Il falso mito di Heathcliff: una nuova prospettiva

Non c’è vita più alta dell’erba/o del cuore delle greggi, e il vento/si riversa simile al destino, piegando/ogni cosa nella medesima direzione./Posso sentirlo mentre cerca/di risucchiarmi ogni calore./Se presto troppa attenzione/alle radici dell’erica, vorranno/avermi tra loro a sbiancarmi le ossa

Sylvia Plath, Wuthering Heights

“Wuthering Heights” è l’unico romanzo di Emily Bronte, ed uno dei capolavori più amati della letteratura inglese. Pubblicato per la prima volta nel 1847 sotto lo pseudonimo di Ellis Bell, il romanzo si colloca in piena estasi romantica. Si tratta di un universo “gotico”, fatto di forze primitive e caotiche, ma -cosa ancora più importante- , è una storia; una storia iniziata nella tarda estate del 1771, che tiene costantemente il lettore con il fiato sospeso. Lo stesso Lockwood è un lettore, pur essendo narratore, anzi si direbbe che sia tra i più confusi, nei capitoli iniziali. Le “cime tempestose” sono un luogo estremamente irreale e selvaggio, quasi maledetto, al pari di quelli immaginati e descritti da Poe; e lo stesso vale per il mondo che ospitano. Tuttavia, se dovessimo assumere questa riflessione basilare come un principio assoluto, saremmo costretti a dare fondamento alle teorie sulla presunta “limitatezza” della Bronte e dei suoi personaggi. Assolutamente no, sembra troppo grezzo e scontato. Cercheremo quindi di esaminare la graduale metamorfosi del classico “romanzo gotico” attraverso uno tra i personaggi più rappresentativi e amati della storia: Heathcliff.

Wuthering Heights, Heathcliff

Heathcliff: un “Byronic Hero”?

Wuthering Heights, HeathcliffSi sa, noi lettori siamo persone complicate. Accade spesso che ci lasciamo convincere più dal lirismo del testo che dal suo effettivo messaggio, e non è raro per noi lasciarci sedurre dalla malvagità. Quanto a Heathcliff, ci appare come un personaggio di shakespeariana qualità: sembra tanto sinteticamente eloquente quando un Edmund, uno Iago o un Macbeth. E’ quasi una calamita per il lettore romantico (e post-moderno), così che è preso da passioni estreme e torrenziali emozioni. Appare quindi perfettamente naturale per noi cercare inevitabilmente di difendere il nostro “byronic hero”, ammantando la sua malvagità di una sorta di dimensione spirituale o psicanalitica: un povero zingaro, vittima della gelosia della famiglia, fustigato e ridotto ad un servo. Ma il piccolo Heathcliff non ha bisogno che Hindley lo fustighi e lo picchi per diventare stoicamente maligno. Il suo tono di crudeltà gratuita non ha alcun legame con il progetto di vendetta dell’Heathcliff maturo. Anzi:

Ha un aspetto tanto minaccioso che non sarebbe un bene per il paese impiccarlo subito prima che possa rivelare la sua natura nelle azioni e non soltanto nei lineamenti?

Peraltro, nei primi capitoli del romanzo, non mostra alcun gesto di riconoscenza o affetto verso il signor Earnshaw. Sembra quasi che si sia autogenerato, che sia figlio di nessuno e che in realtà nessuno lo abbia mai adottato e salvato. Heathcliff è solo Heathcliff, non ha altri nomi. L’errore del lettore è forse lo stesso commesso da Isabella Linton. Heathcliff, del quale se sappiamo una cosa certa è che non legge mai libri, commenta in modo sprezzante il fatto che la sua giovane moglie lo abbia immaginato come un eroe di romanzi. La sua irrisione ci rende consapevoli che le nostre aspettative nei suoi confronti non sono altro che libresche. Heathcliff non è un eroe, e l’autrice gli consente, mettendo in ridicolo la povera Isabella, di ridicolizzare implicitamente anche tali lettori.

Sei certa di odiarmi? Se ti lasciassi stare per una mezza giornata, non torneresti da me tutta sospiri e moine? […] La prima cosa che mi ha visto fare, quando ha lasciato Thrushcross Grange, è stato impiccare il suo cagnolino; e quando ha implorato per la sua salvezza, le prime parole che ho pronunciato sono state il desiderio di impiccare qualsiasi essere fosse legato a lei, salvo uno: forse ha pensato che l’eccezione la riguardasse. Ma nessuna brutalità riusciva a nausearla, immagino abbia un’innata ammirazione per la brutalità, purché la sua preziosa persona sia al sicuro! Non era il colmo dell’assurdità, in verità di un’autentica idiozia, che questa cagna meschina, servile, vile potesse sognare che io l’amavo? […] mai in tutta la mia vita ho incontrato una creatura abietta quanto lei: disonora il nome dei Linton; e che qualche volta ho interrotto, per semplice mancanza di fantasia, gli esperimenti per scoprire che cosa sia in grado di sopportare ritornando poi vergognosamente a strisciare da me.

Heathcliff, con la sua straordinaria forza e intelligenza, stimola il lettore ad uno strano legame collaborativo, che legittima inconsciamente la sua malvagità. In fondo, se qualcuno schiaccia le proprie vittime sotto i piedi come se fossero vermi, non è forse naturale pensare che siano dei vermi e che si meritino tali sofferenze? In ogni caso non si tratta di noi; in ogni caso non ne siamo effettivamente coinvolti.

Catherine e Heathcliff: l’amore narcisistico Wuthering Heights, Heathcliff

In conclusione, non vi è un legame necessario tra il devoto amante di Catherine e l’uomo diabolico con gli occhi da basilisco che tutti conosciamo. E’ di certo un archetipo evocante, come lo è lo stupratore provocato dalla propria vittima, o il pedofilo che da bambino ha subito abusi, ma niente di più. E se è facile identificare Heathcliff nel perfetto stereotipo romantico, è altrettanto facile identificare la storia d’amore tra lui e Catherine come un’ode alla passione e alle oscure energie primitive che la animano, come se per il lettore questa apparisse più sincera, più vera di qualsiasi altro tipo di relazione. Il legame estremamente passionale tra Catherine e Heathcliff è una storia d’amore “gotica”, maledetta, la cui profondità di sentimenti ci fa sembrare gli altri personaggi estremamente superficiali. E’ curiosamente casta, nonostante la sua intensità erotica, molto simile a quella dei decadenti, o dello stesso De Sade. Questo perché l’amore di Catherine e Heathcliff inizia e finisce con la loro fatale e morbosa identificazione.

Le mie grandi sofferenze in questo mondo sono state quelle di Heathcliff, e le ho viste e vissute tutte fin dal principio: il mio pensiero principale nella vita è lui. Se tutto il resto morisse e lui restasse, io continuerei ad esistere, e se tutto il resto rimanesse e lui venisse annientato, il mondo si trasformerebbe in un completo estraneo: non ne farei parte. […] Nelly, io sono Heathcliff! Lui è sempre, sempre nella mia mente: non come una gioia, non più di quanto io lo sia per me stessa, ma come il mio stesso essere.

Io eleverò una sola preghiera, la ripeterò finché la mia lingua non si seccherà- Catherine Earnshaw, possa tu non trovare pace finché io avrò vita; dicesti che ti avevo uccisa, perseguitami allora! Gli assassinati perseguitano i loro assassini, credo. So che dei fantasmi hanno vagato sulla terra. Sii sempre con me, assumi qualsiasi forma, fammi impazzire! Solo non lasciarmi in questo abisso in cui non riesco a trovarti! Non ci sono parole per dirlo! Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza la mia anima!

Che ironia dunque (o forse, per qualcuno, delusione)  scoprire che il trionfo della “seconda” Catherine e del “secondo” Heathcliff, cioè Hareton, alla fine del romanzo, è un trionfo che arriva a confutare tutte le letture tradizionali. L’amore è più facile, più affettuoso; non è mai violento, né autodistruttivo. Quanto all’autrice di  questo articolo, come ogni altro lettore, rimane inevitabilmente abbagliata dai vecchi Catherine e Heathcliff.

Martina Pedata

Fonti

Emily Bronte, Cime tempestose, Oscar Mondadori, Milano, 2010