Germania

Apollineo e dionisiaco nella letteratura tedesca

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Due giganti del Novecento, Thomas Mann (per un approfondimento sul rapporto tra Mann e il pensiero di Nietzsche: qui) ed Hermann Hesse, hanno elaborato in maniera diversa e originale i concetti di spirito apollineo e dionisiaco.

Hermann Hesse e Thomas Mann erano legati da stima reciproca e, a partire dagli anni ’30, anche da una profonda amicizia.

Il rapporto conflittuale di apollineo e dionisiaco

Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente. [1]

Filosofia e letteratura: due vasi comunicanti che, pur se estremamente diversi per contenuti e scopi, si arricchiscono vicendevolmente e rendono più profonda e proficua l’attività dello spirito. Come affermava Italo Svevo, gli scrittori non sono tenuti a restar fedeli ai filosofi, perché rielaborando artisticamente le loro opere li “tradiscono“, ma è pur vero che, in una certa misura, li umanizzano.

Se c’è un filosofo che ha profondamente influenzato la letteratura -tedesca, ma non solo- del Novecento, in maniera tanto duratura da far sentire i suoi effetti ancora al giorno d’oggi, quel filosofo è Friedrich Nietzsche. Il pensiero estetico del primo Nietzsche, vale a dire quello espresso compiutamente ne La nascita della tragedia dallo Spirito della Musica, ha avuto forti ripercussioni su buona parte della letteratura tedesca successiva.

Nietzsche intendeva figurarsi l’intera storia delle arti come sviluppo dell’opposizione tra i due principi (opposizione che, ricordiamo, avrebbe avuto il suo unico momento di conciliazione nella tragedia attica di Eschilo e Sofocle); noi oggi tendiamo a considerare il tutto in maniera meno rigida e assolutistica, ma è pur vero che certi generi letterari, la tragedia in particolar modo, si reggono proprio sulla manifestazione di un conflitto insanabile.

È nel conflitto, nella polarità irrisolta, nella tensione oppositiva tra due estremi che l’uomo riconosce i suoi intimi drammi e l’essenza delle sue lacerazioni. Il teatro, arte coinvolgente e identificativa per eccellenza (almeno prima di Bertolt Brecht), ben traduce questa tendenza.

La morte a Venezia: una conciliazione impossibile

Copertina di un’edizione tedesca de “La morte a Venezia”.

Eppure non è a teatro che Nietzsche ha manifestato la sua più forte influenza, ma nella narrativa. Nel caso de “La morte a Venezia” di Thomas Mann parliamo di una forma un po’ particolare di narrativa, ossia di un racconto lungo che ha molte caratteristiche dell’opera tragica, dalla divisione in cinque parti alla contrapposizione irrisolta che costituisce l’asse portante dell’opera.

Si tratta a tutti gli effetti di un devastante percorso interiore che conduce dalla repressione all’abbandono agli istinti; Gustav von Aschenbach, scrittore cinquantenne che intraprende un viaggio a Venezia per una breve pausa ricreativa dal suo lavoro, ne è il protagonista.

Questa era l’ebbrezza; e senza riserva, con avidità, l’artista in declino le dava il benvenuto. [2]

La morte a Venezia è un’opera decadente il cui autore denuncia la condizione di artista decadente. Diversamente dal suo protagonista, infatti, Thomas Mann si è sempre distinto per la sua capacità di ironico distacco da ogni forma di assolutizzazione e per la sua abilità nel coniugare le tendenze disgregatrici. Proprio questo è ciò che manca ad Aschenbach: autore amato e inneggiato in patria, tanto che l’imperatore gli ha concesso un titolo nobiliare, egli ha sacrificato tutte le sue energie vitali all’arte, dedicandosi anima e corpo ad un’attività che non arricchisce il suo spirito, ma lo debilita ed impoverisce.

Venezia, città decadente per eccellenza nell’immaginario letterario del primo Novecento (non a caso D’Annunzio vi ambientò il Fuoco), diventa così lo scenario ideale per questo tragico passaggio senza possibilità di conciliazione dall’apollineo al dionisiaco.

La vita di Aschenbach, abituato da sempre a stare “col pugno serrato“, a non potersi mai rilassar e portare ad un livello cosciente gli impulsi dionisiaci della sua psiche, muterà a causa dell’innamoramento nei confronti di un giovane polacco bello come una statua greca;  la trasformazione aveva solo bisogno di un elemento esteriore che la facesse affiorare, perché era già insita nell’anima stessa del protagonista. Così il suo sogno di un paese selvaggio e lussureggiante, fatto di canne di bambù dietro alle quali “sta acquattata la tigre”, diventa metafora degli impulsi distruttivi che albergano dentro di lui.

Narciso e Boccadoro di Herman Hesse: due spiriti, un’anima

Hermann Hesse è un narratore imbevuto di spiritualità. Le sue opere non raccontano una storia reale, ma tracciano un percorso di vita interiore che ogni uomo potrebbe sentirsi chiamato ad intraprendere.

Narciso e Boccadoro non si distacca da questa parabola: ambientato in un medioevo mitico e non meglio identificato, la storia dei due protagonisti è la storia di un’opposizione non già tra due anime, ma tra i due spiriti di un’unica anima, l’anima dell’umanità stessa.

Alla tensione tra apollineo e dionisiaco Hesse, nella sua tendenza a rendere archetipici i concetti, accosta la dualità dei sessi: così Narciso è emblema della natura maschile dell’umanità, riflessiva e ascetica, mentre Boccadoro rappresenta l’aspetto femminile, sensuale ed artistico.

Questa contrapposizione, però, non è rigidamente definita: non bisogna credere che Hesse intenda così definire le differenze tra uomo e donna. Egli intende piuttosto identificare un contrasto che percorre la storia dell’umanità, quello fra natura e spirito, ma anche fra arte e ascesi, alla ricerca di un punto di equilibrio.

Non è il nostro compito quello di avvicinarci, così come non si avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra méta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparar a vedere ed a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento. [3]

Maria Fiorella Suozzo

Fonti

[1]  La nascita della tragedia, Friedrich Nietzsche, ed. Mondadori a cura di Vincenzo Vitiello ed Ettore Fagiuoli

[2] La morte a Venezia, Thomas Mann, ed. Marsilio a cura di Elisabeth Galvan

[3] Narciso e Boccadoro, Hernann Hesse, ed. Mondadori

immagine di copertina: il sogno, Henri Rousseau

fonte immagini: google, DeviantArt (NoemiDragonsLady)

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Maria Fiorella Suozzo

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