La dolcezza di Giotto: Polittico di Bologna

Dipingere ed affrescare sono qualcosa di estremamente complesso e non è da tutti fare di necessità virtù. Giotto ci è riuscito.

Giotto di Bondone nacque nel 1267 a Vespignano, morì a Firenze nel 1337. Pittore ed architetto, ben poco si conosce della sua vita e della sua formazione: molto probabilmente fu allievo di Cimabue. Secondo la tradizione, sin da bambino dimostrò una particolare inclinazione per l’arte ed il disegno, e ben prestò entrò nella bottega del maestro Cimabue a Firenze, e come scrisse lo stesso Giorgio Vasari, il padre di Giotto avrebbe intuito le capacità del figlio osservando alcuni disegni particolarmente realistici di alcune pecore, tuttavia non ci sono riscontri da parte di fonti documentali.
In che cosa consista la sua rivoluzione del linguaggio pittorico lo sintetizza il pittore e critico d’arte Cennino Cennini, che, attorno al 1390 nel suo “Libro dell’Arte”, scrive: “rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno.”
Dove per greco si intende l’arte bizantina, per latino il morbido stile dell’arte classica e infine per moderno la maestria con cui Giotto riesce a trasformare l’illustrazione pittorica in narrazione realistica di avvenimenti. Il percorso stilistico di Giotto passa attraverso alcuni dipinti su tavola di carattere devozionale realizzati negli ultimi decenni del duecento che lasciano già intuire la portata della svolta rivoluzionaria operata dalla sua pittura nella storia dell’arte italiana.

Polittico di Giotto: ritratto
Polittico di Giotto: ritratto

Un’ opera, tra i tanti capolavori del Maestro, particolarmente interessante è il polittico di Bologna.

Polittico di Giotto: particolare
Polittico di Giotto: particolare

Giampietro Zanotti fu il primo a descrivere il polittico nel 1732 che lo rinviene nella sagrestia dell’allora chiesetta di Santa Maria degli Angeli a Bologna.
La committenza dell’opera, che porta la firma di Giotto sul gradino del trono di Maria
“OP[US] MAGISTRI IOCTI D[E] FLOR[ENTI]A”, è incerta. Appare infondata la tesi che considera Gerra Pepoli il committente poiché dal momento che la famiglia Pepoli era molto benestante è poco credibile che abbia chiesto a Giotto di decorare una chiesa secondaria. È stato convincentemente dimostrato nel 2015 come il richiedente sia stato in realtà il legato pontificio Bertrando del Poggetto, che avrebbe commissionato a Giotto, nel 1330-1334, la pala per la cappella privata del Papa Giovanni XXII entro il Palazzo-Castello di Porta Galliera a Bologna. Il polittico fu trasferito nel 1782 in una cappella privata del Collegio Montalto. Smembrato nel 1808, al tempo delle confische napoleoniche, fu ricomposto nel 1894. Il Polittico di Bologna è un dipinto a tempera e oro su tavola di Giotto e aiuti, databile al 1330-1334. Rappresenta l’unica testimonianza dell’arte di Giotto a Bologna. Nonostante la firma apposta dal maestro (“opus magistri jocti de florentia”), si tratta in larga parte di un’opera di bottega, anche se nel chiaroscuro dei panneggi e nella plasticità di alcune figure sono ravvisabili tracce dello stile più tardo e maturo del pittore fiorentino. Dei cinque scomparti con fondo d’oro, quello centrale raffigura la Madonna assisa in trono col Bambino, mentre i laterali raffigurano (da sinistra a destra): San Pietro, l’Arcangelo Gabriele, l’Arcangelo Michele e San Paolo.
Il “reale” prende il sopravvento esaltando le forme rigide e ricalcate con colori impreziositi e luminosi.
Giotto non è riuscito ad andare sino in fondo nel suo originale tentativo di modernizzazione. Lo dimostra il ritorno (seppur limitato) ai moduli bizantini.

Serena Raimondi