La Politica del Figlio Unico: un po’ di chiarezza

La Cina, da ormai più di trent’anni, si trova a dover fare i conti con una politica di controllo delle nascite chiamata Politica di Pianificazione Familiare, nota in occidente come Politica del Figlio Unico.

Storia della Politica del figlio unico

Quello del sovrappopolamento è sempre stato un argomento di forte dibattito all’interno dello stato maggiore del Partito Comunista Cinese. La problematica emerse già all’indomani della rivoluzione, quando i nuovi inquilini del palazzi del potere si ritrovarono di fronte una popolazione numerosa, prevalentemente analfabeta e impoverita da anni di guerre. La soluzione ai problemi di un popolo tanto numeroso, tuttavia, non venne subito individuata nella possibilità di intervenire sui tassi di natalità, ma nello sviluppo economico. Il PCC, all’epoca, era ostinatamente natalista: il presidente Mao riteneva che una popolazione numerosa facesse la forza di un Paese.

Dopo il fallimento del programma di riforme economiche e sociali noto come Grande Balzo in Avanti (1958-60), i vertici del PCC iniziarono a temere una vera e propria catastrofe: dopo dieci anni di governo la popolazione si trovava in condizioni ancora peggiori di quelle di partenza e risultava praticamente impossibile garantire cibo, istruzione e cure sanitarie a tutti.

Per questo motivo, il governo smise di incoraggiare i cittadini a fare più figli e si mostrò più benevolo nei confronti delle iniziative individuali di pianificazione delle nascite, senza, tuttavia, elaborare alcuna politica in merito. Questo atteggiamento si modificò negli anni della Rivoluzione Culturale (1966-1976) in cui si diffuse ancora una volta una retorica natalista. L’effetto fu che la popolazione aumentò a dismisura: stando ai dati forniti dagli annuari statistici cinesi, tra il 1966 e il 1976 il numero di abitanti passò da poco più di 700 milioni a quasi un miliardo.

Sul finire della Rivoluzione Culturale, l’idea di un programma di pianificazione familiare prese forma in maniera più sistematica, ottenendo l’appoggio dello stesso Mao. Tuttavia, nulla venne realizzato prima che al potere arrivasse Deng Xiaoping, noto per aver dato il via al programma di Riforme e Apertura che rivoluzionò l’economia cinese e aprì il Paese ai contatti con l’estero dopo anni di pressoché totale isolamento.

Cosa prevede

La politica di Pianificazione Familiare inaugurata da Deng venne approvata nel 1978 per diventare effettiva nel 1981, e fu inizialmente pensata come riforma monogenerazionale. L’obiettivo era tentare di ridurre i tassi di natalità, i quali, nel 1981, erano pari al 20,91‰.

A tale scopo, a una parte della popolazione cinese venne imposta la regola di mettere al mondo solo un figlio unico, pena il pagamento di grosse multe e la responsabilità di provvedere finanziariamente ai bisogni di tutti i figli successivi al primo senza ottenere alcun aiuto da parte dello Stato.

La definizione, tanto di moda in Occidente, di Politica del Figlio Unico è decisamente fuorviante. La porzione di popolazione sottoposta a questa politica, infatti, non raggiunge il 40%, e si limita alle seguenti categorie:

– Abitanti di zone rurali e urbane delle province di Pechino, Shanghai, Tianjin, Chongqing, Jiangsu e Sichuan;
– Abitanti di tutte le zone urbane del Paese;
– Abitanti delle zone rurali di tutto il Paese (eccetto Hainan, Ningxia, Qinghai, Xinjiang e Yunnan) che abbiano già un figlio maschio (laddove chi ha una figlia femmina ha diritto a un secondo figlio, data la necessità di forza lavoro nei campi).

Lunghissima, invece, la lista delle eccezioni. Sono esclusi da questa politica i cittadini appartenenti alle minoranze etniche e quelli di HManifesto di propaganda per la Politica del Figlio Unico ong Kong e Macao; coloro che hanno un primo figlio invalido; i portatori di handicap; i residenti di zone montuose e/o a bassa densità abitativa; gli abitanti delle isole; i residenti di zone di confine; i pescatori; i minatori; i discendenti di famiglie di martiri rivoluzionari; i cinesi d’oltremare rientrati in patria; le persone precedentemente considerate sterili e che concepiscono un figlio in seguito a un’adozione; le coppie risposate con figli concepiti in precedenti matrimoni; i parti gemellari.

 

Effetti

Benché concepita come riforma monogenerazionale, la politica di Pianificazione Familiare è ancora in atto. La popolazione cinese continua a crescere, infatti, e si è ben lontani dall’obiettivo, lanciato negli anni ’80, di far arrivare la popolazione a 700 milioni.

I tassi di natalità, tuttavia, sono crollati: nel 2013 risultano crollati di ben otto punti rispetto al 1981, assestandosi al 12,08‰.
Quello sui tassi di natalità, tuttavia, non è l’unico effetto di questa riforma, che, benché condivisibile per le difficoltà di gestione di un Paese popoloso come la Cina, ha causato alcuni problemi sociali.

Il primo è uno sbilanciatissimo rapporto dei sessi. Se tra i nati tra il 1979 e il 1983 vi erano poco più di 103 maschi ogni 100 femmine, tra il 2009 e il 2013 sono nati, in media, quasi 118 bambini ogni 100 bambine. Questo perché la cultura cinese tende a privilegiare il figlio maschio a scapito di una discendenza di sesso femminile. L’uomo si prende cura dei genitori anche dopo il matrimonio, costituendo per essi una fonte di sicurezza economica e affettiva. La donna, invece, col matrimonio abbandona la famiglia d’origine, non fornendovi alcun sostegno e pesando, invece, sul bilancio familiare. Un uomo, inoltre, è più adatto a svolgere lavori pesanti, soprattutto nelle zone rurali. Per questo motivo, con l’arrivo della politica di Pianificazione Familiare, si è assistito a un picco di abbandoni, infanticidi e aborti ai danni delle figlie femmine. Per arginare il problema, da qualche anno il governo cinese ha vietato ai medici di rivelare gli esiti delle ecografie. Tuttavia, il rapporto dei sessi è ancora estremamente sbilanciato.

Un altro importante problema è quello del 4-2-1. A causa della politica del figlio unico, i ragazzi delle nuove generazioni si ritrovano a dover provvedere da soli, durante l’età adulta, alle necessità di quattro nonni e due genitori. Data la situazione, da un paio d’anni si è deciso di “rilassare” la politica di pianificazione familiare, concedendo alle famiglie in cui entrambi i genitori sono figli upolitica del figlio uniconici di avere anche un secondo figlio.

Infine, impossibile non menzionare l’emergere della questione dei piccoli imperatori. Non sono pochi i sociologi che hanno sottolineato, già dagli anni ’90, quanto possa essere pericolosa una società di figli unici, i quali, non avendo fratelli, finiscono con l’avere delle evidenti difficoltà di comunicazione, di collaborazione e di disciplina. L’isolamento e la scarsa capacità d’adattamento sono, a dire degli studiosi, i segni distintivi dei cinesi del nuovo millennio.

Ora che la Politica di Pianificazione Familiare si trova in una fase di transizione, è probabile una diminuzione dei suoi effetti collaterali. Tuttavia, quello demografico è ancora un problema pressante, dato che, benché i tassi di natalità siano diminuiti, la popolazione, in termini assoluti, continua a crescere. Non è, purtroppo, ancora tempo di abolire del tutto tale politica, e dunque la bravura del nuovo governo starà tutta nel tentare di risolvere i problemi a essa legati. Data la scarsa prevedibilità di ciò che avverrà nei prossimi anni, non ci resta che aspettare e osservare il lavoro del governo.

Francesca Salvati

http://researchguides.library.wisc.edu/c.php?g=177700&p=1168779#539116

http://en.wikipedia.org/wiki/One-child_policy

http://www.bbc.com/news/world-asia-china-24957303

https://books.google.it/books?id=fy5nGsDxSTgC&printsec=frontcover&dq=one+child+policy&hl=en&sa=X&ei=k35QVYKrC-H4yQPupIDQBw&ved=0CDcQ6AEwBA#v=onepage&q=one%20child%20policy&f=false