Il colore al cinema: dal viraggio al Technicolor

Il colore, contrariamente a quello che si possa immaginare, è sempre stato uno degli elementi che ha  interessato la produzione cinematografica soprattutto per la sua capacità di accentuare il carattere realistico del film.

Prima dell’introduzione di una vera e propria cinematografia a colori, le pellicole vengono colorate fotogramma per fotogramma con procedimenti manuali come il viraggio o l’imbibizione:

*viraggio: è un procedimento chimico che conferisce alla fotografia un colore particolare, grazie a dei bagni appositi che saturano le parti più scure e quelle chiare rimangono pressoché bianche. Questo tipo di procedimento di colorazione è stato usato nel campo della cinematografia fin dai tempi del muto (Cabiria – 1914, Il gabinetto del dottor Caligari – 1920, Nosferatu il vampiro – 1922, ecc.). Successivamente, la tecnica viene abbandonata perché pregiudica la qualità del sonoro.

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*imbibizione: il quale consiste nell’assorbimento di molecole di stato liquido all’interno di materiali porosi. In senso specifico, le pellicole già sviluppate vengono immerse nella tinta che colora le parti più chiare e quelle scure rimangono nere.

Sintesi additiva

In contemporanea, in diverse parti del mondo, si studiano e si sviluppano i primi procedimenti meccanici di cromocinematografia per sintesi additiva di due o tre colori essenziali.

La scuola di Brighton propone il Kinemacolor di G. A. Smith, il quale viene usato commercialmente dal 1908 al 1914 ed è un processo di mescolanza additiva a due colori, che fotografava e proiettava una pellicola in bianco e nero dietro filtri alternati rosso e ciano [1]. Il primo film mostrato in Kinemacolor è un cortometraggio di otto minuti girato proprio a Brighton: Una visita sulla spiaggia (A visit to the seaside) nel 1908.

Comunque, questo tipo di processo non ha avuto successo, in parte per via degli alti costi di installazione ma anche perché soffre della formazione di aloni e frange sulle immagini.

In generale, comunque, la mescolanza additiva non era destinata ad avere successo. A causa dei filtri utilizzati, per proiettare le pellicole era necessaria più luce di quella che normalmente era richiesta per dei film in bianco e nero e ciò (oltre anche ad altre ragioni contingenti) ha fatto sì che tali processi persero di favore.

Sintesi sottrattiva

A New York, nel Museo americano di storia naturale, l’8 febbraio del 1917, viene reso noto il primo processo di colorazione basato sulla sintesi sottrattiva: il Prizma di William van Doren Kelley. Questo tipo di processo di colorazione inizialmente viene introdotto come sistema di mescolanza additiva (come il Kinemacolor) ma dopo il 1917 Kelley riformula il processo e lo basa sulla mescolanza sottrattiva.

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William Van Doren Kelley e la sua invenzione, il Prizma color camera.

Questo sistema a due colori utilizza due pellicole che girano contemporaneamente nella macchina da presa registrando, una luce rossa e l’altra blu-verde. Entrambi i negativi vengono elaborati e stampati su un’unica pellicola a doppia emulsione nei toni del rosso e del blu.

La rivoluzione Technicolor

Dopo aver condotto esperimenti di sistemi basati sulla mescolanza additiva, tra il 1915 e il 1921 il Dr. Herbert Kalmus, il Dr. Daniel Comstock e W. Burton Wescott sviluppano il sistema a mescolanza sottrattiva per il Technicolor.

Questo processo utilizza una macchina da presa modificata con un prisma separatore in modo che possa dirigere le onde luminose a due diversi negativi in bianco e nero. Da questi negativi vengono ricavate due stampe che riproducono rispettivamente il rosso e il verde. Queste poi vengono unite in una singola striscia di pellicola.

Il primo film che utilizza tale processo è The Toll of the Sea, del 1922.

Il sistema Technicolor è stato popolare per un certo numero di anni, ma è un processo molto costoso e fino a dopo la seconda Guerra Mondiale la produzione dei film a colori viene messa da parte.

Nel 1932, comunque, il sistema Technicolor si sviluppa e si perfeziona: con l’utilizzo di un particolare sistema ottico la luce della lente viene deflessa dai prismi e divisa in tre percorsi che arrivano a sviluppare tre negativi in bianco e nero (destinati a produrre la densità luminosa del rosso, del verde e del blu).

Quest’ultima tipologia di processo sarà definita Technicolor Process 4 e sarà il clamoroso successo ottenuto da Biancaneve e i sette nani (film d’animazione uscito il 21 dicembre del ’37) a fare in modo che esso si possa fregiare dell’appellativo di ”Glorioso Technicolor”.

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Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna il sistema Technicolor dominerà gli anni Quaranta e Cinquanta, ma, a causa dell’elevato costo di produzione e delle elevate temperature che si percepivano durante le riprese (sul set de Il mago di Oz – 1939, la temperatura arrivo spesso ai 38° C!), tale sistema sarà abbandonato quando farà il suo ingresso il sistema monopack (a negativo unico triemulsionato) dei procedimenti Eastmancolor.

Cira Pinto

1Il senso del colore è ottenuto sfruttando la persistenza dell’immagine sulla retina, attraverso la combinazione dei fotogrammi alternati.