In un precedente articolo abbiamo parlato di Saffo, poetessa greca del VII sec. a.C., esponente della caratteristica lirica dell’ambiente lesbico. A proposito di Saffo, abbiamo ricordato che ad oggi possediamo solo circa duecento versi; possiamo certamente affermare, però, che l’intera produzione che è stata stimata in realtà molto più imponente e complessa.
Nonostante ciò, è stata sempre registrata una straordinaria influenza di tale poetessa sugli autori europei. D’altra parte, se oggi possediamo i già citati duecento frammenti, è proprio perché già letterati e poeti latini, come Orazio e Catullo, hanno fatto propri i valori, il linguaggio e le strutture metriche dei poeti lesbici.
Catullo e Saffo
Catullo, poeta del I secolo sec. a.C., vive in un contesto completamente diverso da quello di Saffo, sia dal punto di vista socio-politico sia da quello poetico. La Roma di Catullo è quella nella quale ci si prepara alla fondazione del primo triumvirato ed è la stessa che vedrà protagonista Clodio, fratello della sua amata da lui ricordata sotto il nome di Lesbia, il quale era a capo dei populares e s’impegnava nelle lotte politico-istituzionali contro Cicerone.
In questo quadro storico maturò la scelta di Valerio Catullo di abbandonare la vita politica e in generale una visione positiva della vita.
Gran parte della produzione poetica di quest’ultimo è incentrata sull’amore, in particolare sulla narrazione delle vicende sentimentali che riguardano il poeta e Clodia, la quale era sposata e tormentava assai il suo amante non solo per questo motivo ma per il fatto di intrattenere anche altre relazioni.
Più che l’elogio all’amore in quanto tale, Catullo si sofferma sulla gelosia, un sentimento che nasce dall’amore puro ma poi si trasforma in dolore tremendo.
È lo stesso poeta latino a paragonarsi a Saffo riguardo alle sofferenze che provoca la gelosia. Nonostante l’ambiente del tiaso porti Saffo a desiderare di intrattenere anche relazione omosessuali, le due esperienze sono assolutamente paragonabili, legate per il fatto che i due innamorati non riescano a concepire l’amore come un sentimento platonico. Essi, anzi, hanno numerose volte a tentazione di soddisfare un desiderio carnale il quale però sfocia sempre in un amaro rifiuto.
Sebbene siano circa cinque secoli e un mare a tenere distanti Saffo e Catullo, rileggendo il carme 51 e il fr. 31, sembra che il tempo sia solo scandito dal ritmo delle strofe.
Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnes
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
<vocis in ore;>
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.(carme 51, liber I)
A me sembra beato come un dio
quell’uomo che seduto a te di fronte
t’ascolta, mentre stando a lui vicino
dolce gli parlie ridi con amore; si sgomenta
il cuore a me nel petto, non appena
ti guardo un solo istante, e di parole
rimango muta.La voce sulla lingua si frantuma,
sùbito fuoco corre sottopelle,
agli occhi è cieca tenebra, e agli orecchi
rombo risuona.Sudore per le membra mi discende
e un brivido mi tiene; ancor più verde
sono dell’erba; prossima alla morte
sembro a me sola.
(fr. 31 W.)
Lisa Davide