre, sviluppa il tema del trapasso e delle rievocazione, giocato sul registro stilistico del sogno e della memoria: i sette componimenti dei Sogni di terre lontane ne costituiscono quindi il culmine centrale. La curva calante della parabola dell’Alcyone culmina nel “Commiato”, poesia conclusiva della raccolta, che è viaggio naturalistico, stilistico ma soprattutto esistenziale: una navigazione verso l’oltre del poeta “immune di morte” che viaggia verso l’Ade.

“…Deh foss’io sopra un burchio per la cuora
navigando, e di tifa e di sparganio
carico ei fosse, e fossèvi alla prora
fitto un bucranio

o un nibbio con aperte ali, e vi fosse
odore di garofalo nel mucchio
per qualche cunzia dalle barbe rosse
onde il suo succhio

sì caro all’arte dell’aromatario
stillasse fra l’erbame, e resupino
vi giacessi io mirando il solitario
ciel iacintino;

e scendessi così, tra l’acqua e il cielo
con l’alzaia la Fossa Burlamacca
albicando qual prato d’asfodèlo
la morta lacca;

e traesse il bardotto la sua fune
senza canto per l’argine; ed io, corco
sul mucchio, mi credessi andare immune
di morte all’Orco!…”

Siamo a un commiato che va oltre il congedo diaristico da un’estate marina, siamo all’incontro con una percezione davvero globale del tempo. L’estate fa da sfondo alla miriade di eventi naturali che offrono pretesti per le riflessioni dell’autore.

La mietitura, un’improvvisa pioggia estiva, il paesaggio toscano e marino sono le occasioni attraverso cui l’io lirico, seguendo le vie del panismo nella progressiva compenetrazione tra uomo e natura, culmina nella metamorfosi: evento soprannaturale e divino che colloca l’uomo in una dimensione trascendentale di contatto con la natura di cui diviene parte integrante dimenticando la sua fattezza umana.

Maurizio Marchese

Bibliografia:

G.D’Annunzio, Alcyone, Garzanti, Milano,2006