Ombra, l’archetipo dell’autoconoscenza in Jung

Riflettendo sulla visione che il mistico svizzero Niklaus von der Flüe ebbe del volto divino infuocato d’ira funesta e sulla successiva elaborazione di questa immagine da parte del frate attraverso il dogma trinitario, Jung formula l’idea che la problematica dell’inconscio non sia sempre stata psicologica bensì religiosa.
L’intero inconscio collettivo, sostiene Jung, è sempre stato incanalato in forme simboliche in grado di tenerne a bada il potere che poteva avere sulla coscienza. Ai tempi di frate Niklaus erano le forme archetipiche del dogma cristiano a svolgere questo ruolo, prima ancora i misteri delle civiltà antiche preceduti a loro volta dalle primitive forme religiose che vanno perdendosi nelle nebbie dell’uomo pre-neolitico. ombra
Come spiegato in un precedente articolo, i simboli perdono la loro capacità di rappresentare l’archetipo quando vengono sottoposti ad elaborazione cosciente. Ciò rende necessario che vengano sostituiti durante le epoche come accadde nel mondo greco-romano nel momento in cui il cristianesimo vi si impose prendendo gradualmente il posto degli Olimpi. In questo caso il passaggio dal vecchio al nuovo avvenne in maniera inconsapevole; monumenti alle nuove immagini non dovettero fare altro che essere eretti sulle macerie di quelli passati che avevano perduto ragione di esser tenuti in piedi. ombra

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Rappresentazione della visione di Frate Niklaus conservata a Sachseln

L’Occidente povero di simboli

L’avvento della Riforma protestante si presenta invece come un fenomeno totalmente diverso che Jung vede alla base di quella che chiama “la spaventosa povertà di simboli che regna ai nostri giorni”.
La Riforma, con il suo rifiuto delle icone, inflisse un grave colpo al potere delle immagini sacre che la Chiesa, scossa nella sua autorità, non è più riuscita a restaurare. Una volta perdute queste rappresentazioni che fungevano da baluardo, la coscienza è rimasta esposta al potere dell’inconscio collettivo. ombra
Trovare nuove immagini operanti in grado di svolgere il ruolo di quelle perdute è divenuto impossibile per l’uomo occidentale, reduce da secoli di razionalismo scientifico che a braccetto con il protestantesimo ha instaurato un’iconoclastia cronica perfettamente formulata nel centoventicinquesimo aforisma de La Gaia Scienza, erede cristiano del dramma della morte di Pan ne Il Tamonto degli Oracoli di Plutarco.

Il nostro intelletto ha compiuto cose gigantesche, ma nel frattempo la nostra dimora spirituale è crollata. Siamo profondamente convinti che neanche col più potente e più moderno telescopio costruito in America riusciremo a scoprire alcun empireo dietro le lontane nebulose; sappiamo che il nostro sguardo disperato errerà attraverso la morta vacuità di distese incommensurabili. […] E infine esumiamo la saggezza di tutti i tempi e di tutti i popoli, e troviamo che tutto quel che vi è di più costoso e di più prezioso è già stato detto molto tempo fa con parole più belle. Come bambini avidi tendiamo la mano per coglierlo, credendo che quando lo avremo afferrato lo possederemo. Ma quel che è nostro non ha più valore, e le mani si stancano nel tentativo di afferrare, perché dovunque giriamo lo sguardo incontriamo ricchezze. Ma queste ricchezze vanno tutte in fumo, e più di un apprendista stregone ha finito per annegare nelle acque da lui evocate […]

L’apprendista stregone che finisce per annegare descritto da Jung è proprio l’uomo occidentale dalla mente troppo illuminata dalla scienza per baloccarsi, privo di una qualsiasi guida, con immagini che lo immergono nel profondo dell’inconscio senza finire vittima di una psicosi.
Jung non professa però alcuna dottrina di ritorno ad una mentalità prescientifica, ma in questa sequenza di eventi nella storia spirituale dell’Occidente vede un senso.
La psicologia, nota Jung, nasce proprio nel momento in cui l’uomo, dopo aver scoperto l’assenza di spiriti nella natura per assommarli tutti in una divinità personale, giunge al punto in cui scopre che lo spirito risiede nell’uomo stesso. Il percorso dell’occidentale si rivolge quindi ora in sé stesso e verso sé stesso, alla scoperta di ciò di cui prima non si dava pensiero separandolo dalla propria coscienza attraverso quei simboli che la Riforma protestante ha definitivamente distrutto.
Questo percorso interiore – presente già in religioni e dottrine esoteriche sotto varie forme – è definito da Jung processo d’individuazione.

Le angustie dell’Ombra

Il processo d’individuazione passa attraverso l’esperienza e la comprensione di archetipi fondamentali, primo dei quali è l’Ombra, che agisce a stretto contatto con l’archetipo della Persona, vale a dire la maschera che l’Io si crea nei rapporti con gli altri individui.
Come la Persona è tutto ciò che l’Io vuole credere e dimostrare di essere, l’Ombra rappresenta quanto l’Io non vuole accettare come parte di sé stesso. Ma proprio come quella psichica, anche l’Ombra psichica è inscindibile dall’individuo e tale rifiuto genera una mancata integrazione dei suoi contenuti. Per questo motivo, tenendo conto che più un contenuto è lontano dalla coscienza e più può agire autonomamente da essa, l’Ombra guadagna autonomia e va a turbare l’equilibrio dell’Io attraverso il meccanismo di proiezione.

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Wendy ricuce l’ombra a Peter Pan in modo che questa non causi più danni

L’inconscio cioè proietta tali contenuti nel mondo esterno falsando così il rapporto tra Io e realtà esterna che viene percepita come causa di tali emozioni e stati d’animo negativi. Ciò genera nell’individuo profonde difficoltà di controllo sulla propria emotività e di rapporto con gli altri.

La ragnatela delle proiezioni

Jung sostiene che una buona dose di intuito e onestà intellettuale possa aiutare l’Io a riconoscersi come dotato anche di lati oscuri e a reintegrare un determinato numero di tratti umbratili, e quindi imparare a gestirli ed impiegarli costruttivamente quando questi sono desumibili dall’inconscio personale dell’individuo. Quando però l’Ombra entra in gioco a livello archetipico – vale a dire riguardo tratti prettamente collettivi e arcaici – la proiezione genera una paralisi in questo senso poiché, essendo l’inconscio collettivo che crea le proiezioni, il mondo esterno assume il volto dell’inconscio stesso e ciò che è “inconscio” difficilmente potrà essere riconosciuto come appartenente all’Io.

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Intrappolati nella ragnatela delle proiezioni si ha il timore di incontrare il ragno, una delle immagini con cui si rappresenta il male assoluto

Il meccanismo proiettivo genera così una percezione della realtà come enigmatica, incomprensibile che a sua volta viene spiegata da un’altra proiezione come malevolenza dell’ambiente, precipitando così l’Io in una vera e propria tela di ragno da cui è molto arduo districarsi poiché tessuta di contenuti generalmente intollerabili a livello morale ed intellettuale.
Solo un enorme sforzo da questi due punti di vista permette all’Io di superare le proiezioni e così, integrandole, arrivare alla capacità di gestire tali contenuti.

Parte di queste insolvibili proiezioni sorgono da un altro archetipo quando avvengono su individui del sesso opposto. Qui si incontrano l’Anima, nell’uomo, e l’Animus, nella donna, archetipi di cui parleremo nel prossimo articolo.

Giovanni Marco Ferone

Bibliografia: C.G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934-54, Bollati Boringhieri; Id., Aion, Ricerche sul simbolismo del Sé, 1951, Bollati Boringhieri

Autore immagine in evidenza: Giovanni Marco Ferone

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