Santa Maria del Principio: il ‘300 nel Duomo di Napoli

Torniamo questa settimana a parlare del Duomo di Napoli, che custodisce il meraviglioso mosaico trecentesco di Santa Maria del Principio.

La cattedrale trecentesca e Santa Restituta

Santa Maria del Principio: il '300 nel Duomo di Napoli
Duomo di Napoli, facciata

Voluta a cavallo del 1200 e del 1300 dal borgognone Umberto d’Ormont, allora arcivescovo partenopeo, la cattedrale fu dedicata a Santa Maria Assunta (titolo che porta tutt’ora) e completata presumibilmente nel 1313, grazie all’appoggio dei sovrani angioini che governavano il Regno e contribuirono ad elevare Napoli a capitale d’arte e cultura.

La chiesa, come altri esempi del genere, sorse nei pressi della precedente cattedrale in parte soppressa ed in parte inglobata e tramutata in cappella laterale; di fatti, quella che ora risulta essere la cappella-basilica di Santa Restituta, opposta in pianta alla cappella di San Gennaro, ha ricoperto il ruolo di duomo della città di Napoli sino alla consacrazione dell’attuale edificio. Intitolata al Salvatore con l’attribuzione leggendaria di committenza all’imperatore Costantino, era di origine paleocristiana e risulta essere uno degli edifici sacri più antichi della città,

Santa Maria del Principio: il '300 nel Duomo di Napoli
Basilica Santa Restituta-interno, Napoli

ha ospitato molte sepolture di personaggi illustri del medioevo finanche sovrani della casata angioina, custodisce tutt’ora lo splendido battistero di San Giovanni in Fonte e nei secoli a seguire subì diversi restauri e rifacimenti che ce l’hanno consegnata con l’impianto che ritroviamo tutt’ora.

Diverse sono le testimonianze medievali che ancora rimangono in Santa Restituta e, tra sarcofagi, colonne di reimpiego e tracce di cicli di affreschi, ci troviamo difronte ad una delle opere d’arte più suggestive e importante della Napoli di quel periodo: il mosaico trecentesco di Santa Maria del Principio.

Santa Maria del Principio ed il suo mosaico

Mosaico di Santa Maria del Principio, Santa Restituta, Napoli
Mosaico di Santa Maria del Principio, Santa Restituta, Napoli

L’opera musiva, incorniciata dalla piccola abside della cappella omonima al termine della terza navata della chiesa, si inserisce appieno nel clima di ritorno al mosaico di stampo paleocristiano che in quegli anni rivive nell’area romana.
Su di uno sfondo d’oro brillante, si stagliano 4 figure rese in modo perfetto dal disegno e dai colori di piccole tessere unite da una mano che aveva appresso magistralmente l’arte musiva e che probabilmente era un allievo della cultura romana e del suo capostipite Pietro Cavallini.

Sulla destra di chi ammira il mosaico troviamo Santa Restituta, attuale dedicataria della chiesa, figura molto diffusa già in epoca paleocristiana con un culto molto forte a Napoli stessa e ad Ischia per la leggenda che vuole il suo approdo su queste coste. Sulla sinistra invece, con il pastorale nella mano ed il cappello, c’è San Gennaro protettore della città, al pari di altre figure all’epoca erano molto venerate al suo pari.

Tutte e due questi personaggi portano un libro tra le mani e con lo sguardo adorante rivolto al centro della scena, è lì infatti che si trova, in tutta la sua lucentezza, la Vergine in trono con in braccio Cristo.

Maria si staglia coronata, nella sua severità dello sguardo e nella maestosità del panneggio dorato e blu, su di un trono degno della sua regalità che compendia tutta la perfezione e varietà di colori dell’arte musiva; infatti, grazie all’abilità artistica dell’autore, la sedia su cui siede la figura riproduce le architetture, gli innesti marmorei e le pietre preziose incastonate che si possono ancora ammirare in quei tipici baldacchini e cibori che allora si producevano sempre nell’area romana.

L’autore

Al di sotto della scena di adorazione della Madonna, corrono due nastri rossi all’interno dei quali una lunga frase in latino, detta titulus, riporta il nome dei protagonisti della scena, un riferimento ad Elena madre di Costantino ritenuto il fondatore della chiesa e ci restituisce, finalmente, il nome dell’autore del mosaico; infatti, al termine del primo nastro, si legge “Hic opus fecit Lello de Urb…” (“quest’opera fu fatta da Lello da Urb…”) terminando illeggibilmente, poiché rovinata, la provenienza dell’artista. Per anni, perciò, si è discusso identificando dapprima “Urb…” con “Urbe” nome con il quale era anche conosciuta Roma (presumibile per le nozioni artistiche di questo Lello), ma con studi approfonditi e ricordando che un “Lello de Urbevetere” (dove Urbevetere sta per Orvieto) era conosciuto come artista dell’epoca ed operante proprio a Napoli in quel torno di anni, si è protesi a ricondurre finalmente a “Lello da Orvieto” la manifattura del mosaico di Santa Maria del Principio.

Al termine della seconda frase del titulus, invece, riusciamo a ricavare anche l’anno della fattura dell’opera; difatti possiamo leggere “mille trecentis undenis bisque” che, ugualmente all’indicazione dell’autore, è stato variamente interpretato.

Santa Maria del Principio: il '300 nel Duomo di Napoli
Lello da Orvieto, Ritratto da Umberto d’Ormont (particolare), tempera e oro su tavola, II°decennio XIV secolo, Museo Diocesano, Napoli

Poiché il termine “bisque” può indurre a pensare ad un raddoppiamento di “undici”, gran parte degli studiosi fino a poco tempo fa l’hanno interpretato come 1322; un’altra indicazione arriva però dalla Prof.ssa Vinni Lucherini, docente di Storia dell’arte medievale all’Università Federico II, che seguendo un’idea di alcuni eruditi del ‘6-‘700 propone di interpretare “bisque” come raddoppiante solo il “tre” finale(secondo un’articolata regola della lingua latina), restituendoci quindi 1313 come anno di esecuzione. La qual cosa, oltre che appunto avvalorata dalla grammatica latina, pare essere più probabile in quanto proprio al 1314 viene datata una tavola dipinta raffigurante l’arcivescovo d’Ormont, custodita al Museo Diocesano di Napoli, ed attribuita proprio a Lello d’Orvieto.

Ancora una volta, quindi, la città partenopea è capace di stupirci a distanza di secoli con le sue testimonianze di arte, cultura e civiltà che l’hanno fatta grande e che noi tutti portiamo in eredità con il dovere di conoscerle e preservarle.

Liberato Schettino